Cultura
Mostra di pittura di Pino Pascali
di TITTI AGOSTINACCHIO
Alla galleria BLUorG, fino al 21 maggio 2011
La giungla di Pino Pascali è la giungla dell’anima alla ricerca di altre “forme”e altre “case” in altri mondi. Dalle pitture stilizzate che emergono dalla sensibilità di un bambino i segni si fanno arcani e misteriosi; luci ed ombre che riflettono e presagiscono verità nascoste, quasi in un vortice di metasimbolismo che, dal realismo incredulo si insinuano in una scia primitivista.
E sono ad animarsi pappagallini, coccodrilli spaventosi, piccole farfaline leggere, e coccinelline dai tratti fanciulleschi oppure tetri squali, lumache viscide, eleganti zebre e mufloni che ci immergono in un mondo incantato fatto di carta e di colori ma che invadono i nostri sensi rendendoci parte di questo stravagante circo immaginifico. Mostri interiori e cantilene , parole segrete , numeri, segni, guerrieri e maschere tribali compaiono enigmaticamente. Forse un impulsivo istinto che urla attenzione!La sua carriera trova il suo esordio fin dagli anni dell’Accademia di Belle Arti, a Roma, sotto la guida di Toti Scialoya, dove studia Pollock, Gorky, De Kooning , i padri dell’espressionismo astratto americano. L’energia vitale, il ritmo caotico e privo di forma ragionata attraggono il giovane studente, specie il dripping di Pollock che segna una linea di confine con la figurazione, che però non abbandonerà mai. La carriere artistica di Pascali è breve e folgorante. Si era diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1959 e aveva cominciato subito a farsi notare come scenografo. Aveva eseguito bozzetti, disegni e “corti” per “Carosello” e altre trasmissioni tv, oltre che disegni e plastici di velieri, treni, corazze. Per suo conto sperimentava intensamente. Affascinato dall’uso di materiali inconsueti come il bitume, le latte, il cuoio, il metallo, sperimenta le mescolanze del petrolio e polveri varie, dipingendo su lastre di lamiera di zinco, legno, metallo.L’11 settembre del 1968 moriva a Roma, tragicamente e prematuramente, a soli 33 anni, incarnando forse l’artista pugliese più grande, certamente il più celebre a livello internazionale di tutto il Novecento. Era nato a Bari da genitori di Polignano a Mare il 19 ottobre del 1935, dove riposa. Dopo la sua scomparsa, a mostra ancora aperta, gli fu conferito il Premio internazionale per la Scultura. Scultore, scenografo, performer, Pascali coniuga in modo geniale e creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee (la Grande Madre e Venere, il Mare, la Terra, i Campi, gli attrezzi e i riti agricoli) con le forme infantili del Gioco e dell’Avventura (animali della preistoria, dello zoo e del mare, giocattoli di guerra, il mondo di Tarzan e della giungla, bruchi e bachi, travestimenti, Pulcinella). Traduce questo mondo dell’immaginario in forme monumentali e strutture essenziali, concise, come il romanico pugliese e il bestiario medievale delle sue chiese; ma nel contempo rimandano alle icone della dilagante cultura di massa (il fumetto, il cinema, la moda). realizza le sue “false sculture” con materiali fragili ed effimeri (tela, legno, lana d’acciaio, pelo acrilico, paglia, raffia). In questo modo dà una sua originale risposta critica (italiana e meridionale) alle nuove tendenze che venivano dall’America: la Pop Art, la Minimal Art. Precorre l’Arte Povera, la Body Art, l’arte concettuale degli anni Settanta. Pur senza mai citare la Puglia o Polignano o le memorie d’infanzia e adolescenza pugliese, la poetica, il linguaggio, le forme, i temi nascono da un substrato mediterraneo e meridionale che si incontreranno a Roma con le esperienze artistiche internazionali (Pop Art, minimalismo americano, Arte Povera, performances). Il tutto viene reinventato e riproposto come reale. E l’artista stesso sottolinea il gioco e l’ambiguità dell’operazione facendosi ritrarre travestito da soldatino con piglio imbronciato e serioso ma con evidente e sottile ironia, a voler sottolineare che è tutto finto, che tutto è gioco, anche nell’ARTE