Mettiti in comunicazione con noi

Esteri

LA CADUTA DI KABUL

La sequenza degli eventi che hanno preceduto e portato alla caduta del regime afgano, sostenuto fino a poco tempo fa dalle forze NATO e poi abbandonato.

Avatar photo

Pubblicato

su

Aree di crisi nel mondo n. 80 del 19-8-2021

Ne Aree di crisi del mondo n. 79 si era trattato della situazione in Afghanistan.

Eravamo al giorno 8 di agosto.

Le attività belliche erano concentrate nel sud sui tre capoluoghi strategici, iniziando da ovest, Herat, Lashkar Gah e Kandahar, nel nord invece era caduta Kunduz e le forze governative si univano con un capo storico dei Mujaeddin, il generale Dostum col suo vice Hatta e le loro milizie, storiche per la resistenza contro i talebani nella precedente guerra del ’96-2000.

Nei giorni che seguirono le battaglie cedettero il campo a serrate trattative.

I Talebani passarono ad una strategia differente, non arrivare in città con armi alla mano, ma con offerte di resa e orecchie tese ad ascoltare le richieste e risposte dei capi tribù, comandi militari dell’esercito, Governatori delle province.

È importante ricordare che nella marcia partita nel 2017, l’espansione territoriale talebana si era concentrata principalmente se non del tutto, sui territori delle province tralasciando i capoluoghi, così da lasciare l’impressione che queste fossero ancora controllate da Kabul mentre nella realtà, conosciuta bene dai comandi NATO, esse erano di fatto perse.

La diplomazia diviene quindi la potente arma terminale dei Talebani, non più spietati tagliatori di teste, ma moderati disposti al perdono in cambio di una resa immediata.

Questa strategia è tanto antica quanto efficace, Arrendersi ed essere risparmiati o resistere ed essere sterminati.

La diffidenza iniziale è stata presto fugata dalla sconfitta di Kunduz, dove le unità che decisero di arrendersi furono effettivamente risparmiate, e molte si unirono ai talebani stessi, ad altre invece arresisi, ma non disposte a consegnarsi, fu concesso di ritirarsi verso Kabul.

Le voci corrono in fretta ed in epoca tecnologica ancora di più, tutte le città assediate a quel punto sapevano come potersi regolare, i Talebani erano degni di fede e la loro parola sarebbe stata rispettata.

Nel giro di un giorno solamente, il 12 di agosto, caddero diversi capoluoghi in mano talebana, Herat, Lashkar Gah e Kandahar a distanza di poche ore l’una dall’altra, tutte senza quasi combattere grazie proprio all’accettazione sistematica di ogni offerta di resa e accoglimento da parte talebana delle richieste ragionevoli fatte dalle autorità locali. Persino le forze di polizia continuarono da subito il loro lavoro ma sotto un nuovo stato.

Catturate le principali città del sud altre seguirono, in dieci giorni erano caduti 17 capoluoghi: Zarani (Nimrod), Farah, Shibirgan (Jawzjan), Sar-e-Pul, Taloqan (Takhar), Aybak (Samangan), Kunduz, Pul-e-Khumri (Baghlan), Faizabad (Badakhshan), Ghazni, Herat, Kandahar , Qala-e-Naw (Badghis), Lashkar Gah (Helmand), Tarinkot (Uruzgan), Firozkoh (Ghor), Qalat-e-Gilzay (Zabul). L’anello o il cappio, ormai era stretto al collo della capitale, di fatto restavano Jalalabad, Mazhar i Sharif e Kabul ancora sotto controllo del Governo centrale, il presidente Ghani dichiarava, non senza molte risate nel mondo, di essere pronto alla guerra civile, e lo diceva in un momento in cui era evidente a chiunque che la guerra fosse persa totalmente.

Era il 13 agosto, il Presidente Biden annunciava che gli USA avrebbero messo in campo cannoniere volanti, caccia, bombardieri e tutto quello che avrebbero potuto per difendere il Paese, inutile specificare che nessuno vide mai nulla oltre ad un paio di bombardamenti nelle vicinanze di Kunduz.

Un dispositivo di alcune migliaia di soldati, circa 6000 tra Marines e paracadutisti della 82a aviotrasportata, venivano inviati a Kabul, stessa misura presa dalla Gran Bretagna con paracadutisti, i diavoli rossi ed assieme a loro altre forze NATO a seguire, dall’Italia nulla si muoveva, i giornali di gossip riportavano la notizia del nostro Ministro degli esteri Di Maio al mare nel Salento, con tanto di foto con i gestori del residence, sorridenti e di lui in spiaggia coricato su un lettino a fare bagni di sole. Passeranno due altri giorni prima che si abbiano notizie dal ministro della Difesa l’ex(?) renziano Guerini.

Il 14 agosto i Talebani sono a dieci Km da Kabul avendo conquistato Maidan Shahr i primi contingenti di US Marines si stanno schierando all’aeroporto, dove trovano 500 soldati turchi, 150 azeri, 600 soldati afghani rimasti fedeli e molti contractors privati, in genere statunitensi.

Prendono possesso della struttura e ordinano a tutto il personale della loro ambasciata di raggiungere l’aeroporto una volta distrutti i documenti sensibili, gli hard disk dei computer ed ogni materiale o strumento top secret.

Colonne di fumo si levano dagli edifici dell’ambasciata USA, complesso enorme costato pare un miliardo di dollari ai contribuenti USA.

Gli elicotteri iniziano a fare la spola e trasferire personale, analogo provvedimento viene preso da tutti i Paesi occidentali, ordinando a tutti i cittadini occidentali di abbandonare il Paese.

A quel punto dubito ce qualcuno sapesse come poterlo fare.

Con le ambasciate ormai chiuse, rimaneva come unica possibilità quella di raggiungere l’Aeroporto Karzai di Kabul, le strade però erano ormai divenute un unico ingorgo.

Il Presidente Ghani si faceva fotografare alla periferia cittadina con il capo di stato maggiore dell’esercito che gli mostrava chissà che cosa indicandolo col dito con a fianco delle guardie incredule forse di ciò che gli era dato modo di ascoltare ed accorgendosi anche che loro ne sapevano probabilmente più dei loro capi.

Tutta la fiducia nella possibile resistenza era posta più che nella capitale, sulla fede nel generale Dostum e sul fatto che avrebbe fermato con le sue milizie i Talebani a Mazar i Sharif, poche ore dopo giunge la notizia che il suo vice Hatta era caduto in una imboscata dai Talebani mentre si spostava con un contingente delle sue milizie ed era caduto sul campo assieme a molti dei suoi massacrati. Poco dopo arrivano le immagini della fuga dalla città del nord delle milizie e dello stesso generale Dostum verso il celebre Ponte dell’Amicizia di Termez sul confine tra l’Uzbekistan e l’Afghanistan, venne attraversato con grande ordine e fierezza dall’Armata Rossa che tornava in Patria al termine della guerra in Afghanistan, le milizie invece lasciano un mare di veicoli blindati e corazzati sul ponte e attraversano di corsa il confine senza alcuna dignità o ordine. Pochi minuti dopo vengono pubblicate dai social talebani le immagini di loro militi che siedono nella reggia sfarzosa del generale Dostum.

È la fine.

Jalalabad non perde tempo e si arrende.

Presso Kost, sede delle famigerate squadre della morte afgane al servizio della CIA, terminano i combattimenti e le forze speciali si danno alla macchia, cala la notte su una capitale ormai isolata e circondata.

Le attività all’aeroporto di Kabul sono frenetiche , altrettanto lo sono nelle ambasciate.

Gli USA sono ora ben consci che hanno agito tardi e male, non sanno come rimediare, regna il panico e la confusione anche tra di loro. Biden minaccia i Talebani di non entrare in città e non ostacolare le operazioni di salvataggio o le azioni di ritorsione sarebbero tremende, ma nessuno gli da ascolto.

Quando mancano poche ore all’alba, le milizie talebane iniziano la loro marcia verso il centro cittadino, muovendosi da nord, da sud e da ovest raggiungono la prima fascia della cerchia urbana causando l’immediata ritirata in massa delle truppe a difesa della città.

Cala un blackout su tutta Kabul.

Immersa nelle tenebre, con i suoni sporadici di spari lontani si percepisce l’ineluttabilità della fine.

Tecnologia dell’aeronautica americana. sergente Jerry Morrison Blackhawk decolla dall’aeroporto di Kabul, Afghanistan, immagine di dominio pubblico

All’alba vengono fatte confluire molte forze talebane in città per prenderne il totale controllo.

Da Herat l’uomo simbolo della guerra ai sovietici prima e ai talebani dopo, arresosi con la caduta di Herat, il comandante Ismail Khan, viene inviato sano e salvo a Kabul con l’offerta di resa per Ghani, che rifiuta.

Il 15 viene raggiunto da una delegazione talebana, che ormai dilagano in città, l’esercito si è arreso ed è passato con i Talebani, Ghani cede il potere ai Talebani, prima di andarsene viene immortalato mentre abbraccia il capo della delegazione talebana, sicuramente grato perchè lo lasciano partire, scappa con un elicottero carico di sacchi , si scoprirà dalle dichiarazioni del suo vice Saleh, fuggito ancora prima di lui in Tagikistan, che Ghani aveva con se 149 milioni di dollari in contanti.

Saleh il giorno dopo si proclamerà come nuovo presidente dell’Afghanistan ( forse in concorrenza con Guaidò o la Tikanoskaya, non voleva essere da meno).

A Kabul viene quindi proclamato l’Emirato islamico dell’Afghanistan, i Talebani dichiarano terminata una guerra durata quasi 20 anni con l’invasione del loro Paese e conclusasi con la loro completa e totale vittoria.

An RAF Chinook helicopter is loaded into a C-17 Globe master.
Un CH47 viene sbarcato da un C-17 Globmaster Aeroporto di Kabul L’immagine by Defence Images è sotto licenza CC BY-SA 2.0

Presso l’aeroporto Karzai arrivano ulteriori contingenti di soldati USA e di altre nazioni, persino in Italia appare il ministro Guerini, quello della Difesa, che si dice sorpreso dagli eventi e totalmente impreparato, annuncia che ci sarà un invio di aerei e truppe, (100 soldati!?) per rimpatriare il personale diplomatico e i nostri connazionali.

Nell’aeroporto è il caos totale, gli aerei militari si mescolano a quelli civili, di li a poco vengono interrotti tutti gli arrivi dei voli di linea che nessuno aveva ancora fermato. Il perimetro della struttura appare in breve tempo impossibile da controllare, fuori ci sono decine di migliaia di persone che premono per partire, qualcuno ha sparso anche la voce che per tutti ci siano visti umanitarie e la calca diviene in breve incontenibile, un’orda oltrepassa la recinzione del perimetro con ogni mezzo, si precipitano sulle piste, assistiamo a scene viste solo in film distopici, molto, molto peggiori di quelle mai viste in precedenza, superano di molto quelle di Saigon ritenute assolutamente non ripetibili dal presidente Biden solo un mese prima.

Il 16 i talebani prendono controllo capillarmente della città ed iniziano anche a schierarsi sempre più vicini alla struttura periferica dell’avio superficie.

Le TV di tutto il mondo rimandano le immagini dell’aeroporto dove a causa delle troppe persone sulla pista vengono interrotte più volte le operazioni di decollo ed atterraggio, i voli dall’Italia non sono ancora arrivati, arriveranno in tarda mattinata.

Nessun governo di transizione verrà accettato, i Talebani non medieranno il loro potere, lo prenderanno tutto e subito. Vengono emanati ordini di perdono per i funzionari pubblici che hanno lavorato con il precedente governo collaborazionista con le forze di occupazione e l’amnistia viene estesa anche alle forze di polizia, molti tornano in servizio, le forze speciali talebane appaiono ora in pubblico dotate di divise mimetiche nuove, armamenti occidentali ed equipaggiamento moderno, tutti regali lasciati dalle super addestrate forze speciali dell’ANA addestrate dagli occidentali e abbandonate nelle caserme da loro occupate.

Incredibilmente appaiono in TV giornaliste donne a condurre le trasmissioni, tornate al lavoro su richiesta talebana, giornaliste occidentali come Clarissa Ward della CNN appaiono con servizi televisivi direttamente dalle strade della capitale con a fianco le truppe talebane, ed è subito polemica perchè si copre il capo e le spalle con un velo, pochi sembrano notare che fuori dalle abitazioni o strutture private come alberghi o residenze, se non si volevano incontrare problemi, le giornaliste li hanno sempre indossati per strada e ancora di più nelle province, come del resto le donne nelle province hanno continuato, in questi 20 anni a indossare il burka integrale.

Norwegian Special Forces Kabul Airport Attack
forze speciali norvegesi aeroporto Karzai di Kabul L’immagine by Metziker è sotto licenza CC BY-NC 2.0

I ventilati diritti delle donne appartenevano solo ad un ristretto e sparuto numero di donne benestanti, per tutte le altre poco o nulla era cambiato.

Presso l’aeroporto nel frattempo la situazione degenera, gli Afghani esclusi dai voli li prendono d’assalto, respinti all’imbarco dai soldati, determinati a non farli avvicinare, tentano allora di salirvi sopra nella fase di rullaggio in pista, molti disperati, e perdonatemi, idioti, tentano di aggrapparsi ai carrelli o salgono sulle paratie dei C17 aperte a terra ma destinate a chiudersi una volta ritratto il carrello in volo.

I video di questi voli in partenza con disperati saliti sull’aereo fanno il giro del mondo, alcuni di questi si riprendono e i loro video vengono trasmessi sui loro social in diretta, pochi minuti dopo con il decollo del volo, la scena diviene tragica, i loro corpi cadono perchè i portelli dei carrelli dei c17 vengono chiusi e l’aereo prende sempre più velocità, l’orrore in diretta.

Nella notte vengono nuovamente sospesi per diverse ore i voli, gli eserciti presenti riprendono il controllo delle piste, pare anche facendo ampio uso delle armi da fuoco.

Senza più alcuna minaccia da parte USA, i Talebani schierano all’esterno , ma anche all’interno del perimetro aeroportuale, le loro truppe. Queste ora sono presenti con ampio numero e disponibilità di mezzi, spesso proprio pagati dagli americani per l’esercito, e ripristinano l’ordine fuori dall’aeroporto.

Il 18 infine le immagini delle piste sono libere dalle folle di disperati i voli proseguono regolarmente.

I talebani sono ormai interlocutori per tutti i Paesi nel mondo.

I governi occidentali iniziano a confrontarsi con i media e al loro interno per la incredibile impreparazione di fronte agli eventi, una assurda ed ingiustificabile incompetenza ha permesso di ritardare fino alla fine il rientro di decine di migliaia di stranieri occidentali che operavano nella capitale e nelle province cadute nel giro di pochissimi giorni, ed ora devono esser rimpatriati e lo si può fare solo con la collaborazione talebana, che per fortuna c’è ed è essenziale.

Da più parti ci si domanda chi si assumerà la responsabilità di un simile disastro.

Biden la sera del 16 ha parlato alla Stampa USA e di certo non si è assunto alcuna colpa, le a divise tra il suo predecessore, che però aveva firmato un accordo per il ritiro, cosa dallo stesso Biden difesa come inevitabile, e il popolo afghano, insultato come vigliacco ed incapace di difendersi. Chiunque dotato di buonsenso è rimasto allibito di fronte ad un simile comportamento, la vice Kamala Harris al momento non ricordo di averla vista, cerca di sottrarsi alle sue responsabilità, ambiziosa com’è sa bene che ora deve defilarsi per evitare di vedersi legare come immagine alla più tremenda sconfitta militare e mediatica subita dagli USA nella loro storia.

Vietnam 1975
Vietnam 1975 profughi vietnamiti in fuga con una nave L’immagine by Tommy Japan 79 è sotto licenza CC BY 2.0
SOUTH VIETNAM 1975. Refugees during the last days of the Vietnam War
Vietnam 1975 profughi in fuga L’immagine by Tommy Japan 79 è sotto licenza CC BY 2.0

Questo è ciò cui abbiamo assistito, una pagina di storia destinata a restare come esempio di ciò che NON deve essere fatto nel condurre una guerra prima, e nel gestire la propria sconfitta poi, soprattutto tentando MISERAMENTE di addossare ad altri le proprie responsabilità e colpe.

Sic transit gloria mundi.

di Stefano Orsi