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Cultura

Don Primo Mazzolari, 52 anni dopo

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di MARIO GIANFRATE

Don Primo Mazzolari, cinquantadue anni dopo. Tanti ne sono passati da quel 12 aprile del 1959, quando il prete dei “lontani”, parroco a Bozzolo nella provincia di cremonese, si spegne a sessantanove anni nell’ospedale di Cremona dove lo hanno portato dopo che un attacco di apoplessia lo ha colto sull’altare, poco prima dell’omelia.

Personaggio scomodo, don Primo, come lo furono i profeti. Per politici – meglio, politicanti – e per la Chiesa, almeno per quella Chiesa che indossa i paramenti del fasto e del privilegio, anziché guardare evangelicamente all’uomo, ai suoi bisogni, alle sue sofferenze, più che ai formalismi dei riti.


Personaggio scomodo, come don Milani del resto. Schierato sempre da una parte sola, senza indugi, senza compromessi, senza tentennamenti: dalla parte dei diseredati di sempre e degli oppressi d’ogni paese,dalla parte di chi ha sete di giustizia e fame di pane.

E’ questo che gli ha insegnato il suo Cristo. E’ un Cristo, quello di don Mazzolari, che non alza steccati ma li abbatte, che parla al cuore di tutti gli uomini di buona volontà, credenti o atei, comunisti o musulmani. Non un Cristo dottrinario ma il Cristo dei “Centochiodi” di Olmi che testimonia la fede – che non è religione, non può esserlo – caricando sulle sue spalle la croce di tutti; che scaccia dal Tempio gli ipocriti ma che sulla croce perdona – e non giudica, non condanna – i suoi carnefici.

E’ lì, sulla croce, sul Golgota che la malvagità degli uomini è schiacciata dall’amore, perché – don Primo ne è profondamente convinto – inchiodando Cristo sulla croce non gli chiude le braccia. Che restano spalancate per abbracciare un’Umanità dispersa per ridarle, con la sua tolleranza e la sua comprensione, una opportunità di speranza.

Quelle braccia aperte, dice don Primo, rappresentano un atto di provocazione per le false dignità dettate dal nostro orgoglio.

Don Primo, prete dei “lontani”, “Il colloquio che domandano i vicini e i lontani – scrive in uno dei suoi numerosi libri – e che assai di rado viene sopportato, dovrebbe essere fatto su un piano non apologetico, non autoritario: mai dall’alto, ma come una conversazione di amici che cercano insieme per aiutarsi”.

E’ quanto basta per mettersi in urto con il Sant’Uffizio, che già nel ’35 ha giudicato “erroneo” il volume “La più bella avventura”. Nel 1943, nuovo biasimo per “Impegno con Cristo” e divieto nel ’51 di predicare fuori diocesi. Nel 1954 il provvedimento si estende anche fuori della parrocchia ed è replicato nel ’56.

Solo un breve incontro, qualche mese prima della morte, con Giovanni XXIII, il papa del Concilio Vaticano II° finito oggi nel dimenticatoio, riuscirà in qualche modo a riconciliare don Primo – che del Concilio può essere considerato precursore – , con la Curia che lo ha perseguitato.