Esteri
Giustizia per Jorge Glas: respingiamo la crisi diplomatica e chiediamo rispetto dei diritti umani!
“Stiamo conducendo un’analisi serrata su come possiamo accelerare la liberazione di Jorge Glas e garantire il suo trasferimento in totale sicurezza”
Articolo di Maddalena Celano
Nel cuore della consultazione popolare, sostenuta con fervore dal governo ecuadoriano di Daniel Noboa, la crisi diplomatica tra Ecuador e Messico rimbomba come un grido di indignazione internazionale, scatenata dall’incursione brutale nell’ambasciata messicana a Quito per catturare Jorge Glas. E proprio il 22 aprile, il ministro degli Esteri messicano Alicia Bárcena ha pronunciato con fermezza l’intenzione del governo di Andrés Manuel López Obrador di “accelerare” la consegna dell’ex vicepresidente Correísta.
“Stiamo conducendo un’analisi serrata su come possiamo accelerare la liberazione di Jorge Glas e garantire il suo trasferimento in totale sicurezza”, ha affermato Bárcena durante la conferenza stampa mattutina di López Obrador. Il diplomatico ha rivelato che il governo messicano sta battendosi senza sosta per liberare Glas dal carcere di Guayaquil, dove è tenuto prigioniero dalla data del 5 aprile, quando le forze di polizia ecuadoriane lo hanno arrestato dopo l’invasione dell’ambasciata, dove il politico cercava rifugio dall’inizio del 2023.
“Stiamo attivamente cercando sostegno da parte di diverse organizzazioni, inclusi il Consiglio per i diritti umani. Abbiamo coinvolto la Convenzione di Caracas, poiché è nostro diritto garantire l’incolumità di Jorge Glas. Il Messico ha sollecitato anche l’aiuto di ambasciate terze, come quella Svizzera, e della nunziatura, che si sono offerte di intervenire, di vedere e di visitare Glas, e di intercedere presso le autorità per facilitarne il trasferimento in Messico.”
Bárcena ha sottolineato che il Ministero degli Affari Esteri (SRE) è interamente impegnato nel processo in corso presso la Corte Interamericana di Giustizia (ICJ) riguardo all’assalto all’ambasciata messicana a Quito. “L’udienza è prevista per il 30 aprile e ci stiamo concentrando su indicazioni dirette del presidente. Stiamo impegnando tutte le nostre risorse legali per vincere questa battaglia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, la quale, va detto, ha prontamente risposto al nostro appello”, ha aggiunto Bárcena.
Ha ribadito che le relazioni diplomatiche con l’Ecuador rimangono in uno stato di stallo, poiché non vi è stato alcun contatto con il governo ecuadoriano dopo gli eventi. Il 15 aprile, Glas ha inviato una lettera a López Obrador in cui implorava aiuto e attestava di essere detenuto nella peggiore prigione dell’Ecuador e di essere in sciopero della fame.
Le lettere dell’ex vicepresidente Jorge Glas sono giunte ai presidenti Lula Da Silva, Gustavo Petro e Manuel López Obrador, tramite l’ex presidente colombiano Ernesto Samper. Jorge Glas è stato trasferito a La Roca, a Guayaquil, dopo essere stato catturato nell’ambasciata messicana a Quito. L’ex presidente della Colombia, Ernesto Samper, ha confermato di aver curato la distribuzione di alcune lettere scritte a mano dall’ex vicepresidente Jorge Glas, provenienti dal carcere di massima sicurezza di La Roca. “Mi sono stati consegnati e ho prontamente provveduto alla loro distribuzione. Il presidente Lula (Da Silva) era qui a Bogotà e gliel’ho consegnata personalmente. Credo che sia giunta anche al presidente (Gustavo) Petro”, ha affermato Samper all’emittente Univisión. Nella lettera indirizzata al presidente del Brasile si leggeva: “Signor Presidente, sono Jorge Glas, l’ex vicepresidente di Rafael (Correa). Sono di nuovo in prigione, aiutatemi”.
Una lettera simile è stata inviata al presidente messicano, Manuel López Obrador, e al suo ministro degli Esteri, Alicia Bárcena. “Mi trovo nella peggiore prigione del paese e sto conducendo uno sciopero della fame”, ha scritto Glas, processato per vari casi di corruzione. Samper non ha specificato come e da chi gli siano pervenute le lettere, ma ha confermato la loro autenticità. Per Glas, l’unico modo per riconquistare la libertà è attraverso una pressione internazionale senza tregua. Le lettere scritte di pugno indicano un senso di urgenza. Questi fatti hanno provocato una crisi diplomatica che ha portato il Messico a rompere le relazioni con l’Ecuador, una mossa condannata in vari contesti internazionali. Samper ha anche annunciato che il Gruppo Puebla proporrà la creazione di una missione umanitaria per verificare la salute e l’integrità fisica di Glas, ribadendo la richiesta di rispetto del suo diritto d’asilo e il rilascio di un salvacondotto per permettergli di recarsi in Messico.
Questo 24 aprile 2024, è emerso che Jorge Glas ha deciso di interrompere lo sciopero della fame dopo 20 giorni, in seguito alle richieste di alcuni membri della sua famiglia e alla preoccupazione per la sua salute.
Tuttavia, il suo stato di salute rimane precario e si è sollevata l’attenzione sulla necessità di garantire un’adeguata assistenza medica e il rispetto dei suoi diritti umani fondamentali.
Nel frattempo, il Gruppo Puebla ha continuato a sostenere la sua causa, proponendo l’invio di una missione umanitaria per verificare le condizioni di Glas e riaffermando la richiesta di rispetto del suo diritto d’asilo e del rilascio del salvacondotto per consentirgli di trasferirsi in Messico.
Il caso di Jorge Glas continua quindi a suscitare una forte reazione a livello nazionale e internazionale, con sempre più voci che si levano in sua difesa e che chiedono un’azione immediata per garantire la sua sicurezza e il rispetto dei suoi diritti.
La testimonianza dell’ Ambasciatrice messicana Raquel Serur
“Non posso concepire che abbiano fatto qualcosa di così sproporzionato” Raquel Serur, ex ambasciatrice messicana in Ecuador, racconta come ha vissuto l’assalto alla sede diplomatica messicana a Quito. Ha parlato questo 7 aprile dopo aver lasciato l’Ecuador. L’ ambasciatrice messicana in Ecuador, Raquel Serur, è stata dichiarata persona non grata il 4 aprile dal governo ecuadoriano, che ne ha ordinato l’ immediata partenza dal Paese, dopo una serie di dichiarazioni del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador. Nel giro di poche ore è scoppiato un conflitto diplomatico tra i due paesi che ha portato all’assalto della polizia ecuadoriana all’ambasciata di Quito nella notte del 5 aprile e all’arresto dell’ex vicepresidente Jorge Glas. Serur racconta, in prima persona, le ore in cui è precipitata la crisi e come ha vissuto l’arrivo degli agenti alla sede diplomatica. Questa è la sua storia. “Giovedì 4 aprile, mattina, durante una giornata complessa all’Ambasciata. In mezzo a diverse questioni pendenti da risolvere, mi viene in mente una preoccupazione: “Di quale questione vorrà discutere la Cancelliera [Gabriela] Sommerfeld nel pomeriggio? Penso a due possibilità: o mi chiederà l’approvazione per qualche proposta dell’ Ambasciatore, oppure c’è qualche questione delicata, un po’ “irritante”, e vuole darmi una nota verbale di persona…” Continuo con le mie attività e decidere di non pensare alla questione per non distrarsi. Giovedì 4 aprile, pomeriggio Arrivo puntuale all’appuntamento. Sono le 17:30. Mi accolgono con la consueta gentilezza e mi accompagnano nell’ufficio del Cancelliere Sommerfeld. Mi fa entrare e, anzi, è un “irritante”. “Il commento del nostro presidente alla conferenza del mattino”. Penso ancora di poter contestualizzare quanto detto, quando senza ulteriori indugi mi danno un avviso dichiarandomi persona non grata e intimandomi a lasciare il Paese entro un termine massimo di 72 ore. Sento che un fulmine mi attraversa il corpo. Continuo a non capire, mi sembra sproporzionato, del tutto fuori luogo e mi ritiro.” “Non c’è più niente di cui parlare”, dico. Mi tremano le gambe. Salgo in macchina e guardo il maestoso vulcano Pichincha, testimone di tanta storia… Ora che lo scrivo mi viene la prima lacrima agli occhi. Non sono riuscita a sfogarmi. I miei sentimenti sono contenuti e ammassati in un corpo dolorante che non sembra essere il mio. Giovedì 4 aprile, in serata Arrivo all’Ambasciata e racconto al personale che è ancora lì quello che è appena successo. Nessuno dà credito. Cerco di essere forte, dico loro che abbiamo poco tempo e tanto da fare. “È una decisione sovrana dell’Ecuador e non resta altro che accettarla”, dico loro. Mi ascolto come se fosse qualcun altro a parlare per me. La notizia si sparge. Il cellulare non smette di squillare. Messaggi e chiamate. Avviserò il Ministero degli Esteri messicano. Nessuno capisce cosa sia successo o perché sia successo. Dò la notizia a un figlio e poi all’altro. Mi sento come se mi tremasse la voce quando parlo. Il tuo dolore mi ferisce. Giovedì 4 aprile, sera non riesco ad addormentarmi tutta la notte. Messaggi e chiamate con l’ambasciatore [Pablo] Monroy. Pensieri disordinati invadono il mio corpo. Scene degli ultimi tempi mi attraversano la mente. Auto della polizia permanentemente fuori dalle porte dell’Ambasciata; militari pesantemente armati; controllando i bauli dei dipendenti locali. Sento una tensione e una rigidità che permane ancora mentre scrivo. Provo a reprimere quei pensieri, a pensare alle cose che devo chiudere, ma vengo assalita da immagini di sorda violenza che ora assumono un altro significato. Sono preoccupata per come verrà accolta la notizia in Messico. Venerdì 5 aprile, mattina. Sono sollevato dalle dichiarazioni del presidente López Obrador, il quale afferma di non voler agire allo stesso modo; che non espellerà l’Ambasciatore Ecuadoriano, né romperà i rapporti. Parla di me con dolcezza e amore e mi fa capire che manderà un aereo dell’aeronautica per riportarmi in Messico. Mi sento protetta e mi rilasso un po’. Il cellulare continua a squillare senza sosta. Il ministro degli Esteri Alicia Bárcena mi chiama con sgomento. Vado all’Ambasciata per lasciare meno questioni in sospeso possibile. Abbiamo lavorato tutto il giorno, fermandoci solo a pranzo con alcuni diplomatici e alcuni dipendenti locali. Pranzo teso, manifestazioni di affetto, lacrime, parole di sostegno e continuo a cercare di trasmettere loro forza e ricorrere al senso dell’umorismo. Il pranzo è stato l’addio. Era veloce e discontinuo con chiamate e messaggi. Torniamo all’Ambasciata. Ci sono tante cose da risolvere e poco tempo. Vedo il volto triste di Karina, la mia assistente. Chiedo a che ora è iniziata la procedura “di passaggio” e mi dicono alle 4:04. “Un problema in meno”, penso. Parlo con l’ambasciatore Monroy e sento la sua preoccupazione per me. Rimaniamo concentrati sul lavoro e convoco un incontro con tutto lo staff locale. Dico quello che ho già detto e cerco di essere breve perché in quei momenti mi sembra di scoppiare a piangere e non voglio. Resto contenuta in modo che non mi vedano distrutta. Il Ministero degli Esteri messicano pubblica un comunicato in cui informa di aver concesso asilo a [Jorge] Glas il 4 aprile. Venerdì 5 aprile, in serata, al termine dell’incontro annuncio che parto per fare le valigie. Il Ministro Roberto Canseco decide di seguirmi perché c’era l’indicazione di non lasciarmi sola a causa delle vessazioni che subivamo da tempo, ma in modo ancora più forte tra giovedì e venerdì. Arrivo alla residenza e ricevo la visita di due amici dell’urbanizzazione. Cerco di dare un’immagine di forza, ma, a volte, crollo. Mi chiedono cosa mi preoccupa. Riferisco tutto senza dare ulteriori spiegazioni. Forse per ora mi preoccupa una dichiarazione del Cancelliere Sommerfeld intorno alle 17, in cui afferma di non aver ricevuto alcuna richiesta di permesso di “sorvolo” (di passaggio) mentre sono certa che è stata inviata alle 16,04. Alle 20:30 chiedo di uscire così posso riposarmi un po’. Mi sdraio sul letto e cerco di addormentarmi. Non ce la faccio proprio. Entro in una sorta di sonnolenza con una profonda tristezza che invade ogni poro del mio corpo. Verso le 22:00 sento squillare il telefono di casa. Mi hanno fatto sapere che Eva Martha Balbuena, la nostra amministratrice, mi sta chiamando per un caso di emergenza. Afferro subito il telefono e sento un brivido, un tremore in tutto il corpo. Una sorta di prefigurazione di ciò che comincio a sentire. Tra una pausa e l’altra mi dice: “Sono entrati nell’Ambasciata”… “Stanno prendendo l’ingegner Glas”… “hanno preso il ministro Canseco”. Provo un’enorme impotenza mentre racconta quello che sta accadendo, fino al momento in cui mi dice: “vengono portati via”… “Il ministro è stato picchiato, ma noi stiamo bene”. Tutto è andato molto velocemente. Non posso piangere. Tutto il mio corpo trema. Guardo la nostra bellissima bandiera sventolare fuori dalla finestra e non riesco a versare una sola lacrima. Rispondo incredula, disperata, mentre Eva Martha continua a descrivere quanto sta accadendo. Rabbia, disperazione e tristezza mi invadono. Il mio corpo trema sempre più forte. Penso ai miei figli. Tutto in una volta. Vi chiedo di chiudere tutto e di venire con cautela a rifugiarvi presso la residenza. Chiamo Martín Borrego [capo della Segreteria degli Esteri] per avvisare il Cancelliere Bárcena, ma la chiamata ha problemi di ricezione. I miei figli arrivano alla residenza e parliamo per diverse ore di quello che è successo senza riuscire a digerirlo. “Mi rasserena il fatto che almeno stiamo insieme”, dico loro. Pensiamo e ripensiamo a tutto mentre visualizzo le conseguenze di un simile oltraggio. Uno sgomento mi invade, temo. “Cos’altro possono fare?” Cerco di calmarmi, “non faranno altro”, mi ripeto. All’improvviso interrompo i miei pensieri: “Questo è un attacco alla nostra sovranità. Sono entrati nell’Ambasciata, hanno rapito una persona, hanno picchiato il Ministro, hanno spintonato Eva Martha. In realtà si tratta di un’invasione del nostro territorio”. Non riesco ancora a concepire che abbiano fatto qualcosa di così sproporzionato. Provo una paura mista all’indignazione. Passano le ore e nella conversazione giungo alla conclusione: “Avevano previsto tutto”. “Hanno solo aspettato che uscissi.” Eva Martha è l’ultima a lasciare l’Ambasciata. La seguono, la molestano, lei si spaventa e torna all’Ambasciata per sentirsi al sicuro. Chiama il ministro Canseco, che risponde subito all’appello. Mentre parlano nel retro dell’Ambasciata, inizia l’operazione. Braccano la guardia, gli portano via la pistola e il telecomando della porta del garage. Sentendo i rumori, Eva Martha e il ministro si avvicinano per vedere cosa sta succedendo. Quello che accadde dopo è noto a tutti ed è riassunto in poche frasi che nel giro di poche ore sconvolsero il mondo. La forza pubblica irrompe nell’ambasciata messicana con l’ uso della violenza. L’ingegnere Glas viene rapito. Lo caricano su un blindato e lo portano via. Quando il Messico scopre cosa è successo quella notte, rompe i rapporti con l’Ecuador. Cosa li ha portati ad agire in modo così sproporzionato? Come hanno osato violare l’inviolabilità di una sede diplomatica? Con quale diritto attaccano fisicamente il personale diplomatico? Con quale diritto hanno attaccato la nostra dignità? Non c’è alcuna giustificazione per fare quello che hanno fatto. Il Messico ha sempre agito legalmente e le due nazioni hanno un lungo rapporto di affetto e cooperazione. Sabato 6 aprile, mattina non siamo riusciti a dormire. La notte prima e sabato mattina era già chiaro che avremmo dovuto uscire tutti. La rete del Ministero degli Esteri messicano, in allerta da giovedì, ha seguito l’escalation degli eventi; sempre pronti ad aiutare: il Cancelliere Bárcena, l’ambasciatore Monroy, Martín Borrego, la nostra sottosegretaria Laura Elena Carrillo, loro e le loro équipe, tutti in attesa. Non sarebbe servito solo un piccolo aereo, come quello che sarebbe venuto a prendermi, ma un aereo che ospitasse i diplomatici e le loro famiglie: in totale 18 persone e tre animali domestici. Non c’era ancora il permesso di sorvolo. Ho chiamato il Messico e ho chiesto di partire tutti con una compagnia aerea commerciale per evitare ulteriori problemi. Così è andata. Sabato 6 aprile sera, siamo arrivati all’Ambasciata per una piccola cerimonia, abbassare la bandiera che sventolava imponente. Il sergente Cervantes abbassa lentamente la bandiera mentre cantiamo l’inno nazionale. Ci sentiamo tutti commossi, abbiamo un’ immagine fantastica. Pieghiamo la bandiera e lui me la porge. Che momento difficile! Sotto lo stesso cielo stellato abbiamo chiuso la nostra Ambasciata a Quito, domenica 7 aprile. In una nuova e bella alba, e con l’accompagnamento degli ambasciatori di Germania, Cuba, Honduras e Panama, abbiamo lasciato la residenza alle 6:30 diretti all’aeroporto. Durante il volo, molteplici ricordi mi invadono di come sono stati, per me, questi quasi cinque anni in Ecuador. Non solo la sfida professionale di assumere la direzione dell’Ambasciata, ma anche le gratificazioni che derivano da un lavoro ricco di sottigliezze e sfumature; scopri le sue complessità e ammira la capacità, la disciplina e la generosità del mio team. La cosa bella di farsi degli amici dentro e fuori il corpo diplomatico, dentro e fuori il Governo. Com’è stato commovente passeggiare per le stesse strade del centro che avevo percorso con Bolívar, mio marito. Quanto ho guadagnato e quanto ho perso! Rabbia, confusione, tristezza e nostalgia sono state le emozioni che ho vissuto su quel volo. All’arrivo in Messico siamo accolti calorosamente dalla Cancelliera Alicia Bárcena e dalla meravigliosa squadra del Ministero degli Affari Esteri. Un grande sollievo mettere piede sul suolo messicano. Grazie Messico! Riflessione finale: Il diritto internazionale non può ignorare questo atto illegale e brutale. Farlo significa accettare che nella comunità latinoamericana prevarrà il regno dell’arbitrarietà, con gravissime ripercussioni per tutte le nazioni. O rispetto della legge o barbarie.
Articolo pubblicato il 14 aprile 2024 su El País, da PRISA MEDIA.
Traduzione di Maddalena Celano
Fonte: https://www.primicias.ec/noticias/politica/mexico-ecuador-asalto-embajada-testimonio/