Cultura
A cavallo verso nessuno
“Una storia di luce”.
Una Siddharta tutta al femminile del nostro tempo si stringe nel cerchio “illuminato” dal faro puntato sulla bellezza del sè, foglia d’albero dal quale attinge linfa d’appartenenza alla Terra.
di Sara D’Angelo
Ogni incontro che attraversa i ponti malfermi della nostra vita inaugura sentimenti fino a quel momento in fase di sperimentazione. La condizione statica di una quotidianità assuefatta a se stessa si rivela bomba inesplosa fin dal primo tremore dell’anima, sigillata e silenziosa solo per obbedienza. Vivere è tutt’altro che respirare, protagonista e comparsa di rado condividono la stessa scena del film, della prima non si può fare a meno, la seconda si può sostituire con l’ombra di un burattino. Ecco il dettaglio che sconvolge e non dà pace, in una folla di comparse brilla di luce propria la solitudine di un solo, unico protagonista.
La storia di una donna, stella luminosa per un limitato perimetro di cielo, coinvolge il lettore interessato al racconto di un viaggio alla ricerca del sè, dove partenza, percorso e meta sono passi compiuti al buio della destinazione.
Con l’omissione del nome della protagonista, la scrittrice Cristina Guerra ammette di voler recintare l’attenzione allo spirito più che al vestito, alla battaglia piuttosto che al riposo del soldato.
Le daremo un nome, Lei.
Un’istruttrice di equitazione è sicuramente una donna entusiasta di respirare a tutte le ore i profumi della natura saziando le narici con l’accessorio idealizzato di ogni essere umano:
le ali. Non solo due come detta la legge della natura, tre, quattro, ancora una, ancora due, c’è uno spazio vitale da conquistare, e quello spazio comincia dal Suo. Dal Tuo.
Il destino le suggerisce la via da seguire, ma può fidarsi di un anonimo consigliere di itinerari sconosciuti? E se tutto fosse un inganno? Saprà tornare indietro o sarà inghiottita dalle sabbie mobili di una scelta avventata?
Ah! Se solo sapesse come raggiungere l’epicentro dell’Illuminazione! Non è una spedizione semplice, la scalata è tortuosa, ma la conquista della vetta ricompensa il sacrificio di una notte lunga un tormento. Decidere di inoltrarsi nel bosco fruttuoso di domande, che con le loro ingarbugliate ragioni hanno arrestato la realizzazione del sè, può incrinare l’equilibrio mentale protetto all’interno di una fragilissima sfera di cristallo.
“La via della spiritualità è una via verso la responsabilità personale e c’è da farsi un mazzo così. Ognuno deve salvarsi da solo o restare com’è, a libera scelta, seguendo il proprio personalissimo percorso che può essere in un modo o in un altro e funzionare comunque, a patto di essere sincero”.
Lei è una donna del nostro tempo in ascolto delle sue esigenze moderne, ben lontana dal superfluo amante del girotondo attorno ai sogni di fumo. Consapevole del destino fallibile, Lei apre le sue giornate incastrando tessere di puzzle restie a lasciarsi manipolare. L’intelligenza non si lascia sedurre dal fallimento, anzi. Se le scarpe non accompagnano la traccia del momento, sarà indispensabile imparare a correre verso l’obiettivo fissato. Lei è una donna ferita dalla sua stella di spalle, ha già testato sulla propria pelle gli strati di ghiaccio minacciosi di stemperare la sua “Joie de vivre”.
L’immortalità serpeggia nel grembo di Madre Natura generoso di doni-alimento dello spirito libero. E qui viene citato lo Wild, l’istinto primordiale dell’uomo alla ricerca del sè nella foresta idealizzata nella sua anima, cellula ridotta a labirinto progettato per far perdere la direzione.
Perdere senza versare lacrime, questa la lezione di Serena Guerra ai suoi lettori, la narrazione leggera diventa maestra dello scolaro depresso al primo fallimento. Note ironiche di salvataggio alleggeriscono il peso del vivere mai quieto, se si sta nuotando nel mare calmo ogni onda è sfida da vincere lasciando indietro la tempesta incipiente.
Tenere lontano il dramma dal crollo psicologico rivela l’abilità della scrittrice a non fossilizzare l’attenzione su ciò che non è stato, volare alto sulle pozzanghere moleste aiuta a evitarle con la maestria di un uccello migratore.
Dentro il mondo, mai spettatore di ciò che nel mondo succede, essere parte di esso e non partecipe dello spettacolo con un pacchetto di pop-corn in mano. Dal balcone la prospettiva è schermata dall’isola scelta per vivere lontano dagli spettri voraci come e più paurosi di un fantasma a mezzanotte.
Una Siddharta tutta al femminile del nostro tempo si stringe nel cerchio “illuminato” dal faro puntato sulla bellezza del sè, foglia d’albero dal quale attinge linfa d’appartenenza alla Terra. Tante, tantissime le fughe esplorative della protagonista senza nome, in analisi ma lontano dal divano di chi ascolta la mente, piuttosto un vis à vis con il regno della natura sotto il cielo consenziente.
La “Lei” della storia è un’amazzone psicologicamente schiacciata da rovinose cadute morali e materiali, eppure sempre pronta a rialzarsi inventando un poi. Lei conosce la parola d’ordine del prodigio, si chiama fiducia la chiave riparatrice dell’equilibrio sprofondato nel baratro del nulla, fossa che non riesce a seppellire l’energia vitale di una ragione in movimento. La sua seconda volta possiede un distintivo d’onore più valoroso della prima: in ginocchio lo sguardo è limitato dal giorno di pena esausto, accorre il rinnovato sole a cancellare le rughe disegnate per vendetta di essere stata così forte, così il sipario rivela l’oltre di un nuovo orizzonte possibile.
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