Esteri
Aree di crisi nel mondo n. 69 del 21-5-2021
Aree di crisi nel mondo n.69 del 21-5-2021 argomenti: Palestina, tregua tra Israele e Gaza, Situazione in Yemen, Afghanistan, il difficile ritiro USA e Nato, Situazione in Cile e Colombia
Di Stefano Orsi
Regge il cessate il fuoco in Palestina.
Palestina: Gaza
Regge dalle ore 01:00 di oggi ( articolo scritto il 21 maggio, ora di Roma) il cessate il fuoco concordato tra le parti con la mediazione USA ed Egitto, si sono parlati i Presidente Biden e Al Sisi al telefono per arrivare ad un accordo.
Diamo due numeri di questa crisi:
11: i giorni di conflitto
5: sedi di banche colpite
10: uffici governativi distrutti.
11: le filiali ministeriali distrutte.
9: i grattacieli rasi al suolo dall’IDF.
12: le persone uccise in Israele dal lancio dei razzi da Gaza.
90: degli oltre 4000 missili lanciati da Gaza, secondo l’IDF, il 90% di questi sarebbe stato distrutto dal sistema Iron dome, riteniamo più credibile un 75%,
200: il costo dei missili Iron Dome lanciati supera i 200 milioni di dollari.
100: presentando il risultato dell’operazione Guardians of the walls, è stato indicato in 100 Km il totale di tunnel sotto Gaza distrutti durante l’operazione.
232: il numero delle persone ufficialmente uccise dall’IDF durante gli attacchi a Gaza, di questi 66 erano bambini.
1900: il numero ufficiale dei feriti palestinesi di Gaza.
La modalità del cessate il fuoco ha previsto un voto del governo israeliano sul cessate il fuoco unilaterale con le modalità e l’ora di inizio, Hamas ha immediatamente risposto che lo rispetterà.
La domanda che tutti ci porremmo di fronte a questi 11 giorni di distruzione e morte, quasi per intero gravata su Gaza, è a chi ha giovato tutto ciò?
Non di sicuro ai cittadini di Gaza, che ora non hanno più l’erogazione di molti servizi, acqua, elettricità, strade devastate, innumerevoli palazzi demoliti o gravemente lesionati dalle esplosioni.
I morti, quelli ufficiali e quelli che nessuna delle parti rivelerà mai, sono coloro che hanno pagato il prezzo maggiore, e poi vengono le migliaia di feriti, alcuni molto gravi e menomati per il resto della vita dalle bombe israeliane, la maggior parte di questi sono civili.
A chi ha giovato… Nemmeno Israele ne esce bene, tralasciando il costo economico dell’operazione, a livello di immagine abbiamo assistito al fallimento del sistema Iron Dome, che è stato “bucato” da missili costruiti in garage, nulla a che vedere con i veloci e furtivi missili costruiti in Iran, che si sono dimostrati molto precisi oltre che affidabili.
I bersagli delle basi americane colpiti con precisione chirurgica a gennaio 2020, sono li a dimostrarlo. Per non parlare dei missili da crociera, la cui versione indigena prodotta in Yemen su progetto iraniano, ha bucato le difese aeree USA delle basi in Arabia Saudita, sono passati a fianco della principale base aerea di Riad, la “Prince Sultan” senza essere individuati dalle difese aeree, hanno colpito pesantemente il terminal petrolifero più importante della compagnia di stato AramCo.
Israele ha dimostrato tutti i limiti della sua tanto pubblicizzata difesa aerea, messa alla frusta con sistemi che definire primordiali è un eufemismo.
Il confronto è stato simile al Davide contro Golia, ma con i ruoli invertiti, la fionda ed i ragazzi erano i palestinesi ed il feroce Golia l’IDF di Telaviv.
Ma moltissime piattaforme di lancio sono state individuate e distrutte, i lanci si erano molto ridotti nei giorni scorsi.
L’immediata accettazione senza condizioni del cessate il fuoco da parte di Hamas non sarà formalmente una resa, ma davvero gli assomiglia molto.
Resta pertanto valida l’analisi che abbiamo avanzato nello scorso articolo e ribadito nuovamente nel video SITREP registrato assieme a Sascha Picciotto di Saker Italia.
Israele dunque ha vinto o no?
La mia risposta è no, per avere una vittoria israeliana, avrebbero dovuto annichilire le capacità militari di Hamas, e questo , nella mia analisi , non è avvenuto, non ho visto alcun esito di esplosione di depositi di esplosivi o razzi che sono in possesso della formazione resistente di Gaza, pertanto saranno in grado, entro poche settimana di ripetere in tutto e per tutto sia nell’intensità che nei numeri, i lanci di razzi di questi undici giorni.
Hamas ha vinto? Anche in questo caso la risposta è no, Hamas non ha raggiunto alcun obbiettivo minimo, ha subito perdite umane e di materiali, comunque pesanti, avrà da ripristinare i servizi tra mille difficoltà per vedere arrivare i materiali e attrezzature occorrenti, devono passare da Israele, e non ha ricevuto alcuna concessione apparente o nota.
Chi dunque ha vinto? Perché un vincitore c’è e per ora il suo nome è Netanyahu, a raggiunto i suoi obbiettivi:
Primo: fermare l’insediamento del nuovo governo.
Secondo: far naufragare il progetto di alleanza alternativa che vedeva escluso il suo partito il Likud.
Terzo: presentarsi di fronte all’opinione pubblica israeliana come quel leader risoluto che non bada a nulla per difendere il suo Paese ed essere riuscito a sconfiggere il pericolo “terrorista”.
Quarto: non dover affrontare le sentenze dei processi a suo carico.
Definendo quindi l’unico vincitore di questa vicenda triste e schifosa, possiamo anche individuarne il vero responsabile.
In questi difficili giorni, ho ascoltato solamente Moni Ovadia accusare apertamente come responsabile e stratega di questa crisi il primo ministro Netanyahu, mentre nulla ha rotto il muro di disinformazione dei TG nazionali che ha dipinto Israele come vittima di una aggressione e “costretto” alla “difesa”, per non parlare del vergognoso schieramento di politici bipartisan da Salvini a Letta tutti abbracciati alla bandiera di Telaviv.
Yemen
Terminato il Ramadan è ripresa con grande intensità, l’offensiva delle forze di liberazione dello Yemen le milizie Houti, concentrata quasi per intero sulla roccaforte difensiva di Marib.
Sulla mappa potete osservare come una ampia zona desertica si apra alle spalle di questo ultimo perno delle difese saudite, rotto questo argine, le forze Houti dilagherebbero per più di 200 Km e l’unico punto per allestire una possibile linea di difesa saudita sarebbe Al Abr. L’allargamento del settore di Yemen libero, allungherebbe la linea dei rifornimenti sauditi via terra alle forze nel sud del Paese, aprendo la possibilità strategica per gli Houthi di attaccare alcune città lungo la costa dell’Oceano indiano alla ricerca di un eventuale nuovo sbocco al mare.
Il leader yemenita Sayyed al Houthi ha recentemente denunciato il peso che l’embargo economico e navale sul paese stia pesando sulla popolazione, in quanto faticano ad arrivare nel Paese anche le sole dettate di grano per l’emergenza umanitaria. Le minacce americane di ridurre a carta straccia la valuta yemenita per ridurre le capacità di rifornimenti per l’esercito di San’a si stanno tramutando in fatti concreti, viene qui applicata la feroce strategia di distruzione economica di un Paese per causare il crollo degli oppositori al predominio USA, in questo caso alleati fieri del “macellaio” MBS (M. Bin Salman) così chiamato per il caso Kashoggi,
Afghanistan
Il ritiro della NATO sta preoccupando molto gli USA, stanno fuggendo da Kabul, ma temono che un nuovo Vietnam si profili, il governo locale appare molto debole senza il supporto occidentale e destinato a cadere in breve tempo.
A mano a mano che le truppe NATO abbandonano il Paese, i Talebani ne occupano facilmente le posizioni.
Gli USA stanno tentando di intensificare l’uso dei droni d’attacco, ma finora non sortiscono effetti rilevanti.
Washington preme sui Paesi confinanti per riaprire alcune basi di cui aveva potuto disporre nel 2001-2002 per l’operazione “Enduring Freedom” quando USA e GB occuparono il Paese e dopo arrivò la NATO per dare manforte nell’occupazione.
Di acqua sotto i ponti ne è passata e oggi nessuno di questi stati limitrofi, Tagikistan, Uzbekistan o Turkmenistan, appare intenzionato a dare alcun appoggio agli USA, e meno che mai la Russia darebbe il suo necessario avvallo essendo tutti Paesi ex URSS e poi CSI.
L’accordo siglato in Qatar da Trump ha si fermato gli attacchi contro le truppe USA, ma i Talebani li hanno intensificati contro quelle locali.
Biden poi ha dichiarato che gli obbiettivi USA si fossero compiuti in toto 10 anni fa con l’uccisione di Bin Laden, dimentico che fosse stato ucciso in Pakistan…
Cercano di mascherare una fuga con una vittoria, ma il gioco pare riuscire solo con la mente annebbiata del nostro malcapitato ministro degli esteri DI Maio che ha parlato in maniera involontariamente comica di “scelta epocale”…
In definitiva, gli attentati di questi giorni potrebbero anche non essere opera degli stessi “studenti del Corano”, ma dello stesso governo di Kabul nel vano tentativo di fermare la fuga degli eserciti occidentali unico supporto per la loro permanenza al governo.
Cile e Colombia
Bogotà
Siamo ormai a 24 giorni di mobilitazione in tutto il Paese contro le politiche neoliberiste e sanguinarie del regime di Duque ( Presidente della Colombia per la stampa occidentale).
Il Comitato Nazionale per la Disoccupazione (CNP Comitè National del Paro) ha dichiarato che le manifestazioni e la mobilitazione generale continueranno, a dispetto della violentissima e sanguinosa repressione dei reparti della polizia del regime.
Sono in corso incontri con l’esecutivo ma nel frattempo scioperi, manifestazioni e blocchi non cesseranno.
Occorre infatti capire che già lo scorso anno erano esplose le proteste della popolazione, sebbene da noi in TV si vedessero solo le immagini del golpe contro Morales, allora i comitati di rappresentanza del Popolo colombiano, sospesero le manifestazioni una volta avviate le trattative, ma il governo non concesse nulla avendo ottenuto la fine delle rivolte. Questa volta dicono, non sarà così.
I comitati richiedono una presa di posizione del Governo che condanni le violenze sulla popolazione e che diano garanzie per il rispetto minimo dei diritti umani nel Paese, cosa che non verrà mai spiegata sui media nazionali, la Colombia infatti ha aderito alla NATO il 31 maggio del 2018, e pertanto non credo sia di buon esempio ammettere paesi che reprimono nel sangue le manifestazioni pacifiche della popolazione, o almeno consentire che ne parlino i media…
Il Governo colombiano appare davvero in gravi difficoltà di fronte alla crescente rabbia popolare.
Santiago del Cile
In Cile si sono svolte le elezioni amministrative e anche l’elezione dell’assemblea Costituente che dovrà riscrivere la Costituzione cilena voluta da Pinochet.
La vittoria è andata alle formazioni capitanate dal partito Comunista cileno, da altre indipendenti ma soprattutto ha visto la destra storca erede del dittatore non riuscire ad andare oltre al 30% dei seggi totali.
Anche nelle amministrative non è andata loro meglio, addirittura la capitale stessa ha visto la vittoria alla carica di sindaco della candidata comunista Iraci Hassler di soli 30 anni.
L’Assemblea Costituente sarà formata da 155 membri, in maggioranza della formazione Comunista/sinistra, poi indipendenti e della destra.
A loro sarà affidato il compito di riscrivere la Carta imposta da Pinochet, che affidava il Cile ad un disastroso modello neoliberista che ha portato a privatizzare tutto il privatizzabile, rendendo impossibile il costo della vita per i cittadini che dal 2019 hanno dato inizio ad una imponente serie di grandi manifestazioni di piazza contro i governi neoliberisti che seguono le politiche oggi a noi imposte sia dai partiti di destra che da quelli che si definiscono di centrosinistra ma che in realtà sono di destra economica neoliberista come in Cile.
I Cileni rifiutano chiaramente questo modello fallimentare che deruba i popoli delle loro ricchezze e impone costi e modelli di vita disumani ed inaccettabili!
Seguiremo nei mesi a venire lo sviluppo dei lavori.