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Esteri

Israele si va sempre più radicalizzando a destra: le prospettive politiche

Anche gli Usa si sono accorti che la devastante risposta di Israele allo scioccante attacco di Hamas del 7 ottobre ha prodotto una catastrofe umanitaria. 

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Di Fulvio Rapanà

Anche gli Usa si sono accorti che la devastante risposta di Israele allo scioccante attacco di Hamas del 7 ottobre ha prodotto una catastrofe umanitaria. Durante i primi 100 giorni di guerra, Israele ha sganciato sulla Striscia di Gaza l’equivalente in kilotoni di tre bombe nucleari, uccidendo circa 32.000 palestinesi, tra cui più di 14.000 bambini, ferendone altre decine di migliaia, distruggendo o danneggiando il 70% delle case di Gaza, causato lo sfollamento di 2,1 milioni di persone, circa l’85% degli abitanti. Secondo le Nazioni Unite sono state distrutte il 90% delle strutture sanitarie e circa 1.400.000 abitanti non possono essere curate e sono a rischio di fame e  malattie infettive che si stanno diffondendo rapidamente. Israele ha inoltre distrutto  le strutture amministrative , tutti i municipi e le sedi civiche, distrutta l’Università di Gaza City, assassinato il rettore, insieme  alla sua famiglia, e un numero rilevanti dei docenti. Obiettivi non militari ma annientati   con la volontà di privare il popolo  palestinese dei propri riferimenti civili e culturali. Nello stesso periodo in Cisgiordania  centinaia di palestinesi sono stati  arrestati  e molti assassinati anche per mano dei coloni a cui il governo ha lasciando mano libera  di rubare le terre ai palestinesi distruggere le case e sradicare gli ulivi, intere città trasformate in carceri a cielo aperto. L’escalation è di una gravità e di una sproporzione tale che l’amministrazione Biden incomincia a fare finta di prendere le distanze da Netanyahu per non essere considerata totalmente complice di questa carneficina che  sta rovinando quel poco di reputazione che gli è rimasta. Gli Usa sanno perfettamente che arrivati a questo punto non è possibile fermare Israele davanti a Rafah e quindi buttano in giro cortine fumogene che servono a distrarre l’opinione pubblica, in concreto Gallant, ministro della difesa di Israele, è a Washington da due settimane  per discutere, con i generali del Pentagono, l’operazione di Rafah e la consegna delle armi che gli servono  per completare la carneficina. Ritengo che, se vi è la reale volontà di  risolvere il problema palestinese una volta per tutte, quello che conta veramente è il dopo Rafah in termini  politici e diplomatici negli Usa e in tutto l’occidente  . Escludo che  Israele voglia risolvere il problema palestinese, la situazione e gli orientamenti politici della società israeliana sono così radicalizzati che è difficile trovare interlocutori credibili per un cambio di rotta. Le cancellerie occidentali sono preoccupate del crescente antisemitismo e antisionismo nelle società e nelle università in particolare negli  Usa dove è in corso una furiosa battaglia anche legale, accesa dai repubblicani, che con la scusa dell’antisemitismo vogliono mettere sotto controllo le attività e la libertà di scelta delle universita’ ad iniziare da Harvard, dove la direttrice si è dovuta dimettere, ma anche a Yale, Stanford, Berkeley ecc..  Anche  le comunità ebraiche, particolarmente in quella americana,   il massacro del 7 ottobre e la carneficina di Gaza sono stati tragici, si sentono intrappolate tra una tradizione di liberalismo, che ha caratterizzato le linee guida  della politica ebraica, e una risposta anti-israeliana da parte della sinistra politica. Ciò ha fatto sì che molti si sentissero isolati e, a volte, perseguitati. “La pressione – elettorale, sociale, culturale – sugli ebrei americani in questo momento affinché si dichiarino sulla giustizia della guerra a Gaza e sulla legittimità del primo ministro israeliano è stata inesorabile, spietata e talvolta addirittura feroce”, ha affermato David Wolpe, un eminente rabbino di Los Angeles.  Gli ebrei si trovano in ambedue i partiti ma l’amministrazione democratica è incalzata anche al suo interno dall’ala sinistra del partito di  Bernie Sanders che la definisce  “la guerra di Netanyahu”.  Voci forti a sinistra dicono che lo Stato di Israele è intrinsecamente sbagliato: un “ colono colonialista intruso e incompatibile con i diritti e la sovranità del popolo palestinese che viveva lì prima dell’indipendenza israeliana nel 1948”.E’ la prima volta che una parte rappresentativa della  società e della politica Usa pone dubbi sulla legittimità di Israele ad esistere!!. Emerge  una divisione in cui la stragrande maggioranza degli ebrei americani sostiene Israele e il suo diritto di esistere come stato ebraico, e una minoranza sempre più esplicita non sostiene Israele come stato ebraico e rifiuta ciò che accadde nel 1948. Non era mai avvenuto. Alla base di questa divisione c’è una evidenza che ha declinato il rapporto fra ebrei, di qualunque partito politico,  e lo stato di Israele: gli ebrei sostengono  che l’adesione a uno Stato ebraico nella patria tradizionale del popolo ebraico è intrinseco alla loro identità  ma con l’inclinazione sociale e politica che sta prendendo la società israeliana e il suo governo, pieno di razzisti, xenofobi, colonialisti e antidemocratici, si pone  la domanda: il sostegno allo Stato ebraico è separabile dal sostegno al governo democraticamente eletto di Israele? Per anni sia democratici che repubblicani hanno sostenuto il governo di Israele qualunque sia stato l’inclinazione politica. Ora una parte consistente della società americana e di ebrei è sempre più d’accordo ma da una prospettiva diversa: “Israele è cattivo, indipendentemente da chi lo governa”. E la situazione è tanto grave che il senatore Schumer, un democratico di New York e l’ebreo eletto di più alto rango nella storia americana, ha affermato che “il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu  è un ostacolo alla pace”, e ha chiesto nuove elezioni nell’unico stato ebraico al mondo. Ulteriori cortine fumogene che produce la politica  Usa ad uso e consumo delle correnti interne con scopi elettorali. Dubito che questo pressing su Netanyahu lo costringerà alle dimissioni. Fino a quando avrà una solida maggioranza di governo e cioè fino a quando tratterà la guerra, la questione degli ostaggi e del dopo Gaza così come vogliono i partiti dell’ultradestra avrà l’appoggio politico di questi e nessuno riuscirà a smuoverlo. 

Ma esiste e quale sarebbe l’ alternativa politica a Netanyahu e ad un governo di destra?.  Per quella che è l’attuale inclinazione politica che ha preso la società israeliana c’è la possibilità di trovare un leader che possa portare a compimento un trattato di pace fra i due popoli e una soluzione dei due stati?. Secondo me  le risposte alle due domande sono negative. Come ho scritto nell’articolo di lunedi 11 marzo dopo ogni guerra la società israeliana si è sempre più spostata a destra e quindi probabile che succeda anche questa volta.  Secondo un sondaggio pubblicato il 24 marzo, dal Jerusalem Post,  il partito di Gantz otterrebbe 43 seggi, 11 in più di quelli ottenuti dal Likud nelle elezioni del 2022, e ben più del doppio di quelli che otterrebbe il Likud. Gantz, con le sue solide credenziali militari, sembra anche beneficiare del sostegno  di un certo elettorato di sinistra con l’obiettivo dichiarato di eliminare Netanyahu dalla scena politica.  Inoltre Gantz potrebbe avere il supporto di Yair Lapid, già primo ministro e Ministro degli esteri nel governo dal 2021 al 2022 con Naftali Bennet, ma soprattutto l’appoggio di Gadi Eisenkot  un  politico molto noto in Israele. Ex Capo di stato maggiore tra il 2015 e il 2019, entrato a far parte del Gabinetto di guerra costituitosi cinque giorni dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre, è anche considerato un’autorità morale, particolarmente in questo periodo di guerra, avendo versato un contributo personale nelle operazioni militari con la morte,  il 7 dicembre , del figlio Gal Meir Eisenkot, ucciso in un’operazione militare nel campo profughi di Jabaliya, e successivamente anche suo nipote, ucciso in circostanze simili. Per questi motivi la sua voce , che si distingue nel coro uniforme dei politici israeliani e dei suoi difensori all’estero, è  rilevante ed espressione di un’opinione corrente che in Israele comincia a prendere forma. In una intervista al quotidiano Haaretz afferma che “Netanyahu è totalmente e personalmente responsabile della disfatta militare del 7 ottobre, nonostante fatichi ad ammetterlo in pubblico”  e ancora “ che non è possibile sterminare definitivamente Hamas perché questa non è solo un’organizzazione militare e non è solo presente nella Striscia di Gaza, non vi sarà alcuna chiara vittoria da attendersi,  il nostro governo, ha aggiunto, continua a mentire su questo punto e la ritiene possibile perché manca di un piano di pace per la risoluzione del conflitto, ovvero di uno scenario plausibile per il dopoguerra. Nessuna idea credibile è stata avanzata dall’esecutivo sulla gestione della Striscia all’indomani della conclusione delle operazioni militari e questo perché il Governo non accetta alcuna forma di autonomia palestinese e non accetta i palestinesi come interlocutori legittimi”, infine, ha svelato alla stampa che ”il  governo Netanyahu avrebbe avuto intenzione a espandere le operazioni militari al fronte nord contro Hezbollah, ma che a tale soluzione è stato posto il veto proprio da lui e da  Gantz all’interno del Gabinetto di guerra, ponendo un freno alle mire incendiarie di parte di Ministri del Governo che “non hanno fatto il militare e non hanno mai partecipato ad una guerra”.

Un esito plausibile dell’attuale crisi vedrebbe Israele passare a un nuovo governo di centro-destra  guidato da Gantz. Tuttavia,  nella retorica dello stesso Gantz, c’è poco che suggerisca che un eventuale nuovo governo si discosti in modo significativo dall’attuale approccio della destra al problema palestinese. Né come candidato né da quando è entrato a far parte del gabinetto di guerra, Gantz ha apertamente sostenuto una soluzione a due Stati o una qualsiasi risoluzione politica della questione palestinese. Un eventuale nuovo governo con a capo Ganz è molto probabile che possa continuare sulla strada del Likud e di Netanyahu  nel considerare il problema palestinese esclusivamente in termini di sicurezza, come se la politica dietro al conflitto potesse essere ignorata. Certamente Gantz potrebbe estromettere i partiti di estrema destra dal governo e abbandonare la riforma della giustizia imposta a Netanyahu da questi partiti ma nulla cambierebbe relativamente al problema palestinese, a cosa fare con Gaza e con Hamas che certamente non morirà né scomparirà.

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