Esteri
L’assalto della politica alle Università come sintomo del declino dell’occidente
Così come un’era più consapevole del ruolo dello stato come promotore della cultura e della civiltà iniziava nel 1785 ha portato frutti di progresso e di avanzamento sociale ed economico nella società, potremmo essere, con l’attacco della politica alle università e alla loro indipendenza culturale e didattica, in presenza in una fase di regressione della nostra civiltà e dei nostri valori democratici.
Di Fulvio Rapanà
Nell’immaginario popolare si ritiene che i tedeschi siano un popolo con una propensione all’industria, una società dedita al lavoro in fabbrica con una propensione naturale alle materie tecniche soprattutto meccaniche. In tutto il mondo il “Made in Germany” è sinonimo di prodotti ben realizzati e ben costruiti per durare nel tempo sempre con eccellenti prestazioni. Ho l’esperienza personale di un’ auto immatricolata 29 anni fa che dopo 345.000 chilometri parte al primo colpo. Ma i tedeschi da secoli sono un popolo con una economia che ha una forte presenza di agricoltura e di allevamento. La svolta che ha aperto la strada nella società tedesca ad una economia “tecnica” si è avuta con Federico II° di Prussia, Federico il Grande, che 1785 istituì l’obbligo di frequentare la scuola statale: “tutti i giovani dai 5 ai 14 anni devono venire istruiti da scuole finanziate dal comune”. Ma fu un forte conservatore come Bismarck a volere corsi di studio in materie tecniche alternative a quelle classiche. Nel 1882 nelle nuove facoltà tecniche il 72% delle ore di studio erano indirizzate su materie come matematica, fisica, chimica. Il risultato di questo investimento dello stato tedesco nell’insegnamento in assoluto e nello studio delle materie scientifiche sono stati, sia i 58 premi Nobel assegnati agli scienziati tedeschi, solo per citarne alcuni Einstein, Heisenberg Nobel per la Fisica , Von Braun progettista del Saturno 5 con cui gli Usa sono andati sulla luna , Otto Hahn Nobel per la Chimica, Max Born Nobel per la Fisica, sia soprattutto il vantaggio tecnologico dell’economia tedesca, durato quasi un secolo, a livello mondiale, Stati Uniti compresi . Così come gli investimenti in capitale finanziario e umano fatto dalle università americane sullo studio dell’informatica ha concretizzato un vantaggio, in questo settore, dell’economia e della società Usa a livello planetario dagli anni 70 in poi . Ho fatto questa premessa per rappresentare una evidenza che dovrebbe essere chiara a tutti: “la scuola e le Università sono il luogo dove si formano le capacità, le professionalità ma anche le coscienze e le culture politiche e sociali che determineranno dopo 10 o 20 anni se e dove andrà una economia e una società ”. L’attacco frontale del sistema politico alle università in tutto l’occidente non produrrà altro che, a distanza di tempo, una arretratezza sempre più marcata nell’economia e nella società che la attuano. La contestazione sull’indipendenza didattica delle università da parte soprattutto delle destre e dei conservatori negli Stati Uniti è iniziato già da tempo. Leaders repubblicani e attivisti conservatori da 10/12 anni, e ancora di più con la presidenza di Trump, hanno attaccato i college e le università americane come centri di elitarismo e di iperliberalismo della sinistra radicale. Negli stati governati dai Repubblicani, Florida e Texas in particolare, si portano avanti politiche in linea con una visione conservatrice, se non reazionaria, promuovendo personaggi di fede repubblicana, con poca esperienza nell’istruzione superiore, in ruoli di vertice nelle università , che: provano ad imporre corsi e programmi più allineati alle convinzioni conservatrici; e tagliano o non aumentare finanziamenti alle università, portando alla chiusura di dipartimenti e persino di intere scuole . L’atteggiamento avverso dei repubblicani dell’attuale gestione delle università è anche da porre in relazione con una tendenza di graduale evaporazione dei professori conservatori dal mondo accademico. Un sondaggio condotti dai ricercatori dell’UCLA suggeriscono che la percentuale di docenti che si collocano nella sinistra politica è aumentata dal 40% nel 1990 a circa il 60% nel 2017, un periodo durante il quale l’affiliazione partitica del pubblico è rimasta pressoché invariata. Se non si valutano le scelte politiche dei docenti ma la loro collocazione culturale, il giornale studentesco di Harvard, ha rilevato che meno del 3% dei docenti si descriverebbe come conservatore mentre il 75% si definisce liberale. Perché è successo questo? L’opinione più diffusa è che le preferenze degli accademici in realtà non sono cambiate molto, sono invece, i repubblicani che li hanno abbandonati spostandosi a destra. Il monopartitismo americano, che prevede di inglobare in sé tutte le opzioni, ha prodotto in contrasto con quella conservatrice, anche una versione progressista e di sinistra, incarnata dai Democratici, che formalmente cercano di rendere l’università più accessibile, come la proposta, non riuscita, del presidente Barack Obama per un Community College gratuito , ma che non si sono mai schierati come convinti difensore delle università e della loro indipendenza didattica, culturale ecc. I democratici, che spingono costantemente per maggiori finanziamenti alle scuole primarie e secondarie e si oppongono ai tagli di tale spesa, quando solo loro a governare non investono tanti dollari pubblici in più per college e università, così come non si sono opposti al graduale cambiamento nel finanziamento dell’istruzione superiore negli ultimi quattro decenni, quando le università sono passate da tasse di iscrizione basse ad aumentare drasticamente i costi e ad aspettarsi che la maggior parte degli studenti chiedesse prestiti. Inoltre, molti eminenti democratici concordano e quindi rafforzano le rappresentazioni conservatrici dei college come enclavi per l’élite super-liberali. Le due fazioni politiche e culturali presenti nei college e nelle università americane devono, per il sistema politico monopartitico, comunque rientrare in un ambito che non prevede visioni troppo diverse della società e quindi dell’istruzione, della difesa , della sanità ecc. Piccole differenze e piccole contestazioni soprattutto di rimessa quando governa la fazione avversaria. Inoltre all’interno delle due fazioni ha preso piede una semplificazione eccessivamente semplicistica dell’elettorato. Gli americani bianchi senza laurea votano sempre più repubblicano , mentre gli americani bianchi con una laurea si stanno spostando a sinistra. Il gruppo dei non laureati rappresenta circa il 40% degli elettori , quelli con una laurea circa il 30%. Tanti esperti e strateghi democratici (erroneamente) sostengono che la matematica elettorale richieda che il partito prenda le distanze dalle persone che frequentano o si sono laureate e siano caute con una politica troppo aperturistica nei confronti della politica scolastica e didattica, “meglio un po’ per tutti tenere sotto controllo questi scapestrati che devono solo contribuire a fare sempre più forte e grande l’America ed essere ricompensati con il denaro”.
Ma i guai per le Università e le altre istituzioni scolastiche americane non sono solo quelle interne al sistema educativo che la classe politica di destra gli vuole ritagliare. Già da 10 anni sta emergendo una contesa planetaria con una serie di sfide che arrivano dalle università e dalle istituzioni culturali estere . Le università americane dominano ancora i gradini più alti della maggior parte delle classifiche internazionali, ma il loro vantaggio sta diventando un po’ meno netto. Ogni anno Times Higher Education , una rivista britannica, chiede a più di 30.000 studenti di nominare le università che ritengono producano il lavoro migliore nei loro campi. Ebbene sempre meno studenti si dichiarano interessati dalle università americane e si dichiarano sempre più interessati a quelle cinesi . La medesima rivista stila delle classifiche sull’eccellenza delle università, ebbene sono in forte flessione le migliori università americane: rilevante per Harvard e Mit, più contenuta la flessione di Yale, Princeton, Barkeley e Stanford, in crescita Tsinghua, Peking, Fulan, Shanghai Zejiang.
Anche la concorrenza per accaparrarsi gli studenti e i docenti migliorista diventando sempre più dura. Vent’anni fa l’America attirava il 60% degli stranieri che studiavano fuori dai paesi di origine ora arriva a circa al 40%. A partire dal periodo dell’elezione di Donald Trump, i cinesi, e gli asiatici in genere, di alto livello, che una volta avevano interesse solo per le migliori università americane, hanno iniziato a inviare domande di frequenza a università cinesi o di Singapore o in Europa. La ricerca in discipline quali la matematica, l’informatica, l’ingegneria e la fisica sta diventando particolarmente competitiva. Le classifiche prodotte dall’Università di Leiden nei Paesi Bassi, che valuta le università esclusivamente in base all’impatto dei documenti che producono, collocano ora le università cinesi in pole position per tutte le materie scientifiche e tecniche. Le Università americane che venivano scelte dal 45% ora sono scese al 25% mente quelle cinesi che nel 2009 valevano zero ora hanno pareggiato quelle americane al 25%, stabili quelle europee in flessione le inglesi passate dal 9% al 3%.“La differenza rispetto a cinque o dieci anni fa è davvero sorprendente”, afferma Simon Marginson dell’Università di Oxford, “il motivo principale è che la produzione americana è rimasta stabile ma, la qualità prodotta dai rivali che stia aumentando vertiginosamente”.
Così come un’era più consapevole del ruolo dello stato come promotore della cultura e della civiltà iniziava nel 1785 ha portato frutti di progresso e di avanzamento sociale ed economico nella società, potremmo essere, con l’attacco della politica alle università e alla loro indipendenza culturale e didattica, in presenza in una fase di regressione della nostra civiltà e dei nostri valori democratici. L’ingresso della polizia del campus universitari degli Usa o la chiusura dei campus in Europa sono forse il segnale di una regressione della democrazia come la strage di Barkeley negli anni ’60 che segno’ l’inizio di una fase politica che portò dritto a Regan o peggio ancora un’ulteriore indizio di un declino dei valori dell’occidente prima ancora che dell’economia e della politica.
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