Cultura
La vita raccontata dai telegiornali, una favola con molte omissioni
Tanti, con l’avvento di Internet, hanno creduto che la televisione sarebbe scomparsa, che sarebbe stata soppiantata definitivamente e senz’appello dai nuovi media. Quei tanti sono stati costretti a ricredersi.
di Rosamaria Fumarola
Come molti, seguo quotidianamente i notiziari nazionali. In pochi minuti concentrano gli accadimenti principali dei quali si ritiene se non indispensabile, quanto meno importante dare notizia. La ratio che sta alla base della scelta dei fatti a cui dare voce, anche se non esplicitata, si può cogliere seguendo anche solo un paio di questi notiziari, il cui scollamento dalla realtà che la stragrande maggioranza di noi vive è evidente.
Era questa una delle ragioni che qualche anno fa ha lasciato supporre a tanti che la televisione sarebbe stata soppiantata definitivamente e senz’appello dai nuovi media. Con una certa sorpresa quei tanti hanno dovuto ricredersi: esiste oggi infatti l’infinito numero di strumenti che la rete ci offre per dare voce a chiunque sappia farne uso e continua ad esistere la tv, che si è servita di internet per continuare ad essere presente. Con quali risultati non è dato ancora con certezza di sapere, ma l’ampliamento dell’offerta televisiva è un dato concreto e sempre più si presenta come un modo per scegliere e “consumare” contenuti in modo non dissimile da quanto siamo abituati a fare da internauti o da semplici frequentatori dei social. Questi ultimi poi, sembrano dar voce a chiunque e forse durante le fasi iniziali della loro esistenza è stato così. Oggi però il potere in rete è organizzato in maniera certo diversa e più articolata di quanto non sia accaduto in passato, ma con modalità che finiscono per rendere sempre più difficile “l’estensione della voce” di chiunque e sempre più facile quella di chi ha mezzi per comprare il proprio spazio ed arrivare così ad una platea quanto più possibile ampia. Ma questo è materia che mi porterebbe lontano da punto dal quale sono partita e che si può invece sintetizzare con la domanda: quanta realtà resta sempre fuori da ciò che i media ci raccontano? Invito chi mi legge ad un semplice esperimento: ascoltare le tematiche trattate durante un qualsiasi notiziario e misurarne i contenuti, valutandone la coincidenza con quanto quotidianamente vive. Non di rado i tg danno notizia di questa o quella scoperta scientifica che, ad esempio in campo medico consentirà la risoluzione di problemi complessi in maniera sempre più veloce e sempre più alla portata di tutti. Nessuno intende mettere in dubbio la buonafede degli scienziati che le cose vadano davvero in questo modo, né che sia necessario un certo lasso di tempo affinché una scoperta scientifica trovi applicazione. Ciò che invece tantissimi possono sperimentare è che il racconto della quotidianità da parte dei notiziari è lontanissimo da ciò che ciascuno è costretto a vivere ogni giorno. A tal proposito ad esempio, ci si potrebbe domandare se, il giorno in cui la scoperta medica di cui sopra trovasse applicazione, entrando in teoria nella disponibilità di chiunque ne avesse bisogno, un qualsiasi cittadino potrebbe telefonando riuscire davvero a prenotare la visita medica, cosa che è impossibile attualmente, visto che pur essendoci una gran mole di numeri dedicati a questo o a quel servizio pubblico, nessuno pare aver volontà di rispondere al cittadino non pagante. E così accade che individui pure sufficientemente scolarizzati trovino davanti a sé solo porte chiuse e dinieghi che in un gran numero di casi li fa desistere dalla richiesta del servizio. Il cittadino in Italia sperimenta infatti una babele che di fatto si traduce nella negazione della possibilità di godere del beneficio a cui pure ha diritto e che lo lascia da solo con le proprie tasche: se avrà abbastanza danari per ricorrere all’ausilio di strutture private risolverà il proprio problema, in caso contrario rinuncerà e piano piano entrerà in quell’universo silente di cui i notiziari non hanno mandato di parlare.
Chi scrive ha da molto tempo rinunciato a pensare ad un futuro senza più distanze tra le classi sociali o addirittura senza classi sociali, in ragione della lezione ricevuta dalla storia e da quella ricevuta dalla realtà. Ciò che invece trovo auspicabile è un accesso sempre più allargato agli strumenti di emancipazione tra le classi che rendano, come in certi momenti del nostro passato è accaduto, meno traumatica la frattura tra chi ha e chi non ha, fondando il vivere civile non soltanto sullo status economico degli individui. Attualmente è venuta meno una volontà politica che vada in tale direzione e l’informazione è diventata un abito cucito secondo le indicazioni di chi deve indossarlo e che lo paga. Eppure essere protagonisti di un racconto è una componente fondamentale della vita alla quale non si dovrebbe mai rinunciare. Si potrebbe scoprire infatti di aver sprecato la propria esistenza, di essere stati né più né meno che gli schiavi senza nome di civiltà antiche, dalle quali crediamo sbagliando, di essere lontani.
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