Mettiti in comunicazione con noi

Attualità

Ma veramente serve un metodo per imparare il latino?

La dirigente del liceo “Rita Levi Montalcini” di Casarano ha dichiarato lo stop al “metodo Ruggiero” per l’insegnamento delle lingue classiche, pertanto si dovrà tornare all’insegnamento tradizionale. Le famiglie degli studenti hanno scritto al ministero dell’Istruzione in segno di protesta. Eppure ogni lingua nasce da un processo irrazionale, non è costruita a tavolino, dunque non può essere inquadrata in un metodo razionale.

Avatar photo

Pubblicato

su

Vocabolario di latino Castiglioni-Mariotti.

di Alessandro Andrea Argeri

A breve mi laureo in lettere, perfettamente in regola, ho già insegnato latino durante un tirocinio di insegnamento con SavetheChildren, ma riconosco di non aver mai sentito parlare di un “metodo” specifico nell’apprendimento di una lingua, dunque non conoscevo quello del professor Ruggiero, sicuramente molto efficace considerato l’eco mediatico suscitato dalla sua “abolizione” nel liceo dove lo stesso professore insegna. Si tratta di una “via sperimentale”: a partire dalla lettura dei testi si studiano le regole grammaticali. Wow! Grandissima scoperta, davvero! Sarò io di corte vedute, ma considerato come ogni lingua nasca dalla necessità pratica di comunicare, prima attraverso la parola poi con un testo, non capisco come altrimenti si dovrebbe studiare il latino, di cui peraltro ci rimangono solo documenti scritti. Qual era prima il metodo di insegnamento? Normalmente quali testi si traducono? Sul momento si inventa Catullo? All’occorrenza si inscena un’orazione “stile Cicerone”?

Ad ogni modo, il “metodo” funziona, d’altronde l’analisi di enunciati scritti in una determinata lingua è l’unica maniera possibile per approcciarsi ad essa. Numeri alla mano, in tre anni numerose famiglie si sono iscritte al liceo Casarano, dove il “metodo Ruggiero” è diventata una bandiera, per questo alla decisione della preside di tornare all’insegnamento tradizionale i genitori degli studenti si sono addirittura rivolti a un legale per scrivere una lettera al ministero dell’Istruzione in segno di protesta.

Ho frequentato il liceo scientifico, tuttavia credo di aver imparato il latino solo al triennio delle superiori, quando subentrò una nuova professoressa a cui sono tuttora affezionato, perché solo da grandi si comprende quanto nella vita i bravi maestri siano fondamentali. Al biennio invece avevo avuto una professoressa da ufficio inchiesta: iniziammo il programma a novembre perché nei primi due mesi era in viaggio di nozze. Nulla lo vietava, per carità, eppure una certa etica della professione dovrebbe sconsigliarlo. Insomma partimmo con un vero tour de force perché eravamo indietro col programma ancora prima di iniziare, tuttavia sarebbe stato meglio non cominciare proprio. Mai una spiegazione diversa dalla lettura del libro, ad ogni dubbio avanzato da noi studenti la risposta era sempre la stessa: “Il latino è una lingua mnemonica”, con tanti saluti alle regole basilari della didattica.

Oggi mi rendo conto di come un insegnante di latino tanto coraggioso da dare una risposta del genere dovrebbe essere accompagnato direttamente in procura, perché è in parte anche colpa di questi se poi una combriccola di pagliacci armati di telefono pretende di risolvere le discriminazioni di genere con un asterisco in fine di parola.

Perché ho raccontato questa mia esperienza personale? Il latino è una lingua, esattamente come l’italiano, l’inglese, il francese… Dunque in quanto tale non ha nulla di “mnemonico”, piuttosto prima di studiare la grammatica bisogna inquadrare la struttura, cioè i rapporti logico-sintattici, nonché i processi di formazione delle frasi, delle parole, dei costrutti. Prendiamo ancora il caso del latino: una frase è composta necessariamente da tre elementi fondamentali: soggetto, verbo, complemento, altrimenti non può considerarsi pienamente compiuta. Ebbene il latino, così come il greco, ha una serie di casi specifici con cui sono segnalati i vari termini. Il soggetto è sempre in nominativo (nome), o in accusativo quando il verbo è all’infinito, altrimenti si tratta di un complemento.

Siccome ogni verbo ha una “valenza”, si riferisce almeno a un soggetto, nella traduzione è bene partire dal predicato, poi si individua il termine a cui si riferisce, infine si passa all’oggetto. Ebbene il genitivo è il complemento di specificazione, il dativo quello di termine, l’accusativo il complemento oggetto, il vocativo quello di vocazione, l’ablativo esprime vari complementi. Il tutto è segnalato dalle apposite uscite, ovvero le terminazioni delle declinazioni dei sostantivi. È sempre così a parte alcune variazioni specifiche. Aggettivi, avverbi, pronomi, sono da considerare dopo, come elementi aggiuntivi, non a caso l’essere elementi “in più” è indicato già nel loro nome.

Il metodo, se proprio lo si vuole indicare come tale, è questo: si parte dalla natura della lingua, poi si comprende la grammatica, infine si impara con tanta pratica, perché ogni idioma si sviluppa dall’uso. È più o meno così per ogni lingua, ma bisogna spiegarlo prima di buttarsi nella pratica, nelle traduzioni, nella memorizzazione di declinazioni altrimenti fini a sé stesse. Una lingua dev’essere usata, letta, praticata, non può cristallizzarsi in una grammatica o in uno schema razionale perché la sua natura stessa è irrazionale.

La verità è piuttosto un’altra: il motivo di tanto timore degli studenti nei confronti del latino e del greco deriva da insegnanti incompetenti, entrati nella scuola pubblica grazie a chissà quale miracolo. Con questo auguro buon lavoro al prof. Ruggiero, perché in questi momenti solo un ottimo insegnante riesce ad avere il sostegno dei propri studenti, nonché delle famiglie, però non parliamo di metodo, per favore, altrimenti si commette l’errore di considerare una lingua “mnemonica” alla stregua di una poesia da dimenticare appena terminati gli studi, anziché come uno strumento fondamentale per imparare a pensare.

RIPRODUZIONE RISERVATA ©

Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).