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La brutalità in me

Frederick Akwasi Adogo, il giovane assassinato la scorsa settimana a Pomigliano d’Arco, aveva già subito numerose aggressioni nei mesi precedenti, ma nessuno era intervenuto per fermare o denunciare i vili attacchi. Lo testimonia il contenuto del biglietto ritrovato sulla panchina del supermercato dove Frederick chiedeva l’elemosina.

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Credit foto Il Manifesto.it

È di pochi giorni fa la notizia della morte di Frederick Akwasi Adogo, il senzatetto barbaramente percosso da due sedicenni a Pomigliano d’Arco, nella notte tra domenica e lunedì. Frederick aveva attraversato il Sahara per raggiungere l’Italia e per lo stesso motivo era stato incarcerato in un lager libico, uno di quelli sulla costruzione dei quali la responsabilità politica del belpaese è ormai da tempo acclarata. 

La vicenda ha suscitato raccapriccio ed ha fatto inorridire e non senza ragione, l’Italia intera, non solo a causa del fatto in sé, ma anche per dell’indifferenza nella quale si è consumata. L’uomo aveva infatti già subito numerose aggressioni nei mesi precedenti, ma nessuno era intervenuto per fermare o denunciare i vili attacchi. Lo testimonia il biglietto ritrovato sulla panchina del supermercato dove Frederick chiedeva l’elemosina, nel quale un anonimo ha scritto: “È successo altre volte e nessuno di noi ha mai fatto qualcosa perché non arrivasse il peggio. Purtroppo il peggio è arrivato. Perdonaci se puoi”.

Frederick dopo la violenza dei due balordi è riuscito ad alzarsi ed a fare qualche passo, ma è caduto ancora. Chi lo ha soccorso lo ha però trovato in vita. Conosciamo l’indignazione di chi ha visionato i filmati registrati dalle telecamere,  presenti sui luoghi della violenza e che raccontano di un’aggressione immotivata e fulminea, durante la quale i due ragazzi avrebbero indirizzato i loro colpi al capo della vittima, provocandone la morte per trauma cranico ed emorragia cerebrale. 

Oggi leggiamo ed ascoltiamo le frasi degli amici o semplici conoscenti di Frederick, che parlano della vicenda come di un fatto indegno di una società civile ed in effetti è inimmaginabile non trovarsi d’accordo. Ci si domanda il perché del silenzio dell’intera rete che avrebbe dovuto fare invece da cassa di risonanza delle brutalità subite in passato dal giovane, rendendole note alla giustizia ed a tutti gli organi preposti, anche attraverso una semplice ed anonima segnalazione, ben prima che si verificasse l’irreparabile. Non è peregrino notare che ancora adesso, chi ha scritto il biglietto nel quale chiedeva scusa al giovane ghanese, non ha trovato il coraggio di apporre la propria firma. Ci si indigna sì, come se i fatti in oggetto però e l’indifferenza in cui sono maturati, fossero un fungo mostruoso, nato non si sa come e non si sa perché e non invece il sintomo di un medesimo male da cui siamo afflitti tutti, ma di cui sembriamo non essere consapevoli.  Eppure il sabato sera ad esempio, quando ci riversiamo nelle strade del centro, assistiamo ad atti di bullismo e di molestie posti in essere da ragazzi contro altri ragazzi, o contro anziani, immigrati o semplicemente diversi, durante i quali la regola applicata da tutti, tranne rarissime eccezioni è quella del non immischiarsi, del farsi i fatti propri per non avere guai. Perché pretendere che i conoscenti di Frederick Akwasi Adogo dovessero comportarsi secondo ben più nobili principi e valori?

Un parroco, intervistato sulla vicenda a gran voce si è domandato e ha domandato agli ascoltatori, cosa dovesse aver provato il giovane durante la violenza, rispondendosi che Frederick aveva molto probabilmente pensato al tradimento. Viene da chiedersi da parte di chi? Cosa si aspettava Frederick da una comunità miope e chiusa, spesso ignorante sul piano emotivo e che aveva già da tempo deciso quale dovesse essere il ruolo a lui riservato in seno al proprio consorzio?

Personalmente e mi sia consentita la citazione, io non temo la brutalità in sé ma la brutalità in me e non riesco a considerare i due ragazzi autori del delitto, degli alieni venuti da Marte: si sono comportati in maniera non dissimile da tanti ragazzi che affollano le strade delle nostre città e che sono altrettanto violenti, che riconoscono l’anziano o la persona più debole solo come potenziale oggetto di un disprezzo, che prescinde dalla storia personale di chi subisce ed è per questo particolarmente preoccupante. Privare i due sedicenni della libertà, senza che vi siano, o siano create le condizioni che consentano loro di prendere coscienza di cosa sia una società, dei limiti all’individuo ed ai suoi istinti più bestiali di cui ha bisogno per reggersi, sarà purtroppo inutile. 

Questa vicenda ci tocca profondamente per ragioni che vanno ben aldilà delle parole che fino qua avete letto ed anche forse per una eccezionalità alla quale tuttavia credo solo in parte. Ci si indigna certo e giustamente ma io, per quanto mi sforzi, se penso a Frederick Akwasi Adogo ed a ciò che deve aver provato mentre da solo, cadeva sotto i colpi dei due bruti, a differenza del parroco di cui sopra, non riesco a levarmi dalla mente un disilluso Enzo Jannacci che retoricamente ed amaramente cantava :”Se me lo dicevi prima”!

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano