Dalle Regioni
Turi nel ricordo di Gramsci
di LAVINIA ORLANDO
Lo scorso 27 aprile, nella cittadina di Turi, le locali forze politiche (formalmente o sostanzialmente) schierate a sinistra hanno commemorato la figura di Antonio Gramsci, scomparso proprio il 27 aprile del 1937.
Oltre alla consueta deposizione della corona di fiori da parte dei dirigenti del PD, i militanti di Sinistra Ecologia e Libertà e della Federazione della Sinistra hanno pensato di ricordare la figura dell’intellettuale sardo- che a Turi ha trascorso ben quattro anni di prigionia, dal 1928 al 1932, producendo nella casa circondariale del comune barese gran parte dei suoi celebri “Quaderni dal Carcere”- valorizzando l’impegno di giovani artisti pugliesi, attraverso esposizioni di quadri, foto, opere artigianali ed esibizioni di due gruppi musicali emergenti.
È stato inoltre possibile entrare nella cella in cui il fondatore del Partito Comunista Italiano ha trascorso la detenzione, una visita estremamente interessante, che ha consentito a chi ne ha avuta la possibilità, non solo di stazionare per qualche minuto in un ambiente importante per lo sviluppo del pensiero politico e letterario italiano, ma anche di respirare l’aria carceraria e di osservarne alcune delle regole ferree (come, ad esempio, il ligio meccanismo per cui la porta successiva si apre, solo se si è perfettamente chiusa quella precedente).
Ricordare e rileggere Gramsci non è assolutamente anacronistico; al contrario, e soprattutto in questi ultimi anni, i suoi scritti dovrebbero essere proposti quotidianamente: invece che drogare le nostre menti con la cloaca di programmi televisivi che tutti ben conosciamo, si dovrebbero proporre ripetutamente gli scritti gramsciani, sia del periodo socialista che di quello comunista, molti dei quali quasi provocano sconcerto per l’attualità delle problematiche sviscerate e delle soluzioni proposte. E, si badi bene, non si deve commettere l’errore di considerare Gramsci come un semplice intellettuale di sinistra, in questo modo lo si sminuirebbe ingiustamente: il suo patrimonio letterario ed il suo vissuto dovrebbero fungere da esempio, non solo per chi si riconosce nel pensiero di sinistra, ma anche per tutti coloro che lottano per la liberazione del nostro Paese da un sistema di potere che, mese dopo mese, va sempre di più rendendosi palese.
Si prenda ad esempio “La città futura” con il passo sugli “Indifferenti”. Nonostante risalga al 1917, potrebbe benissimo passare per uno scritto contemporaneo: “Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.” L’odio di Gramsci per gli indifferenti ed il suo chiedere agli uomini di essere cittadini, di far valere ciascuno la propria volontà, in maniera tale da non far passare la storia come un semplice fenomeno naturale dovrebbero essere emblemi anche nella società attuale, che vede da una parte il sempre forte disinteresse della collettività nei confronti della politica, ma dall’altra la crescente ira degli stessi cittadini indifferenti rispetto a tutto ciò che i politici dovrebbero fare e non mettono in atto. L’odio di Gramsci si rivolge al “piagnisteo da eterni innocenti”, di tutti coloro che “stanno alla finestra a guardare, mentre i pochi si sacrificano” e vuole portare ad una spinta propulsiva verso l’attivismo, l’impegno politico, la resistenza nei confronti della dittatura, che all’epoca era quella di Mussolini ed ora è rappresentata da quella televisiva e mass-mediatica di Berlusconi.
Altrettanto interessante ed attuale risulta il primo e, purtroppo, ultimo discorso di Gramsci al Parlamento; risale al 1925 e con esso l’intellettuale intendeva esprimere profonda opposizione al progetto di legge fascista che, col pretesto di colpire la massoneria, finiva col rendere illegali tutte le organizzazioni antifasciste. Si trattava, in realtà, di un discorso molto più ampio, che andava anche ad enucleare le ragioni del divario economico tra Nord e Sud Italia, ragioni che Gramsci, da meridionale quale era, ben conosceva (“Ogni anno lo Stato estorce alle regioni meridionali una somma di imposte che non restituisce in nessun modo, né con servizi di nessun genere…somme che lo Stato estorce alle popolazioni contadine meridionali, per dare una base al capitalismo dell’Italia settentrionale”). Ciò che più di tutto colpisce nel suddetto discorso è, tuttavia, la veemenza della parte finale: “le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi”. Ancora una volta emerge la possibilità di traslare pedissequamente quanto affermato quasi un secolo fa ai giorni nostri: il disegno oligarchico di un gruppo di presunti potenti è in via di realizzazione, passo dopo passo i tasselli del mosaico vengono messi in ordine, portando il nostro Paese ad una regressione democratica sempre più evidente. Finché tuttavia ci saranno persone disposte a spendere parte del loro tempo per ricordare la figura di un grande italiano, morto dopo atroci sofferenze e svariati anni di carcere, reo di essersi opposto al pensiero unico mussoliniano, non è poi forse tutto perduto; siamo ancora in tempo per non cadere nel baratro, benché ci siamo già dentro con un piede.
Il 27 aprile, Turi ha dato una forte dimostrazione in tal senso, significativa anche per la presenza di numerosi ragazzi, che in Gramsci vedono un esempio da seguire e da non relegare nel dimenticatoio di una nazione, sempre più annebbiata dal “Duce di Arcore” e dalla sua macchina infernale.