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Editoriale

La guerra ingiusta

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Credit foto "World without wars..... peace now!" by Rafael Edwards is marked with CC BY-NC-SA 2.0.

di Lavinia Orlando

Sgombriamo il campo da qualsivoglia dubbio. L’attacco militare sferrato dalla Russia contro l’Ucraina è semplicemente inaccettabile. Morti, feriti, sfollati e profughi, che rappresentano il primo e più evidente tra gli effetti generati dalla guerra, sono ingiustificabili, quand’anche si limitassero a pochissime unità. Le stesse considerazioni non possono che valere per tutte le conseguenze secondarie del conflitto, dalla distruzione strutturale alla crisi economica.

Ciò precisato, ci si chiede se sia ancora possibile esprimere qualche considerazione fuori dal coro unanime pro Ucraina senza essere considerati fedeli adepti putiniani.

Partiamo dalle scelte italiane. Il Parlamento, quasi all’unanimità, ha impegnato il Governo, tra i vari punti, a cedere “apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione” e “ad attivare strategie di diversificazione degli approvvigionamenti energetici”. Ciò si è tradotto, prima ancora che la risoluzione fosse approvata, in un decreto che stanzia 153 milioni per il 2022 e 21 per il 2023 al fine di potenziare le missioni della Nato ed altri 50 milioni per armi da inviare in Ucraina. Circa la parte relativa alla questione energetica, la risoluzione apre la strada al ritorno alle centrali a carbone, con la possibile riattivazione dei gruppi già spenti.

Problematica ambientale a parte, su cui pure si tornerà a disquisire, ci si chiede se la soluzione più logica sia davvero quella di inviare armi ai civili ucraini e se non si debba, al contrario, puntare esclusivamente su ciò che non si è quasi mai fatto, se non a pochi giorni dall’attacco russo, ossia negoziati ed interlocuzioni.

E qua giunge la nota più dolente e, dunque, celata: la correlazione dell’attacco russo al mancato rispetto degli accordi di Minsk del 2014 e con l’espansionismo statunitense nell’area ex sovietica. Non sarebbe stato meglio agire su questi due fronti per tempo, diplomaticamente, accettando compromessi e, così, scongiurando il rischio di conflitti che, al netto dell’enorme sofferenza di chi si trova in questo momento sotto attacco, determinano problematiche di svariato tipo a livello mondiale?

Un po’ quanto cercava di spiegare il corrispondente Rai, Marc Innaro, accusato di essere eccessivamente filo putiniano e bombardato da quasi tutte le forze politiche, ad iniziare dal Partito Democratico, per aver semplicemente constatato quanto è di ovvia evidenza: l’allargamento, nel corso di decenni, dell’influenza Nato a discapito della Russia.

La tragedia umanitaria in corso in Ucraina, tuttavia, ha reso (quasi) tutti incapaci di analizzare la situazione in maniera omnicomprensiva. Così, se da una parte si continua a ribadire in ogni dove la ferma condanna alla guerra, dall’altra quasi tutti i parlamentari italiani hanno espresso voto favorevole all’invio di armi. Come tale determinazione sia compatibile con la circostanza che, fino a mezz’ora prima, contemporaneamente e subito dopo la discussione nelle Aule di appartenenza, gli stessi continuassero ad invocare il cessate il fuoco, fa parte dello straordinario camaleontismo della politica.

Il termometro della schizofrenia di fondo è fornito da uno degli esponenti più autorevoli sul tema, quel Matteo Salvini che non ha rinunciato, neanche in quest’occasione così drammatica, alle sue tanto care perle di saggezza. Al di là dell’auspicio di recarsi in Ucraina per formare un grande movimento per la pace – espresso, ovviamente, subito dopo aver votato a favore dell’invio di armi nell’Ucraina medesima – non poteva mancare la solita stoccata sull’immigrazione. “Si all’accoglienza di migranti veri che scappano da guerre vere”, ha riferito il leader della Lega, come se i tanti africani accolti nel nostro Paese provenissero da zone di pace ed un po’ come se le migliaia di morti del Mediterraneo abbiano meno valore dei morti ucraini.

Nulla giustifica una guerra, il concetto va ribadito, ma ciò non significa che chiunque sia in qualsivoglia modo ricollegabile all’aggressore debba essere trattato come un paria o addirittura bandito, come sta accadendo da qualche giorno a questa parte nel mondo occidentale. Si pensi all’Università Bicocca di Milano che cancella il corso su Dostoevskij – salvo poi ritornare sui propri passi, anche alla luce delle tante polemiche sorte. Si pensi, ancora, al Comitato Paraolimpico Internazionale che non permette a russi e bielorussi diversamente abili di iscriversi alle appena iniziate Paraolimpiadi invernali di Pechino.

Le sanzioni economiche UE contro la Russia – blocco del sistema SWIFT, divieto di esportazione di alcuni beni per le imprese europee in Russia, divieto di utilizzo a carico della Banca Centrale Russa delle riserve in dollari o euro – faranno il resto, sempre a nocumento della popolazione russa, che è ciò che qui interessa.

Nell’unirci al coro unanime di condanna alla guerra, sia concesso di esprimere un unico, grosso, auspicio: che chi ci governa faccia seguire alle parole fatti consequenziali, almeno in questa situazione così delicata. Si lascino giochi di potere, strategie e sortite squisitamente mediatiche alle quisquilie nazionali e si dimostri, almeno in questa situazione, un minimo di serietà e, soprattutto, di coerenza. No alla guerra. No alle armi. Sì ai negoziati ed al dialogo.

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