Esteri
Donne Cubane, l’ altra metà della Rivoluzione a Torino
Maddalena Celano
Questo 25 settembre 2023, dalle ore 18 in poi, nella città di Torino, varie organizzazioni sociali, politiche e sindacali della città piemontese, hanno organizzato un evento di solidarietà con Cuba, contro il bloqueo e per la solidarietà internazionale. L’ iniziativa, ideata e promossa dall’ Ass. Arci CubaInsieme in collaborazione con la Bocciofila Vanchiglietta, ha ottenuto il patrocinio e la con-partecipazione dell’ ARCI Piemonte, dell’ ANPI, della CGIL di Torino, della CGIL SPI di Torino e il Coordinamento della Solidarietà con Cuba (CSC). L’ evento è stato presentato e introdotto dal compagno Moreno Bacchieri e, la cubana residente in Italia, Olga Lidia Priel Herrera, attivista della comunità dei cittadini del suo paese, ha realizzato una performance artistica (un reading poetico) e, messo in risalto, il saluto inviato dal console cubano di Milano, Marcos Hernández Sosa, per l’ evento. Il console ha ringraziato coloro che “sono sempre rimasti con Cuba” e che il loro appoggio “da forza”. Il Console cubano, rivolgendosi ai presenti con il suo messaggio di saluto, ha evidenziato che il suo paese, dopo il trionfo della Rivoluzione del 1959, soffre l’attacco del governo degli Stati Uniti, che intende soffocarlo economicamente, cercando di provocare un bagno di sangue per rovesciare il governo, ma “non è mai stato in grado di raggiungere questo obiettivo e non sarà in grado di raggiungerlo”. Sono arrivati anche messaggi audio da parte dell’ Icap (Istituto Cubano per la Solidarietà tra i popoli) di Pinar del Rio, in particolare da Otto L. Medero Ungo e da Yana Rosa Figueroa Castillo. Il messaggio dell’ Icap Pinar del Rio dichiara quanto segue:
“Prima di tutto, in nome del popolo di Cuba, e particolarmente a nome dell’ Icap di Pinar del Rio, desideriamo esprimere la nostra infinita gratitudine al nostro fraterno popolo italiano e, in questa occasione, agli amici organizzatori dell’ evento in appoggio al popolo di Cuba che possono contare su di noi. La nostra piccola isola è assediata da più di 60 anni dal vicino imperialista (gli USA), che pretende di imporre le sue regole a tutta l’ isola, in ogni ambito del vivere civile e ad ogni costo. A tal punto da imporre un atto vergognoso come l’ inclusione del nostro paese nella lista dei paesi patrocinatori del terrorismo, quando questo paese (gli USA) ha realizzato innumerevoli atti di terrorismo contro di noi. Chiediamo soltanto che venga conservata la memoria di questi atti. Non dimentichiamo i crimini commessi alle Barbados, non dimentichiamo le bombe negli hotel de La Habana, dove precisamente un giovane italiano (Fabio Di Celmo) perse la vita. Da poco si è conclusa “la Cumbre de los 77 y China”, un’ occasione in più in cui il popolo cubano, insieme ai paesi amici che comprendono la nostra realtà, hanno alzato la voce chiedendo la fine dell’ ingiusto e genocida “bloqueo” e l’ eliminazione di Cuba dalla lista dei paesi patrocinatori del terrorismo. Chiediamo al presidente Biden “Basta cercare pretesti per continuare a opprimere e vessare il popolo cubano, esigiamo il diritto alla nostra sovranità. Esigiamo di non essere più inclusi nella lista dei paesi patrocinatori del terrorismo e la fine del bloqueo”. Seguiremo la linea del nostro Presidente Miguel Diaz Canel perché la nostra rivoluzione è genuina, è sovrana e particolarmente solidale. La solidarietà non sarà mai bloccata”.
È stato realizzato anche un breve spettacolo del rapper Mauras, autore di un brano musicale dedicato ai medici cubani della brigata Henry Reeve. Sono intervenuti, tra gli altri, Elena Ferro della segretaria CGIL di Torino, che ha evidenziato la piena solidarietà con Cuba e ha spiegato i motivi della grande manifestazione nazionale che si terrà a Roma il prossimo 7 ottobre 2023. Tra gli interventi c’è stato anche il mio che, come autrice del libro “Le donne cubane – l’altra metà della rivoluzione” (CTL Livorno Libeccio 2020) ho rilevato, in un breve discorso, l’ importanza di preservare la memoria storica e di far luce, soprattutto, sulla misconosciuta storia delle donne, utile alla ricostruzione di una nuova identità femminile “liberata” e all’ acquisizione di riferimenti che diano modelli positivi di forza e vigore (e non di sottomissione e rassegnazione). Ho evidenziato come la rassegnazione e la sottomissione femminile siano il frutto sano di una colonizzazione dell’ immaginario, da parte dell’ egemonica culturale liberal-capitalista-eteropatriarcale. È importante, perciò, decolonizzare il nostro immaginario cercando, tra gli interstizi della storia, tutti gli esempi delle grandi protagoniste del passato oscurate e ostracizzate dal potere ufficiale per imporre l’ immaginario della “donna ancillare”.
Per l’ occasione, mi è stato chiesto, come mai è importante conoscere il “femminismo cubano”.
Il femminismo cubano: una linea di demarcazione tra la scotomizzazione sessista e le ampie conquiste nazionali e internazionali.
- Il contesto storico-culturale
I cubani, sin dall’arrivo degli spagnoli, nel 1492, affrontarono energicamente i conquistatori, rivelando eroismo e volontà di difendere la propria terra, la propria origine, contro la penetrazione degli elementi culturali della Spagna. Indubbiamente, questo non fu un compito facile per gli aborigeni, perché data la mancanza di protezione e di risorse, era praticamente impossibile impedire che gli attributi spagnoli si fondessero con quelli cubani, che assunsero ulteriori sfumature quando i neri africani arrivarono in queste terre. Hanno portato anche la loro cultura, il loro modo di percepire e appropriarsi dell’ambiente che li circondava. Di fronte a questa situazione, la difesa dei valori cubani e di quelli stranieri incorporati nella propria cultura continuò in crescendo, a tal punto che nel corso del XIX secolo iniziarono le guerre di indipendenza, del 1868 e del 1895. In questo periodo, il coraggio dei cubani divenne palpabile nei molteplici eventi che mostrarono la decisione di combattere il colonialismo, responsabile della grave situazione sociale e politica vissuta in quel momento. Così, tra gli eventi più significativi dell’epoca, spiccarono la prima carica di machete, la storica Protesta di Baraguá, e più tardi, le campagne di La Reforma, l’Invasione dell’Ovest con i rispettivi combattimenti di Mal Tiempo, Calimete, etc. In questo periodo spicca la figura di José Martí, che non solo contribuì alla lotta rivoluzionaria con la creazione del PRC (1892), ma contribuì anche con opere scritte come “Abdala” dove sottolineava: l’amore per la patria, la patria percepita come una madre, un patriottismo che non è amore ridicolo per la terra d’origine, né per l’erba calpestata; é odio invincibile contro chi opprime, è eterno risentimento di chi viene aggredito. Come è noto, nonostante la tenacia dei patrioti cubani dell’epoca, un’indipendenza completa non fu mai raggiunta a causa dell’intervento nordamericano, e questa fu una delle pagine più tristi della storia cubana, poiché non furono riconosciuti il sangue versato e l’altruismo del popolo nel difendere la propria terra. A questi eventi seguirono periodi di frustrazione, ma non di inattività, poiché l’insoddisfazione dei cubani per la nuova realtà sociale e politica divenne latente nei primi anni della Repubblica. Si formò così il movimento degli Indipendentisti afrocubani: ebbe luogo la rivolta di Chambelona, ma fu negli anni ’20 che si verificò il vero risveglio della coscienza nazionale con figure significative come Rubén Martínez Villena e Julio A. Mella che promossero la creazione di molteplici organizzazioni politiche, per lottare contro i governi corrotti dell’epoca, che agivano e cospiravano contro il popolo, attraverso i governanti nordamericani. Nonostante questa situazione, l’opera portata avanti da uomini come Mella e Villena consentì lo sviluppo della lotta politica nel corso degli anni ’30. Gli avvenimenti di quegli anni consentirono la presa di coscienza di cui il Paese aveva bisogno, tanto che già negli anni ‘50 cominciò una nuova impresa armata contro le forze che rendevano omaggio al governo nordamericano, che portò con sé il definitivo trionfo dell’esercito cubano, la rivoluzione nel 1959. Da allora, Cuba non smise di lottare per la sua cultura, per i suoi valori e per la sua identità. Nonostante la turbolenza della storia cubana, una storia ricca di avventure, rivolte e rivoluzioni, uno degli aspetti meritevoli di attenzione è lo scarso riconoscimento che le donne ottennero come protagoniste della storia, e quindi come difensore dell’ identità cubana. In questo senso, è valido sottolineare che, generalmente, la storia è stata scritta da uomini che hanno permeato documenti e articoli storici con una prospettiva puramente maschile e maschilista, filtrata dalle loro limitanti esperienze, che incide sull’insufficiente riconoscimento dei contributi femminili. Ecco perché è fondamentale evidenziare il ruolo delle donne come protagoniste attive nella storia, poiché anche il loro contributo è stato decisivo, affinché oggi si possa godere di una Rivoluzione attenta al benessere di tutti i cittadini e di una cultura inclusiva, per uomini e donne. Pertanto, il contributo femminile, nella storia di Cuba, è valido quanto quello fornito da ciascun uomo.
- Il contributo femminile alla lotta patriottica cubana
Ora, come mai è necessario evidenziare il contributo femminile alla causa rivoluzionaria e alla difesa dell’ identità culturale cubana?
Ciò è dovuto al fatto che le donne non hanno mai goduto delle stesse opportunità e degli stessi privilegi degli uomini, poiché esiste un insieme di norme sociali – storicamente costruite – che hanno impedito (o inibito) per secoli la partecipazione attiva delle donne in molteplici ambiti della società, il che ha dato luogo alla nascita di movimenti decisi a rivendicare i diritti femminili, per ottenerne il pieno riconoscimento in qualsiasi contesto sociale. Perciò, anche Cuba, è stata testimone della lotta femminista. Ma a ciò si aggiunge la partecipazione femminile alle lotte per l’indipendenza, fornendo il sostegno femminile a una causa più grande, quella della Patria, con l’obiettivo di realizzare una nazione in cui prevalgano giustizia e libertà. In questo modo, fin dalla prima impresa indipendentista, è stato riconosciuto il lavoro di Ana Betancourt di Camaguey, che ha alzato la voce nella famosa Assemblea di Guáimaro, sostenendo la partecipazione femminile all’ impresa. Allo stesso modo, è stato apprezzato l’atteggiamento di Mariana Grajales, che fu disposta a sacrificare i suoi figli alla lotta indipendentista. Altri nomi significativi furono Lucía Íñiguez, Amalia Simoni, Mercedes Sirvén, che divennero portatrici dell’autocoscienza nazionale. Allo stesso modo, durante gli anni ’20 del secolo scorso, in una fase di risveglio della coscienza nazionale, ebbe luogo il Primo Congresso Nazionale delle Donne Cubane, in cui vennero fatti conoscere i problemi che le colpivano nella società. In questo senso si può vedere lo stretto legame tra la situazione delle donne e il contesto sociale e politico, poiché uno degli incentivi che spingevano le donne a lottare per l’indipendenza totale del paese era la convinzione che una rivoluzione sociale avrebbe contribuito, senza dubbio, a migliorare la condizione della donna nella società. Nel periodo delle lotte degli anni ’50, le donne erano presenti clandestinamente nei combattimenti che avvenivano in montagna. Nomi significativi del periodo sono Lidia Doce, Clodomira Acosta, Celia Sánchez, Melba Hernández, Vilma Espín, che contribuirono a rendere visibile, ancora una volta, il ruolo delle donne nell’impresa di liberazione. Sebbene questi nomi convalidino la partecipazione attiva delle donne alle lotte per l’indipendenza, non può essere sottovalutato il lavoro delle donne che restarono stanziali nei loro villaggi e nelle città: mogli, madri e figlie, donne che, avendo impegnato in guerra il principale fornitore di reddito della famiglia, hanno partecipato indirettamente realizzando divise e bandiere per i patrioti. A questo va aggiunto la testimonianza di tante altre donne che, nel pieno delle imprese indipendentiste, dovettero lasciarsi alle spalle le convenzioni del tempo e lasciare la casa per lavorare e mantenere il resto della famiglia. Senza ombra di dubbio, il merito delle donne, sotto questo aspetto è innegabile, mentre la loro partecipazione attiva o la loro decisione di sfidare le norme sociali sessiste dell’ epoca è una questione che richiede maggiore riconoscimento. Sebbene la storia abbia testimoniato tutto ciò, nella maggior parte dei casi, il contributo delle donne (e, soprattutto, delle donne cubane), resta nascosto a un numero significativo di persone per via di un’ industria culturale, editoriale ed accademica che tuttora marginalizza e scotomizza le donne. Per questo è necessario rendere visibile il loro contributo alla Rivoluzione e alla difesa della cultura nazionale. Uno dei media che ha contribuito subdolamente a mostrare il nuovo ruolo sociale delle donne è stato il cinema, in particolare nella sua fase rivoluzionaria, cioè a partire dalla creazione dell’ICAIC, perché in precedenza la rappresentazione femminile, anche nel cinema, seguiva l’impostazione patriarcale, presentando le donne cubane solo come ballerine sensuali di cabaret (donne oggetto), come contadine ingenue (sprovvedute) o madri sacrificali.
In questo senso, uno dei film in cui è diventata visibile la volontà femminile di unirsi al processo rivoluzionario è il medio – metraggio “Manuela”, realizzato nel 1966, da Humberto Solás, in cui si apprezza l’inserimento delle donne nella guerriglia, contro la dittatura di Batista; Allo stesso modo, spicca “Lucía” (1968), uno dei classici del cinema cubano, che mostra l’integrazione delle donne nella Rivoluzione in tre fasi significative della storia; “Quella lunga notte” (1979), basato sulla carriera clandestina di Lidia Doce e Clodomira Acosta e “Clandestinos” (1987), di Fernando Pérez, che si concentra sulla storia di un uomo ma riverbera anche la partecipazione femminile nella lotta armata clandestina. L’8 marzo, Giornata internazionale della donna, è motivo di gioia a Cuba. Dopo il trionfo della Rivoluzione, le donne cubane faranno parte del progetto rivoluzionario guidato dal giovane Fidel Castro Ruz. Iniziò allora un graduale processo di sensibilizzazione della società, al fine di stabilire la parità di diritti tra uomini e donne. Un’ analisi sulla situazione femminile e le rivendicazioni femministe, nella prima metà del XX secolo, è essenziale per comprendere la dimensione dell’azione di Fidel nei loro confronti, nei primi anni della Rivoluzione. Durante la fase neocoloniale, perdurarono nel tessuto sociale le concezioni di un’ideologia patriarcale che poneva le donne in secondo piano e continuava ad affidarle alla cura della casa e dei figli. Tuttavia la donna lavoratrice, professionista o operaia, si fece strada con l’ingresso nella modernità e il suo inserimento in nuovi lavori come dattilografa e stenografa o commessa di negozio. Altre non hanno subito la stessa sorte; vittime dell’analfabetismo, della discriminazione o di leggi che le marginalizzavano e che, per questo, sono state costrette alla prostituzione. Di fronte a questa situazione, aumentò la loro richiesta di un posto nella società e di un’equità che consideravano giusta o necessaria. Così, nel 1923 e nel 1925, si tennero il Primo e il Secondo Congresso Nazionale delle Donne Cubane. Entrambi avevano al centro del dibattito il suffragio femminile, ma fu solo nel 1936 che le donne cubane esercitarono per la prima volta il loro diritto di voto, poiché il suffragio universale era stato approvato nel 1934. La prima celebrazione della giornata internazionale dell’ 8 marzo, nell’ isola, risale al 1931. Nei locali del Centro Operaio Cubano, all’Avana Vecchia, un gruppo di donne, alcune delle quali voci riconosciute nei sindacati, denunciarono la discriminazione subita e reclamarono la necessaria unità della classe operaia e delle forze femminili. Con l’approvazione della Costituzione del 1940 si concretizzarono importanti conquiste per le donne, come la tutela della maternità e la parità di condizioni sul lavoro, con un salario minimo conforme alle esigenze della lavoratrice. Tuttavia, in pratica, la discriminazione contro le donne continuava, la differenza salariale era notevole. Il colpo di stato del 10 marzo 1952 aprì una nuova tappa per il paese. I mali della Repubblica si aggravarono, nello stesso tempo in cui si attuava un terrore senza precedenti e si rafforzava la resa agli interessi nordamericani. La donna cubana non rimase immune e le sue richieste furono rinviate per lottare per una causa ancora più grande: il rovesciamento della dittatura. Molte donne si unirono a gruppi rivoluzionari misti come il Movimento Rivoluzionario Nazionale, la Federazione Studentesca Universitaria, il Movimento 26 Luglio e la Direzione Rivoluzionaria; oppure avevano creato organizzazioni esclusivamente femminili come il Fronte Civico delle Donne Martiane (FCDM) o le Donne dell’Opposizione Unita (DOU). Altre si unirono all’Esercito Ribelle della Sierra Maestra con la creazione di un plotone militare femminile, il 4 settembre 1958. Il Plotone prese il nome dalla patriota indipendentista del XIX secolo, Mariana Grajales. Il 1° gennaio del 1959, Fidel elogiò l’audacia e il coraggio di queste donne, in un suo discorso al parco Carlos Manuel de Céspedes, a Santiago de Cuba. Riferendosi al suddetto plotone, osservò: “(…) le donne sono soldati eccellenti quanto i nostri migliori soldati maschi”. In quel discorso trasmise, per la prima volta, anche la sua volontà politica di promuovere pari diritti e opportunità per le donne, quando affermò che: “(…) le donne nel nostro Paese sono un settore che ha bisogno di essere riscattato, perché sono vittime di discriminazione sul lavoro e in molti altri aspetti della vita.” Il 6 gennaio 1959, nel discorso pronunciato nel parco Leoncio Vidal, a Santa Clara, Fidel sottolineò l’importanza che tutti imparassero a impugnare il fucile, affinché l’esercito della Rivoluzione fosse composto da sei milioni di cubani disposto a difenderla. Riguardo al ruolo delle donne, in questo sforzo, ha osservato: “(…) per qualche motivo abbiamo dimostrato che a Cuba anche le donne combattono, e combattono bene, e combattono allo stesso livello degli uomini.” Un mese dopo, alla Shell Oil Company dell’Avana, il leader rivoluzionario rilevò che non si parlava mai di discriminazione di genere, del numero di donne sfruttate, che venivano viste come oggetto di piacere e mai come esseri umani con valore sociale. In questo senso era necessario un cambio di mentalità, poiché molti mali esistevano nella realtà sociale e, soprattutto, nella mente dei cittadini. Fidel Castro fu particolarmente sensibile nei confronti delle contadine, vittime di tanti abusi in tutta la repubblica neocoloniale ma, soprattutto, durante la tirannia di Batista. Nel discorso per il secondo anniversario dell’assalto al Palazzo Presidenziale, il 13 marzo 1959, Fidel Castro sottolineò che le donne contadine vivevano il 60% in meno di quanto avrebbero potuto vivere, a causa delle dure condizioni di vita in cui versavano. Il 22 marzo dello stesso anno, fece riferimento al numero di donne che, nei campi agricoli, erano morte, soprattutto per mancanza di medicine, assistenza medica e cibo. Il 21 agosto 1960, nel discorso alle milizie contadine di San Julián, Pinar del Río, il Comandante Fidel Castro riconobbe l’importante ruolo da esse svolto nella difesa della patria: «(…) le donne sono inserite nelle milizie operaie e contadine (…)». L’unità delle forze femminili fu fondamentale all’inizio del governo rivoluzionario. Con l’iniziativa di Vilma Espín e l’appoggio di Fidel Castro, il 23 agosto 1960 fu creata la Federazione delle Donne Cubane (FMC). Nell’atto costitutivo della FMC, Fidel ha sottolineato che: “(…) le donne devono avere opportunità in tutti i settori e devono essere preparate per tutti i compiti”. Riguardo alla missione di questa organizzazione femminile, affermò che dovrà organizzare le donne cubane, istruirle e aiutarle aumentando la loro preparazione, attraverso corsi e pubblicazioni; aggiornandole su tutte le questioni che interessavano alla donna. In quel periodo, si strutturarono le brigate giovanili femminili e i primi istituti che dovevano raccogliere tutte le ragazze che non andavano a scuola e non lavoravano e orientarle a livello educativo e professionale. Un altro problema sollevato dal Comandante, in questa occasione, e che andava risolto tempestivamente, sarebbe stato quello delle donne che lavoravano e non avevano un posto dove lasciare i figli; così come aiutare le donne contadine e creare istituzioni per educare le loro famiglie. A quel tempo, le donne partecipavano attivamente ai compiti della Rivoluzione; dei 1.412 insegnanti volontari che si recarono sulla Sierra Maestra, circa il 50% erano donne. Il leader della Rivoluzione cubana, concludendo il suo discorso del 23 agosto 1960, avvertì sulla necessità imperativa che in questa fase rivoluzionaria sparisse ogni traccia di discriminazione sessista, affinché: “(…) Le donne cubane ottengano il loro diritti”. Pochi giorni dopo, il 2 settembre 1960, nell’allora Plaza Cívica, oggi Plaza de la Revolución, Fidel, in un discorso memorabile, leggerà il testo conosciuto come Prima Dichiarazione dell’Avana in cui esprimeva: «(…) l’Assemblea Generale Nazionale del Popolo di Cuba… condanna la disuguaglianza e lo sfruttamento delle donne (…)». Ha aggiunto inoltre: “(…) l’Assemblea Generale Nazionale del Popolo di Cuba, proclama davanti all’America: “(…) il diritto delle donne all’uguaglianza civile, sociale e politica (…)”. Il Comandante sollecitò, all’inizio della Rivoluzione, la nascita di un ente per la madre lavoratrice che, durante la sua giornata lavorativa, potesse contare su un ente che provvedesse alla cura, all’educazione e allo svago dei suoi figli. Alla Chiusura della Plenaria Nazionale dei Circoli Sociali, il 16 dicembre 1960, Fidel Castro promosse la creazione di “circoli per i bambini” e spiegò dettagliatamente la loro importanza per la società. Nel 1961, la FMC iniziò una campagna per costruire asili nido; Per questo motivo, il 3 febbraio dello stesso anno, iniziarono a Ciudad Libertad, i corsi per le assistenti all’ infanzia che lì avrebbero lavorato, per lo più ragazze, provenienti da tutto il Paese. Con la legge 1003 del 6 febbraio 1962, vennero ufficialmente istituiti. Fidel, nonostante gli ostacoli che dovette affrontare in quei primi anni per guidare il programma rivoluzionario, diede priorità all’emancipazione delle donne e al loro inserimento nei compiti della nascente Rivoluzione.
- Perché è importante ricordare il ruolo delle donne a Cuba, delle grandi Rivoluzionarie Cubane?
Quando si cammina per le strade de La Habana, i murales che decorano i palazzi ricordano un passato di lotte nazionali piene di protagonisti maschili. I guajiros della foresta e i barbudos della Sierra costituiscono i riferimenti di una storia ufficiale che cerca di inoculare, alle nuove generazioni, lo spirito di una rivoluzione permanente. Martí, Maceo, Céspedes, Mella, Cienfuegos e Che Guevara appaiono come i messia di un destino storico che, con machete e fucili, avrebbero liberato il popolo cubano dalle vecchie colonie e dai nuovi imperi. La differenza è che, le lotte per l’indipendenza nazionale, prima del XX secolo, non hanno avuto, nei media, la stessa risonanza della vittoria militare contro la dittatura di Fulgencio Batista. Ciò portò al fatto che, dall’inizio della Guerra Fredda, la miccia dell’insurrezione cubana si estese alle lotte per la decolonizzazione in Asia e Africa, ai movimenti di guerriglia in Nicaragua ed a El Salvador e all’emergere di un nuovo comunismo, tra la gioventù europea e latinoamericana degli anni Sessanta. Questo contagio rivoluzionario portò al consolidamento della narrazione egemonica in cui le idee liberatrici sembravano essere state formulate esclusivamente dagli uomini che guidarono quelle imprese. Le immagini dei guerriglieri cubani, formati da giovani armati in mezzo al paesaggio selvaggio della Sierra Maestra, hanno catturato l’attenzione delle televisioni, della stampa e delle radio. Per lo spettatore straniero, l’insurrezione cubana è stata inizialmente presentata come un gruppo nazionale guidato da ideologi radicali, di fronte a un governo autoritario nei Caraibi. Il romanticismo delle utopie e il destino storico della liberazione nazionale furono stabiliti nella lunga storia della guerriglia. Hanno continuato la loro lotta come risposta all’illegalità del precedente governo militare e alla repressione delle forze di polizia. Hanno evidenziato la conservazione di numerosi settori socialmente svantaggiati e hanno sostenuto ideali universali come la giustizia e la pace sociale. Questa rilevanza mediatica è andata a scapito di altre posizioni ideologiche e opzioni politiche, anch’esse allineate con il movimento rivoluzionario. I progetti riformisti del Partito Autentico, Il nazionalismo radicale del Partito Ortodosso o la mediazione proposta dal Dialogo Civico e dalle Istituzioni Civiche non hanno avuto quasi alcuna ripercussione sui media e, quindi, sull’opinione pubblica al di fuori dell’isola. Cominciò così ad aprirsi la frattura discorsiva tra la “vecchia” e la “nuova” politica, le cui differenze programmatiche divennero pienamente visibili poche settimane dopo la caduta di Fulgencio Batista. L’impatto globale della Rivoluzione cubana ha incoraggiato l’interesse a conoscerla e interpretarla. Tuttavia, i media occidentali hanno parzialmente distorto la natura della rappresentazione e del processo, anche in ambito “progressista”. La narrazione egemonica sull’insurrezione cubana ha subito diverse mutazioni. In primo luogo, la storia nel suo insieme tendeva alla polarizzazione ideologica, interpretando l’insurrezione come una lotta guidata da un gruppo di giovani guerriglieri che sconfisse un esercito nazionale, meglio armato, e condusse il popolo cubano alla vittoria sulla dittatura, oppure come un gruppo di brutali terroristi indigenti che riesce a sconfiggere un esercito regolare (la narrazione di destra). Successivamente, la spiegazione di questo processo acquisì un aspetto “marxista”, rispondendo così allo spostamento geostrategico di Cuba verso l’URSS, a partire dal 1962, in modo tale che l’insurrezione cominciasse a essere spiegata anche come un prodotto delle contraddizioni di classe vigenti a Cuba, in tutta la Repubblica, come uno dei molteplici scontri tra il blocco comunista e quello capitalista nel contesto della Guerra Fredda. Infine, in linea con la decolonizzazione dell’Asia e dell’Africa, l’insurrezione si è rivelata il segnale di partenza delle lotte internazionaliste del XX secolo, contro le vestigia del colonialismo europeo e del neo-imperialismo nordamericano secolo, contro le vestigia del colonialismo europeo e del neo-imperialismo nordamericano. L’insurrezione cominciò a essere spiegata anche come un prodotto delle contraddizioni di classe vigenti a Cuba in tutta la Repubblica e come uno dei molteplici scontri tra il blocco comunista e quello capitalista, nel contesto della Guerra Fredda. Infine, in linea con la decolonizzazione dell’Asia e dell’Africa, l’insurrezione si è rivelata il segnale di partenza delle lotte internazionaliste del XX secolo contro le vestigia del colonialismo europeo e del neo-imperialismo nordamericano. Questo insieme di risignificazioni, vissute dalla storia ufficiale, si è concentrata eccessivamente sull’ aspetto militare, marxista e internazionalista, a scapito di altre dimensioni del processo che erano offuscate ai margini della iconografia. Il susseguirsi di palinsesti e ramificazioni polarizzate, che queste reinterpretazioni hanno comportato, non solo ha sminuito l’importanza delle altre correnti e opzioni più moderate (all’ interno dello stesso processo rivoluzionario) o della lotta nelle città, ma ha anche mascolinizzato la visione degli eventi e, con ciò, le donne rivoluzionarie (ma anche le ideologhe più moderate) sono state confinate dietro le linee del partito, attraverso una narrativa ufficiale ed egemonica sul processo. Per queste ragioni, per lunghi anni, a causa di una narrativa unilaterale e polarizzata del Processo Rivoluzionario Cubano, le donne occidentali (di orientamento progressista o “marxista”) non hanno potuto attingere ispirazione e stimoli da un processo che, benché lontano, di fatto ha conosciuto un massiccio protagonismo femminile. Di seguito sono riportati due brevi episodi di questa storia scritta controcorrente.
- Il lutto materno come espressione pacifica di protesta
In generale, le donne erano numericamente meno presenti (ma, comunque, presenti) nelle organizzazioni che agivano con mezzi armati, tuttavia la guerriglia e i gruppi di azione urbana avevano bisogno di tutto il sostegno logistico, politico ed emotivo dei cittadini e, soprattutto, delle cittadine. La strategia del travestimento femminile (ovvero le donne vestite da uomini), nei primi anni, incoraggiò la partecipazione delle donne nelle file dell’opposizione. Tuttavia, la recrudescenza delle azioni violente stava mascolinizzando, a livello simbolico, una lotta in cui il vigore, il coraggio e la forza cominciavano a prevalere a scapito della negoziazione, della discrezione e della simulazione, che si presumevano fossero caratteristiche delle donne. Attraverso questo processo, la donna come soggetto e la femminilità come tratto identitario e strumento politico, stavano perdendo prestigio e utilità ai fini di una lotta clandestina sempre più radicalizzata. Organizzazioni come il Civic Front of Martian Women (FCMM) e la United Oppositional Women (MOU) hanno cercato modi alternativi per spingere le donne a unirsi alla loro struttura o a collaborare con azioni di disobbedienza civile. Sebbene sia uomini che donne siano stati torturati o assassinati, quando la stampa clandestina interrogava i lettori sulle sofferenze della popolazione civile, lo fa riferendosi alla maternità anziché alla paternità. Ciò non solo risponde al fatto che, secondo le concezioni di mascolinità e femminilità allora vigenti, si stabilivano chiare differenze di genere rispetto alla capacità di empatia e di espressione di fronte al dolore altrui, ma anche alla necessità che le forze clandestine dovessero mobilitare quante più donne possibile per la guerriglia urbana. Già nel corso degli anni Quaranta le donne assunsero la maternità come elemento chiave per la costruzione della solidarietà post-suffragetta, elemento che divenne pilastro fondamentale della sorellanza nel contesto dell’insurrezione contro la dittatura. In un certo senso, le attiviste hanno trovato nella politicizzazione della maternità un modo per interferire e incoraggiare la partecipazione di altri rivoluzionari ad atti di rivendicazione personali e collettivi. Sebbene il contesto politico sembrasse sfavorevole per rivendicare gli obiettivi femministi, le donne stavano creando i propri spazi di protesta. I discorsi che alludevano alla maternità si concretizzavano in appelli di vario tipo da parte delle stesse donne. A volte, il dolore che ogni madre poteva provare veniva usato come slancio affinché altre donne lavorassero per restaurare il regime politico deposto. In altre occasioni, le madri sono state incoraggiate a chiedere al governo il ritorno dei bambini arruolati, con la forza, nell’esercito nazionale, per combattere per una causa ingiusta che portava via i figli di altre madri. In questo modo, la stampa clandestina ha graziato le giovani combattenti, ha incentivato la politicizzazione delle donne facendo appello alla loro sensibilità e ha incolpato esclusivamente il governo.
- Il Movimento delle donne per i prigionieri politici rivoluzionari
Uno dei compiti per i quali queste organizzazioni femminili hanno ricevuto i maggiori riconoscimenti è stato l’aiuto ai prigionieri politici. Come sottolinea Pablo Marín Somoano, all’inizio essere un membro della famiglia, moglie o madre di detenuti era un marchio, uno stigma sociale, ma presto questa condizione conobbe un cambiamento, abituandosi a configurare un’etica di impegno e di azione politica nella società. civile. In questo modo, il lavoro a favore dei prigionieri politici e le campagne per la loro liberazione gettarono le basi dell’attivismo nelle grandi città. I compiti più comuni dell’assistenza delle donne ai prigionieri politici erano fornire vestiti e cibo, ma soprattutto sostegno emotivo. Le donne hanno speso gran parte del loro tempo e delle loro risorse per raccogliere i fondi necessari per garantire ai detenuti la copertura legale e i beni di prima necessità, ma anche per accompagnarli, incoraggiarli e trasmettere notizie sull’evoluzione degli eventi fuori. Queste conversazioni minime, dietro le sbarre o in stanze sotto osservazione del personale carcerario, alimentavano le speranze di un loro rilascio e li tenevano emotivamente legati alle operazioni che si svolgevano in tutta l’isola. Tuttavia, c’erano molte difficoltà e restrizioni. Oltre al contatto diretto con i prigionieri politici, le donne svolgevano altri lavori importanti al di fuori delle carceri. Attraverso le loro manifestazioni e marce, con striscioni e manifesti, hanno pubblicizzato e informato la società, i media e i tribunali dell’arresto dei loro compagni rivoluzionari o figli. Il MOU e l’FCMM hanno fornito copertura legale e ottenuto il rilascio di numerosi prigionieri, durante la repressione contro i rivoluzionari. L’esperienza accumulata dalle donne, nell’assistenza ai detenuti, le ha portate a formare i primi gruppi che, in modo coordinato, facevano sì che i detenuti dalle forze dell’ordine fossero messi a disposizione degli organi giudiziari per essere sottoposti a un processo con garanzie, mentre in altre occasioni ne hanno chiesto la liberazione o una riduzione della pena. L’Associazione di assistenza ai prigionieri politici, che riuniva i parenti colpiti e gli oppositori del MOU, dell’MR26J, dell’FCMM e della DR, aveva il sostegno di un ampio gruppo di avvocati e collaboratori.