Cultura
Gli autori a proprie spese, ovvero l’orgoglio di pagare per esserci
Di recente si assiste ad un cambiamento che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe immaginato possibile e cioè l’entrata a pieno titolo degli autori a proprie spese nel rango degli autori con dignità pari a coloro i quali sono autori nel senso tradizionale del termine. Ma le cose stanno davvero così?
Di Rosamaria Fumarola
Tutti ricorderanno la narrazione fatta da Umberto Eco ne “Il pendolo di Foucault” del fenomeno degli autori a proprie spese, individui cioè che avevano scritto un libro e che, preda di sedicenti case editrici prive di scrupoli, finivano con lo spendere cifre esorbitanti pur di veder pubblicato il proprio capolavoro. Il racconto di Eco descrive con dovizia di particolari l’organizzazione della truffa ad opera degli editori, che creavano premi letterari, pubblicazioni, citazioni, analoghe a quelle delle normali case editrici, ma in un ambito parallelo, che con quello normale non si sarebbe mai incontrato.
Veniva infatti posta in essere una recita creata ad usum di tutti gli ingenui che ci cascavano, una rappresentazione fittizia del mondo letterario di cui costoro erano i talentuosi protagonisti e che arrivava persino all’inserimento dei loro nomi all’interno di dizionari letterari fasulli, nei quali tali luminose figure spiccavano, asciando in ombra Pirandello o un Montale.
Il giudizio di Eco sugli autori a proprie spese chiunque può dedurlo ed è stato fino ad Eco stesso condiviso da tutti, colti ma anche incolti, poiché una truffa ai danni di un ingenuo incarna una fattispecie democratica nella sua diffusione, ma anche da tutti analizzabile, intuibile nei suoi elementi costitutivi; insomma, un pollo è un pollo a qualunque latitudine, in qualunque quartiere abiti, a qualunque fascia sociale appartenga!
Eppure di recente si assiste ad un cambiamento che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe immaginato possibile, forse nemmeno lo stesso Eco e cioè l’entrata a pieno titolo degli autori a proprie spese nel rango degli autori con dignità pari a colori i quali sono autori nel senso tradizionale del termine.
Per la verità, il confine tra le due specie si era fatto nel tempo sempre più sottile e questo non per colpa dei primi quanto piuttosto dei secondi e delle case editrici di questi ultimi.
In tale crisi del vecchio sistema editoriale si è affacciata una nuova gerarchia di valori, che vede al primo posto la visibilità per essere appetibili sul mercato in quanto merci, perché, come ci ha insegnato Thomas Harris, si desidera solo ciò che si vede.
Come si ottenga tale visibilità e cosa si voglia proporre dopo che sia stata ottenuta è questione di secondaria importanza in un mondo in cui la sola legge cogente è il mercato ed ogni altra considerazione intellettuale o morale è questione da passatisti che non fanno posto al nuovo che avanza.
Ho poc’anzi accennato alla responsabilità in tutto ciò anche delle case editrici più blasonate, che avrebbero dovuto operare scelte diverse ed invece, legate a doppio filo con la politica ed i suoi schieramenti, sono diventati sistemi chiusi, impossibili da penetrare se non dalle élites che le costituiscono, disposte a confrontarsi solo con analoghe élites di potere.
Appare dunque evidente che tali blasonate case editrici accoglieranno anche il confronto con nuove élites, senza frapporre questioni di ordine intellettuale e morale, purché si propongano come forze economiche in grado di esprimersi sul mercato, anzi, le promuoveranno creando un sistema per così dire “misto” ed è esattamente ciò che oggi si sta verificando sotto i nostri occhi.
Se dunque nel racconto fatto da Eco, gli autori a proprie spese vivevano in un universo chiuso e parallelo, abitato solo da loro simili, nella realtà attuale, tutte le manifestazioni che concernono la scrittura ospitano chiunque abbia la forza economica, anche minima, per imporsi sul mercato.
Infondo, non è quanto è accaduto negli anni di governo di Silvio Berlusconi, durante i quali, guardando l’igienista dentale Nicole Minetti sedere sugli scranni del consiglio regionale della Lombardia, tanti di noi si sono domandati “Perché no?” ?
Appunto, perché no? Non ci siamo ancora e mai mossi da quel “Pecunia non olet” di vespasiana memoria.
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