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Un pass insipido e contraddittorio

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di Lavinia Orlando

Come già in altre occasioni, anche rispetto alla questione vaccinale, ci si sarebbe attesi qualcosa di più dal governo che è stato definito “dei migliori” sulla carta, già ben prima che nascesse.

Il green pass obbligatorio dal 15 ottobre per tutti i lavoratori e per tutti coloro che svolgano attività di volontariato, salvo alcune eccezioni, con, in caso di inosservanza, sanzioni pecuniarie a carico dei datori di lavoro e sospensione dal rapporto di lavoro e dallo stipendio a carico dei lavoratori, è scelta alquanto insapore e generatrice di ulteriori confusioni.

Il problema è a monte ed è tutto nella misura del green pass, contraddittoria sin dalla nascita, indipendentemente dalla sua recente estensione. L’equiparazione tra doppia vaccinazione effettuata, tampone negativo nelle 48 ore precedenti o guarigione dalla malattia da Covid-19 da non oltre sei mesi, ossia i requisiti, alternativi, che consentono l’ottenimento della certificazione, è del tutto impropria, oltre che pericolosa.

Anche i non addetti al settore hanno oramai compreso che il vaccino non preserva in assoluto dall’infezione, sebbene ne riduca la trasmissibilità, bensì salvaguarda dal decorso sfavorevole (ospedalizzazione e decesso). Il tampone negativo, invece, fotografa, con un certo margine di errore, l’assenza di infezione al momento della sua effettuazione.

Dato per scontato che il fine ultimo dello Stato sia quello di consentirci di tornare ad una vita quanto più possibile normale, sarebbe stato auspicabile utilizzare le due misure in maniera cumulativa e non alternativa: vaccini come misura necessaria per depotenziare gli effetti nefasti della malattia e, nel mentre, tamponi di controllo a tappeto, con buona pace dei no vax, no mask, no tampone, no covid e di tutti gli altri raggruppamenti che, negli ultimi mesi, sono sorti come funghi, quale conseguenza quasi inevitabile di lunghi mesi di stravolgimento delle nostre vite.

Alla luce di quanto visto, più che un’estensione dell’obbligo del green pass, la logica avrebbe suggerito l’approvazione di un obbligo vaccinale tout court, senza discriminazione alcuna tra lavoratori e non lavoratori, o, volendo evitare un’indigesta estensione, un obbligo limitato alle categorie più fragili, per patologie e per anagrafe, sì da garantire tutela individuale ma anche collettiva – evitando un nuovo intasamento degli ospedali, con tutte le conseguenze già sperimentate in termini di riduzione di cure e di prevenzione rispetto ad altre gravi patologie.

Il governo dei migliori, invece, ha optato per un obbligo vaccinale mascherato ed altamente discriminatorio, oltre che potenzialmente pericoloso, soprattutto se si inizi a parlare di contemporanea riduzione delle misure di contenimento del Covid-19, come l’eliminazione, in talune circostanze, dell’obbligo di mascherina nei luoghi chiusi in presenza di soli soggetti con green pass. Questo potrebbe voler dire, per assurdo, che le persone in questione non siano vaccinate, ma semplicemente in possesso di tampone negativo, magari eseguito 30 ore prima e non nell’immediato, dunque potenzialmente positive, in grado di infettarsi facilmente, anche gravemente – perché non vaccinate – e di portare beatamente in giro l’infezione, in una realtà che vede molti over 50, inspiegabilmente, non ancora vaccinati.

L’esecutivo, tuttavia, ha preferito continuare a sopravvivere, evitando di varare misure che sarebbero risultate indigeste, in particolare alla Lega, altresì tentando di non inimicarsi quella fetta di popolazione che del siero anti Covid-19 continua a non volerne sapere. Peccato che l’attuale risultato sia un ibrido che lascia alquanto scontenti anche i tanti che il vaccino l’hanno già fatto e che auspicavano, soprattutto grazie a tale scelta ed alla collaborazione di tutti, di uscire, il prima possibile, dall’incubo.

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