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Cultura

Adulti e no, l’importanza di crescere per accettare il rifiuto

Il femminicidio è prima di tutto un problema culturale, dunque in quanto tale si può risolvere solo nelle scuole entro un paio di generazioni. Nell’immediato servono pene più durature, estensive, esemplari, abbastanza efficaci da scoraggiare ad uccidere. Ma attraverso il dialogo con ragazzi ancora in età scolare mi convinco sempre più di come il vero problema sia in realtà l’abbassamento dell’età emotiva: le nuove generazioni maturano in ritardo rispetto a quando dovrebbero.

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di Alessandro Andrea Argeri

Per fortuna negli atenei ogni tanto c’è ancora spazio per le tematiche di un certo peso, finché non arrivano gli sciacalli pronti a sfruttare il cordoglio generale per raccogliere consenso a colpi di volantini, s’intende… Ad ogni modo, a proposito del sempre più crescente numero di femminicidi, mentre salivo in ascensore sento uno studente dire: “Bisogna decostruire il maschio”. La frase mi ha colpito molto. Forse perché da un lato ha il suo fondamento di verità, mentre dall’altro dimostra come il dibattito sulla parità di genere si sia purtroppo arenato al secolo scorso. Il femminicidio è prima di tutto un problema culturale, dunque in quanto tale si può risolvere solo nelle scuole entro un paio di generazioni. Nell’immediato servono pene più durature, estensive, esemplari, abbastanza efficaci da scoraggiare ad uccidere, perché l’onore non può giustificare l’assassinio.

Ora, i modelli culturali, le idee, i valori di riferimento cambiano a seconda delle epoche: oggi Orlando non potrebbe più infuriarsi per il tradimento di Angelica perché verrebbe visto come un “maschio tossico”, Petrarca dovrebbe dare voce a Laura, Tarchetti non userebbe il personaggio di Fosca per rappresentare allegoricamente la morte, D’Annunzio non creerebbe mai il Maciste di Cabiria. Ma esiste veramente un prototipo del maschio o è solo un’invenzione? A guardare indietro il nostro patrimonio culturale, viene il dubbio se sia mai esistito realmente. Ancora, pensiamo a tutte le volte in cui la critica ha parlato di “femminilizzazione del maschio italico” a proposito dei personaggi della commedia “all’italiana” degli anni ’60, in cui si rappresentava l’italiano medio con i suoi cliché. Ebbene, l’uomo “maciste”, forte, virile, possente, rispettabile, capofamiglia, è più un’astrazione quanto un reale modello applicabile.

Al momento in Italia abbiamo una donna premier, la segretaria del primo partito d’opposizione è anch’essa donna, così come sono donne la presidente della commissione europea e quella del Parlamento europeo. Insomma, le donne devono ancora faticare più degli uomini per raggiungere gli stessi risultati, ma la società ha già intrapreso la via del cambiamento.

Piuttosto, attraverso il dialogo con ragazzi ancora in età scolare mi convinco sempre più di come il vero problema sia in realtà l’abbassamento dell’età emotiva: le nuove generazioni maturano in ritardo rispetto a quando dovrebbero. In altre parole, allo sviluppo biologico non corrisponde più la corrispettiva crescita mentale, per questo i ragazzi sono tutti meno preparati ad accettare gli insuccessi, aspirano al raggiungimento immediato del traguardo più di quanto sia umano, non tollerano la sconfitta sia perché molti rimangono troppo tempo “nel nido”, cioè a casa protetti dai genitori, abituati a considerare quest’ultimi dei supereroi, sia a causa delle pressioni della società, la quale ci chiede di essere sempre performanti oltre ogni possibile limite.

Un esempio pratico si ritrova nei tanti femminicidi, quasi tutti verificatisi dopo la rottura di una relazione, di cui è emblematico il recente caso di Filippo Turetta: era stato lasciato dall’ex fidanzata Giulia, la quale si sarebbe laureata a breve mentre lui era in ritardo con gli esami. L’incapacità di accettare il rifiuto, il trauma di un insuccesso unito all’insicurezza tipica degli uomini violenti è sfociato in tragedia. Sarebbe riduttivo quindi continuare a parlare di modelli preimpostati come se fossimo ancora negli anni ’70, quando sappiamo bene come l’istruzione sia l’unica soluzione, altrimenti non si parlerebbe tanto di “educazione ai sentimenti”, per insegnare ai ragazzi ad accettare le sconfitte. Perché anziché “decostruire il maschio”, bisognerebbe costruire l’adulto. D’altronde il problema non mai è l’amore, ma le persone incapaci di amare.

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Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).