Cultura
Per dieci minuti
A piccole dosi si può rinascere dalle ceneri di un cammino sbagliato. Chiara Gamberale dà la ricetta per non avere dubbi davanti al bivio che ritarda il tempo delle meraviglie.
di Sara D’Angelo
Non conoscono numero le pagine pubblicate con profonde riflessioni sul girotondo delle lancette. Sembra un gioco, ma non lo è. Sulla giostra in funzione ore e minuti ci siamo tutti, scenderemo quando le luci obbediranno alla notte che non conosce ritardo. Tanto generoso è il quadrante, che concede lo spazio perfino a un segmento invisibile all’occhio infermo, misura un battito di ciglia, un alito di respiro, in un secondo sai che è vivo il motore del cuore.
“Per dieci minuti” , sembra quasi un sussurro il titolo del romanzo di Chiara Gamberale. Al centro della copertina azzurra dalle sfumature eteree troneggia l’appello a un dovere, quello di VIVERE. Come una maestra elementare la psicoterapeuta di Chiara detta con piglio severo ma un po’ materno il compito da svolgere per i prossimi trenta giorni.
Chiara, 35 anni, un matrimonio rotto come un vaso cinese, diventa una paziente quando si accorge che le domande rugose hanno cominciato a maltrattare la morbida seta del suo cuscino.
“L’unica a non avercela più, una vita, ero io. Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su cui girare aveva lo smarrimento. Passato il momento del dolore insopportabile, poi, non c’era più neanche quello a farmi compagnia. Andavo a letto e l’unico pensiero prima di addormentarmi era la speranza di non risvegliarmi.”
Una prima volta al giorno per dieci minuti, l’appuntamento domina il foglio bianco dell’agenda responsabile di un futuro da recuperare. Le tante prime volte di una donna sfidano le sensazioni analfabete di quelle rimaste in sospeso per la fretta di godere del minuto subito, urgente e senza sapore.
Disintossicarsi da quella droga che Chiara chiama Mio marito non è facile, se il veleno mortale è stato assunto a piccole dosi per dieci anni. Stordita dal furto della sua energia, per la prima volta Chiara sale sulla giostra dei minuti invitati a girare solo per lei. La terapia del cambiamento repentino si rivela farmaco d’evasione al ritornello di una quotidianità fedele a se stessa, mai fuori dai bordi, mai una fetta di stupore a colazione.
Dieci minuti per una manicure compresa di smalto fucsia, dieci minuti per imparare a preparare i pancake, dieci minuti per ricamare il punto croce. E poi ancora tante prime volte mescolate tra loro come una minestra da servire calda, da scottarsi la lingua perché il dolore toglie il velo alla colpa di appartenere al mondo.
Chiara impara a darsi fiducia attraverso le meraviglie nascoste nelle giornate avare di sole, si lascia trasportare dalle sue nuvole verso quel gioco bizzarro della terapia. La prova l’accoglie come una madre apprensiva, Chiara si mette in viaggio con le paure da guarire perché “il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano”.
Leggere leggere trascinate dal vento, le fragilità si dissolvono una per una, c’è un domani non più miraggio da desiderare, c’è una pioggia di minuti moltiplicati a festa. I frutti del futuro hanno bisogno di alte dosi di coraggio per far sì che un seme insicuro cresca nel tepore del suo nido, pronto per la primavera che merita.
Chiara lascia respirare le sue paure perché conosce il pericolo di provare a trattenerle, apre i cancelli alla donna che da troppo tempo sta aspettando di diventare, libera le fantasie finalmente ammesse a schiudere i raggi del pallido sole.
Interessante il ruolo che Chiara Gamberale dà alla psicoterapeuta di Chiara ( sua omonima o romanzo autobiografico? ).
Nella notte incapace di fare luce al viandante ubriaco del suo cielo infedele, il bagliore di un faro è bussola per il passo claudicante, al gioco clinico della professionista, Chiara risponde con un costante esercizio di ricerca della sua vera identità, quella che nemmeno lo specchio al mattino riesce a confessare. È arrivato il momento di scardinare una per una tutte le serrature che hanno impedito l’accesso a un dialogo intimo con se stessa, tante, forse troppe le figure inutili parcheggiate a singhiozzo nella sua casa.
E poi c’è Ato, un ragazzo eritreo accolto in casa da Chiara come un uccellino caduto dal nido di protezione cui ogni giovane straniero senza famiglia ha bisogno. Sono due rami dello stesso albero quei due, Chiara nel pieno della sua vertigine autunnale e Ato alle prese con l’inverno severo della solitudine. Un abbraccio da dare e da avere miete energia sepolta sotto cristalli di ghiaccio abituati a non sentire calore. A morire.
L’esperienza di due isole condivise accende i riflettori sulle pagine di una nuova vita protesa a godere della bellezza di un minuto, l’obiettivo è chiaro: volersi disfare dei vestiti stretti sulla pelle di vita non vissuta, è calamita per il cambiamento dimenticato in sala d’attesa di un caos mentale.
“Sto scoprendo che le persone smarrite hanno un istinto eccezionale per trovarsi fra di loro, facendo lo slalom attraverso le famiglie felici, le coppie che funzionano, quelle che non funzionano più, ma comunque vanno avanti… quel vuoto, mentre fra persone smarrite ci teniamo strette, non è detto s’asciughi: quasi sempre s’allarga”.
Riavere l’equilibrio sfuggito durante il banchetto della delusione reclama la presenza di una dose massiccia di amor proprio rovesciato a pioggia sulle abilità inespresse.
Tutte le opere di Chiara Gamberale concentrano l’attenzione sulla sfera psicologica dei personaggi. Questo particolare fa della scrittrice la meta preferita del lettore ansioso di visitare angoli inesplorati della sua anima, spicchi di sole devastati da un temporale che sembra non abbia voglia di smettere il suo pianto senza stagione. Chiara Gamberale prende in braccio le emozioni soffiando pagliuzze di comete sulle ferite degli strati più esposti al mirino dell’indifferenza, la sua missione è tenere lontano l’eutanasia dalle relazioni incurabili.
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