Cultura
Le donne sono umane?
Dibattito sul saggio di MacKinnon sul canale MIB, questo 15 marzo 2024.
Di Maddalena Celano
PER LA RUBRICA: «I LIBRI DEL MIB». RIVOLUZIONI, SOCIALISMO E FEMMINISMO
Le donne sono umane? Di Catherine MacKinnon. Dibattito sul saggio di MacKinnon sul canale MIB, questo 15 marzo 2024. Dibattito condotto da Maddalena Celano, scrittrice e ricercatrice indipendente, in collaborazione con Gianmaria Di Silvestro, diplomato all’istituto magistrale “Saffo” di Roseto Degli Abruzzi, si laurea in “Scienze della formazione primaria, indirizzo scuola primaria” con specializzazione nel sostegno, all’Università Degli Studi dell’Aquila. Inizia la sua carriera in cooperative sociali che si occupano di persone con disabilità e anziani. Lavora attualmente come maestro in ruolo di scuola primaria ed è membro della Commissione Pari Opportunità del comune di Giulianova, articolista su tematiche inerenti i diritti delle donne e le pari opportunità e co-amministratore del Gruppo Femminismo Plurale.
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Catharine MacKinnon, nata nel 1946, avvocato e filosofa del diritto, rappresenta una figura femminista radicale e riformatrice. La sua prospettiva femminista, definita come “non modificata”, sfida i canoni convenzionali e si allontana sia dal marxismo che dal liberalismo, mantenendo un rapporto di rispettoso antagonismo con queste tradizioni. MacKinnon affronta la questione dell’oggettività e della prospettiva situata, sostenendo che l’oggettività deve essere rifiutata quando comporta una rappresentazione distorta della realtà delle donne.
Catharine MacKinnon sviluppa una nuova dottrina che mira a ridefinire le categorie giuridiche, specialmente nel contesto penalistico, ponendo al centro il punto di vista delle vittime anziché quello maschile. Questo approccio si estende a questioni come molestie e pornografia, considerate da MacKinnon come violazioni dei diritti. La sua prospettiva va oltre il concetto tradizionale di violenza sessuale, sostenendo che questa può verificarsi anche senza costrizione fisica e che ciò che gli uomini considerano come accettazione volontaria potrebbe in realtà essere una forma di violenza, spesso non riconosciuta come tale dalle donne stesse.
Nel contesto del diritto internazionale, MacKinnon estende la sua analisi, evidenziando come la sessualità sia un costante terreno di violenza e oppressione nei confronti delle donne in tutto il mondo. Utilizza esempi crudi, come quelli presentati nel saggio “La sessualità del genocidio”, per illustrare come le violenze sessuali siano uno strumento consolidato di genocidio nell’ ambito dei conflitti bellici.
MacKinnon adotta il lessico dei diritti umani nei suoi saggi più recenti, riconoscendo che, nonostante la storia in cui i diritti umani non siano stati pienamente inclusivi delle donne, questi possono ancora svolgere un ruolo legittimante e offrire una cornice per affrontare persecuzioni, discriminazioni e violenze contro le donne a livello globale. Tuttavia, sottolinea che i diritti delle donne dovrebbero essere definiti, tutelati e promossi non solo rispetto allo Stato, ma anche contro famiglie e comunità, considerate come fonti primarie di oppressione femminile.
MacKinnon critica il postmodernismo e il multiculturalismo, sostenendo che queste correnti teoriche negano la realtà delle violazioni dei diritti delle donne. Vede nei diritti umani uno strumento essenziale per affrontare la realtà della violenza e dell’abuso che le donne sperimentano in tutto il mondo, affermando che l’accesso effettivo dei diritti umani per le donne coincide con la revisione dello status di umanità. Inoltre, MacKinnon sottolinea la responsabilità del diritto, in particolare del diritto internazionale, nel contribuire a rendere le donne umane. Lei sostiene che epistemologia e ontologia non sono separabili quando si tratta di comprendere come uomini e donne sono trattati nella società, e la dimensione di genere crea relazioni gerarchiche e di potere.
MacKinnon critica una realtà distorta che tende a imporsi come l’unica verità possibile e sostiene che una teoria femminista deve sfidare questa rappresentazione distorta. La sua posizione realista è fondata sulla convinzione che esista un mondo indipendente da noi, ma la sua attenzione è rivolta principalmente agli impatti politici di questa tesi filosofica, utilizzandola contro posizioni postmoderniste che negano una differenza sostanziale tra realtà e costrutti linguistici. MacKinnon sostiene che la conoscenza della realtà del danno che le donne subiscono, la materialità del loro stato subordinato, è essenziale per comprendere il regime in cui le donne sono a disposizione, anche quando credono di fare scelte autonome. Il suo lavoro è caratterizzato da una dimensione militante, ma le critiche che riceve riguardano spesso il modo in cui la sua passione morale potrebbe condizionare la forza delle sue intuizioni, riducendone l’efficacia pratica. Tuttavia, la sua unicità risiede nell’approccio realista e pragmatico alla teoria femminista, che cerca di sfidare le rappresentazioni distorte della realtà delle donne e di rendere visibili le ingiustizie a cui sono soggette. Nonostante la sua dimensione militante, MacKinnon riceve critiche per il possibile condizionamento della forza delle sue intuizioni da parte della sua passione morale.
Il brano esplora il tema della tortura inflitta alle donne, radicata in una cultura diffusa globalmente che concede loro diritti inferiori e legittima la violenta appropriazione del loro corpo. Si evidenzia che la violenza contro le donne, manifestata in torture, fame, terrore e altri oltraggi, è un fenomeno quotidiano in tutto il mondo. L’autore sottolinea che il 70% delle persone considerate povere globalmente sono donne, nonostante svolgano la maggior parte del lavoro necessario per la sussistenza. La povertà e la discriminazione aumentano il rischio di maltrattamenti e torture, alimentando la tratta a scopo di prostituzione, matrimonio e pornografia.
Il saggio segnala che negli attuali conflitti mondiali gli stupri hanno raggiunto proporzioni estreme e brutali. La violenza domestica è in costante aumento, e in molti paesi persiste la terribile pratica di scegliere di non far nascere le donne. Il termine “femminicidio” emerge come la descrizione più adeguata di questa realtà, ma si osserva una mancanza di riconoscimento da parte della comunità internazionale riguardo a queste gravi violazioni dei diritti umani.Il brano sottolinea la connessione tra violenza domestica e tortura, evidenziando che entrambe hanno l’intenzione di annientare l’autonomia e la dignità delle donne. La giurista americana, facendo riferimento a Elaine Scarry, sostiene che la violenza domestica è intenzionale e ha lo scopo di ridurre le donne alla completa sottomissione, analogamente alla tortura. Si evidenzia che, nonostante questa somiglianza, la violenza domestica è più accettata socialmente, profondamente radicata e in gran parte immune da sanzioni legali.
La proposta di equiparare la violenza domestica alla tortura viene avanzata come mezzo per richiamare gli stati alle proprie responsabilità a livello internazionale. Tuttavia, si sottolinea che questa equiparazione metterebbe in luce la banalità del male radicata nella società, che ha ignorato le sofferenze delle donne.
Il saggio passa poi a discutere dello stupro come forma di tortura, specialmente evidenziando i casi di atrocità in Ruanda e nella ex Jugoslavia. Si afferma che lo stupro è finalizzato a imporre il senso di un destino di sottomissione totale, attraverso l’oggettivazione della donna. Questo atto è considerato un’aggressione alla dignità e all’identità della persona, un atto di odio e distruzione.
Si menziona il rapporto del 1991 di Amnesty International che riconosce lo stupro come tortura, indicando che questo crimine dovrebbe essere considerato un crimine contro l’umanità e un crimine di genere, sia in tempo di pace che di guerra.
Si rileva che, nonostante il riconoscimento formale dei diritti umani delle donne in conferenze mondiali e dichiarazioni internazionali, mancano spesso meccanismi efficaci per proteggerli. Si evidenziano le violazioni dei diritti umani delle donne durante i conflitti armati, inclusi lo stupro sistematico, la schiavitù sessuale e la gravidanza forzata.
Infine, si critica la mancanza di una revisione efficace delle riserve alla CEDAW e si suggerisce che la resistenza all’accesso delle donne ai diritti umani attraverso tali riserve rifletta un’idea che le donne non meritino la piena protezione dei diritti umani. La conclusione del brano suggerisce che le attiviste per i diritti umani delle donne potrebbero essere costrette a mettere in discussione la validità stessa della legge per garantire la tutela completa dei diritti delle donne. Una citazione di Katharine MacKinnon evidenzia che le norme attuali sui diritti umani non riflettono appieno le esperienze delle donne, specialmente legate a povertà, esclusione dall’istruzione e violenza sessuale. MacKinnon ammonisce che se le violazioni subite non sono considerate violazioni dei diritti umani riconosciuti, la persona violata è essenzialmente considerata non completamente umana.
Il saggio conclude con un’analisi storica, riconoscendo il ruolo delle femministe nel sollevare la questione della violenza contro le donne fin dal 1919 e nel successivo impegno per far riconoscere i diritti umani delle donne nelle organizzazioni internazionali, inclusa la Commissione sullo status delle donne istituita nel 1946. Si esamina il percorso dell’attivismo femminile nell’affermare i diritti delle donne come diritti umani a livello internazionale. Inizialmente trascurato dalla Società delle Nazioni, questo movimento trovò spazio nelle organizzazioni femminili e in Save the Children, impegnata nella lotta contro il traffico di minori. Dopo la Seconda guerra mondiale, le donne guadagnarono accesso agli organismi internazionali, influenzando la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con Eleanor Roosevelt che giocò un ruolo chiave, insistendo sull’inclusione del termine “sesso” nell’articolo 2 che condanna ogni forma di discriminazione.
Negli anni ’50, la Commissione sullo status delle donne affrontò le discriminazioni nel matrimonio, ma negli anni ’70, con la crescita dell’industria della pornografia e della tratta, tornò al centro dell’attenzione la violenza contro il corpo femminile. Nel 1984, il femminismo criticò la Convenzione contro la tortura per l’assenza di menzioni specifiche sulle torture inflitte alle donne, sottolineando la necessità di includere una prospettiva di genere nei trattati internazionali. La violenza domestica, assimilata alla tortura per il suo impatto sulla vita delle donne, fu analizzata criticamente. Il testo conclude sottolineando la necessità di rivalutare i concetti di sovranità degli stati e il sistema giuridico internazionale da una prospettiva femminista. Viene enfatizzata la nozione che la violenza domestica, simile alla tortura, rappresenti uno strumento di controllo, dominio e sottomissione delle donne nella società. La prospettiva di genere emerge come elemento cruciale nella comprensione e nella lotta contro le forme di violenza perpetrate sulle donne a livello globale