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Cronaca

Perché non era un bravo ragazzo

Educare alla vita è l’unica arma per sconfiggere la violenza. In ogni sua forma.

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Credit foto https://www.ilsestantenews.it/veneto/giulia-cecchettin-e-stata-zittita-con-lo-scotch-per-impedirle-di-urlare/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

“Filippo Turetta era un bravo ragazzo”. Una frase che sentiamo praticamente ogni giorno e che ogni giorno provoca roventi polemiche soprattutto dopo una recente testimonianza al TG1 che racconta di un Filippo Turetta con violenti scatti d’ira nell’ultimo anno. Comunque essere un “bravo ragazzo” non gli ha impedito di uccidere Giulia Cecchettin.

Concretamente cosa significa essere un bravo ragazza o una brava ragazza? Essenzialmente significa rispettare lo standard fissato dalla società: rispettabilità, bravura nello studio e nel lavoro, volontariato, ecc. ecc.

Tutte cose belle e nobili ovviamente. Abbiamo però due problemi.

Il primo è che noi di una persona vediamo sempre la facciata che può, però, nascondere crepe e criticità. Un po’ come la macchina incidentata che viene portata in carrozzeria per nascondere i danni strutturali.

Inoltre essere “bravi ragazzi o brave ragazze” in situazioni normali è facile. Facile essere buoni e bravi quando tutto va bene.

Gli edifici vengono sottoposti a prove di carico per verificarne la tenuta. Le imbarcazioni vengono classificate in base alle condizioni meteo avverse che possono affrontare.

Invece per le persone non teniamo conto della capacità di affrontare le situazioni di stress. Capacità che varia da persona a persona.

Essere bocciati ad un esame; perdere un anno scolastico; perdere il lavoro; essere rifiutati da una ragazza o da un ragazzo; la malattia. Un parziale elenco delle situazioni che possono creare un forte stress emotivo,

Con conseguenze variabili e a volte devastanti. Perché non esistono persone perfette. Ciascuno ha fragilità e spesso demoni. Che, nelle situazioni di stress, possono prendere il sopravvento.

Cosa possiamo fare? Per prima cosa smettere di catalogare le persone come buone o cattive. La natura umana è molto più complicata.

Risulta essenziale preparare le persone alle situazioni di stress. Le famiglie vogliono, giustamente, il meglio per i propri figli. Cercano di preparare una via in discesa per loro.

Intento  certamente nobile ma che deve tenere conto della realtà: la vita non offre sempre il meglio e la strada è spesso maledettamente in salita.

I figli vanno preparati al rifiuto e al fallimento. Devono imparare che non conta restare in piedi a qualsiasi costo ma sapersi rialzare. Soprattutto devono imparare che non sono padroni della vita degli altri.

Educare alla vita è l’unica arma per sconfiggere la violenza. In ogni sua forma.

Fare i conti con il dolore e con i propri demoni è inevitabile. Inutile farsi illusioni. Non è possibile farlo da soli. Una rete di supporto è basilare.

I genitori, gli amici, la scuola, le istituzioni non devono accontentarsi della rassicurante apparenza della “brava persona”. Osserviamo le persone a cui teniamo nelle situazioni di stress. Solo così possiamo capire e doverosamente intervenire. Il silenzio è complicità. La negazione è complicità.

Giulia purtroppo non sarà l’ultima ma può e deve essere il passo decisivo verso un cambio di mentalità.

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