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Cronaca

Alfredo Zardini, quando erano gli italiani a morire di emigrazione.

 Un giornale svizzero scrisse, dopo la morte di Zardini, : “ …era proprio uno come noi. Come sarebbe bello se potessimo dire : soltanto uno di noi “.

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Credit foto www.ispionline.it

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

L’Italia è la porta d’Europa affacciata sul continente Africano. Questo offre tante opportunità commerciali e culturali, allo stesso tempo rende l’Italia approdo obbligato per le migliaia di migranti che lasciano le coste africane cercando salvezza e speranza.

Sono decenni che accogliamo migranti. La generosità e l’ospitalità italiana hanno fatto miracoli. Negli ultimi anni il flusso di migranti è aumentato in maniera vertiginosa. Flusso che facciamo fatica ad affrontare, oggettivamente. Problemi che possono essere affrontati, ovviamente con il sostegno dell’Unione Europa.

  La cosa più preoccupante è l’aumento dell’intolleranza verso il migrante, il rifugiato. Verso il diverso colore della pelle. La tragica morte di Willy Monteiro e l’apertura degli hotspot in Albania sono solo la punta dell’iceberg.

Ci sono partiti politici che fanno della lotta all’immigrato il cavallo di battaglia. L’insofferenza verso lo straniero aumenta, trovando terreno fertile nella crisi economica. Eppure noi italiani siamo popolo di emigranti.

 Per secoli siamo partiti con la valigia di cartone cercando pane e speranza. All’estero abbiamo subito insulti, discriminazioni. Violenze.

Spesso non si faceva nessuna distinzione tra l’italiano buono e italiano cattivo. Eravamo tutti mafiosi. Però non basta rievocare la storia dell’emigrazione italiana. Sono vicende lontane e facciamo fatica a rivederci in una moltitudine senza nome. Abbiamo bisogno di un volto. Di una storia.

La storia di Alfredo Zardini. Zardini lascia la moglie e il figlio a Cortina d’Ampezzo per cercare fortuna in Svizzera. Ha 40 anni e tanta voglia di lavorare. Arriva a Zurigo nel marzo 1971.

 Intorno alle 5 del mattina del 20 marzo esce di casa. Deve incontrare il suo futuro datore di lavoro. Prima di recarsi all’appuntamento decide di bere un caffè. Alle cinque di mattina non è semplice trovare un bar aperto. Zardini riesce a trovarne uno aperto, il bar “ Frau Stirnimaa “. Si sente fortunato. Ha trovato un buon lavoro e ora berrà un buon caffè.

 Invece la fortuna di Alfredo Zardini termina sulla soglia del bar.

Zardini non può sapere che quel bar non gode di buona reputazione. All’interno ci sono una decina di persone. Alfredo proferisce poche parole. Abbastanza per capire che è italiano.

Viene subito aggredito verbalmente da Gerhard Schwitzgebel detto Gerry. Gerry è alto più di un metro e ottanta. Ha grande forza fisica e la fedina penale sporca. Soprattutto odia gli italiani.

Sono solo le cinque del mattino ma Gerry è già ubriaco di vino e odio. Insulta e provoca Zardini, che non capisce il tedesco. Dopo gli insulti partono i pugni. Zardini non può difendersi. Troppa differenza fisica. Gerry lo massacra letteralmente con calci e pugni.

Poi fugge. Zardini è steso  sul pavimento del bar. Lo prendono e lo buttano letteralmente sul marciapiede davanti al bar. Con molto ritardo viene chiamata l’ambulanza. Sarà inutile. Alfredo muore. Gerry verrà condannato a 18 mesi. Tanto valeva la vita di un italiano.

Ora conosciamo la storia di Alfredo Zardini. Ricordiamoci di lui quando affrontiamo la vicenda dei migranti in Italia.

Zardini e le migliaia di nostri connazionali all’estero erano orgogliosi di essere italiani. Hanno dimostrato di essere migliori di coloro che li umiliavano.

Dobbiamo vedere nel viso di ogni migrante  il viso di Alfredo Zardini. Non possiamo accoglierli tutti ma dobbiamo rispetto e umanità a tutti quelli che accogliamo.

 Un giornale svizzero scrisse, dopo la morte di Zardini, : “ …era proprio uno come noi. Come sarebbe bello se potessimo dire : soltanto uno di noi “.

Appunto, come sarebbe bello.

Credit foto www.ispionline.it