Editoriale
Il Reddito della discordia
di Lavinia Orlando
Il Reddito di Cittadinanza, oltre a rappresentare uno strumento di tutela delle fasce più deboli della popolazione, si è sin da subito connotato come arma politica da sfoderare, a seconda dei casi e delle situazioni, per criticare chi l’ha introdotto nel nostro ordinamento o, al contrario, chi ne ha sempre chiesto la cancellazione.
Ecco perché il pur granitico Premier Mario Draghi ha avuto notevoli grattacapi nel tentativo di trovare un punto d’incontro, circa le modifiche da apportare alla misura, all’interno della sua composita maggioranza, chiaramente divisa tra favorevoli e contrari allo strumento introdotto dal primo governo Conte.
Ed è davvero significativo che la contrapposizione sulla tematica abbia visto, da una parte, Movimento Cinque Stelle, insieme a Pd e Leu e, dall’altra, Lega, Forza Italia ed Italia Viva, così rendendo ancora più palese ciò che già da anni risulta alquanto scontato: la similitudine ideologica col centrodestra del partito di Matteo Renzi, ora più che mai molto più vicino a Berlusconi e Salvini che a Letta.
Circa la misura in oggetto, il compromesso raggiunto prevede, al momento, piccoli correttivi che non risolvono le diverse problematiche che il Reddito di Cittadinanza ha, sin da subito, mostrato: controlli insufficienti e tardivi, quantificazione del sussidio secondo criteri, almeno apparentemente, non sempre chiari ed univoci, difficoltà di incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
Le modifiche previste all’interno della bozza di Legge di Bilancio 2022 riflettono la trazione alquanto liberista del Premier: basti pensare al regalo concesso alle Agenzie private per il lavoro che dovrebbero affiancarsi ai Centri per l’Impiego – che è pur vero che in questi anni hanno mostrato tutte le loro carenze. Per non parlare del mancato rinnovo dei contratti ai navigator, selezionati appositamente per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Il senso di favorire soggetti privati in luogo di risolvere le criticità che si sono manifestate nel settore pubblico sfugge, a meno di pensare ad una scelta di campo ben precisa che va nella direzione di facilitare il privato affossando sempre di più un pubblico già sofferente.
Questa e le tante altre pseudo soluzioni immaginate non faranno altro che spostare problematiche che comunque permangono, in quanto insite nella natura stessa del Reddito di Cittadinanza che, in quanto misura ibrida, non soddisfa in pieno né l’una né l’altra finalità per cui sarebbe stato introdotto nel nostro ordinamento.
Un po’ reddito minimo garantito, un po’ sostegno alla ricollocazione, la misura ha finito per fallire soprattutto nel secondo scopo, tuttavia garantendo un punto fondamentale: la tenuta sociale, soprattutto nel periodo nero della pandemia da Covid-19. Fosse anche solo per questo, non si comprendono le richieste di abolizione del Reddito provenienti dalle destre, ivi compresa Italia Viva, il cui leader non perde neanche un’occasione per sottolineare la necessità di abrogarlo.
Le tante sortite sprezzanti la misura, tra cui “diseducativa” e “fallita” (Matteo Renzi), “non crea lavoro ma problemi” e “meno soldi ai furbetti in Porche e più soldi ai disabili” (Matteo Salvini), forniscono l’esatta misura di quanto ad una parte della politica risulti poco chiaro lo stato di sofferenza del nostro Paese.
“La gente deve soffrire, rischiare, correre, giocarsela” è il motto di Renzi in presunto contrasto con la misura che, nella mente del senatore di Scandicci, evidentemente spingerebbe le persone a restare comodamente sedute sul divano. Trattasi di una visione sfrenatamente liberista del mondo e della politica che, in una fase particolarmente incandescente sotto il profilo della tenuta sociale, non fa altro che esacerbare le contrapposizioni tra chi sta meglio e chi sta peggio, non tenendo conto del fatto che ciascuna situazione fa storia a sé e che, a fronte dei pur sempre troppi beneficiari il Reddito senza averne titolo, ve ne sono tanti altri (la maggioranza) che grazie alla misura non fanno la fame.
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