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La complessa bellezza della mente umana: ADHD

Con l’avvento dei social media è stato possibile dar voce a tante tematiche, raccontate da coloro che le vivono in prima persona. Depressione, narcisismo, personalità borderline e persino schizofrenia. Malgrado tale evoluzione, alcuni aspetti legati allo sviluppo rimangono celati. Fra questi l’ADHD: Disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività. 

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Immagine fornita tramite Pixabay License di dominio pubblico
Educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto (Aristotele)

Con l’avvento dei social media è stato possibile dar voce a tante tematiche, raccontate da coloro che le vivono in prima persona. Depressione, narcisismo, personalità borderline e persino schizofrenia. Malgrado tale evoluzione, alcuni aspetti legati allo sviluppo rimangono celati. Fra questi l’ADHD: Disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività. 

Quando si sente parlare di iperattività è importante assumere un atteggiamento di comprensione e curiosità. Si tratta di un disturbo che per troppi anni è stato associato alla follia, all’ignoranza, celato da parole poco incoraggianti.

Esso fa parte dei deficit neuropsicologici, registrato soprattutto in età fanciullesca. Infatti già un 5% riguarda l’età scolare, con una prevalenza per il sesso maschile, secondo un rapporto di 3:1. Da notare come anche la percentuale che pertiene alla fascia adulta sia molto più alta. Questo sulla base di equivoci diagnostici e generalizzazione dei sintomi. 

Al lamentare di alcuni di essi, a tantissimi è stata proposta un’etichetta diversa: depressione, ansia, stress, un qualcosa di passeggero. Sembrerebbe di trovarsi quasi dinanzi ad un tesoro della neuropsicologia! 

Eppure, proprio l’alta percentuale di cui si è parlato prima, indica una compromissione dell’importanza di parlare di ADHD. L’uso di “compromissione” non è casuale, bensì indica ciò che i pazienti si trovano a fronteggiare. 

Quante difficoltà?

I primi fattori ad essere colpiti sono quelli del controllo dell’inibizione degli impulsi e della memoria di lavoro. Di conseguenza riuscire a stare fermi e gestire l’urgenza di muoversi risulta quasi impossibile. Si associano, inoltre, difficoltà nella flessibilità cognitiva e nella possibilità di creare delle relazioni stabili e durature.

Non si dimentichi come, sulla base di indagini accurate, coloro che soffrono tale condizione presentano disagi in situazioni di problem solving. Ciò significa che le strategie comportamentali strutturate saranno più difficili da applicare.

Inoltre vi è una tendenza a dimenticare più in fretta i concetti, l’ubicazione di oggetti da poco lasciati, eventi importanti e persino nomi. 

Non si esclude la pianificazione di eventi futuri, spesso non rispettata proprio per le ragioni precedentemente esposte. Portare a termine un compito diventa meno allettante rispetto al lasciarlo a metà, o non cominciarlo. Ne consegue un forte senso di colpa, associato alle difficoltà cognitive, che si riflettono nel quotidiano. 

Proprio il quotidiano diventa difficile da vivere. Per la maggior parte delle persone, la risoluzione di un problema o la programmazione di compiti segue un andamento lineare (A→B→C→D). Nelle persone ADHD si tratta di una strada con migliaia di uscite, che punta al risultato senza comprendere le varie tappe da affrontare. Lo stesso punto di partenza diventa motivo di difficoltà, seguito da tanti interrogativi su come non perdere la pazienza, la concentrazione e motivazione. La stessa scelta diventa componente di indecisione, frustrazione e stanchezza mentale per il troppo rimuginare che ne consegue. Un semplice viaggio sarà associato a quella costante paura di non aver rispettato determinate scadenze o di aver dimenticato qualcosa di importante. 

Nel corso della propria vita più volte viene ripetuto quanto il lavoro scelto debba essere gratificante e piacevole. Per ciascuno di noi però, possono presentarsi delle situazioni che portino a pensarla diversamente. 

Nel mondo ADHD possono presentarsi: sentimenti di frustrazione, ripetitività, difficoltà di concentrazione con un rischio di sovraccarico sensoriale, un ambiente non inclusivo. Grazie a determinati studi psicologici, si sono resi possibili alcuni modi per poter affrontare quanto appena detto. 

Tecniche di aiuto

Tra questi abbiamo il body doubling, ossia la presenza di un individuo che ci consente di ridurre le distrazioni mentali. Si pensi ad esempio al piacere di studiare, lavorare, pranzare in compagnia. Lo stare insieme consente alle persone ADHD di acquisire maggiore sicurezza nelle proprie capacità, grazie all’aiuto fisico e mentale di una persona vicina. 

In secondo luogo vi è l’hyper focusing. Dall’inglese hyper (molto alto)+ focus (focalizzare/concentrare), il termine richiama a delle situazioni di applicazione così intense da annullare tutto ciò che si trova attorno. Le persone ADHD infatti possono passare da stadi di concentrazione bassi fino a picchi molto elevati. Sfruttando la tecnica precedente e quest’ultima, si possono raggiungere dei risultati significativi. Non vanno sottovalutate le pause, da compiersi ogni mezz’ora, proprio per consentire al cervello un rilascio di tutta l’energia utilizzata durante degli impieghi. Le pause possono essere di 10 o 15 minuti, ma necessarie per bere un po d’acqua, mangiare un frutto o ascoltare della musica.

Solitudine, frustrazione e relazione

Non c’è nulla, però che renda le persone ADHD diverse dalle altre. Le prime, infatti, sono dotate di grandi capacità di multitasking: è possibile svolgere contemporaneamente più mansioni. Il tutto a prescindere che esse vengano portate a termine o meno. 

Si associa anche un’elevata creatività, proprio a causa di una mente costantemente attiva e alla ricerca di nuovi stimoli. Tanti personaggi celebri infatti rientrano in questa descrizione: il cantante Justin Timberlake e Adam Levine, la conduttrice Howie Mandel ecc.

La sensazione di solitudine è tipica per chi vive il disturbo, specie se privo di supporto medico o familiare. La famiglia può essere una fonte di sostegno, grazie a delle strategie di coping emotivo

Quest’ultimo consiste nella creazione di un modello emotivo stabile ed utile a fronteggiare delle situazioni complesse. In questo modo si vanno ad arricchire le capacità strategiche, che nelle persone ADHD sembrano essere significativamente ridotte. Tutto ciò per scongiurare, specie in bambini e adolescenti, comportamenti inibitori, che possono portare a depressione.

Per alcuni quella difficoltà di concentrazione può essere scambiata per semplice pigrizia. Eppure, basti a pensare a come dietro quella pigrizia si nascondino tanti dubbi e difficoltà che non sempre si ha il coraggio di esporre.  

Età adulta

In età adulta il disturbo colpisce tra il 3 e 4,5% della popolazione, con l’aggiunta di altri sintomi che riguardano problematiche sociali e lavorative. Ad esempio: scarso rendimento scolastico, legami affettivi brevi e con frequenti separazioni; possibilità di incorrere in dipendenze (come alcol o droghe)

Non si esclude anche la presenza di DSA (disturbi dell’apprendimento), dislessia o discalculia. In questo caso, però, sarà importante un percorso che analizzi la storia familiare del paziente e i possibili fattori genetici responsabili. Molto spesso, specie nei parenti appartenenti alle vecchie generazioni, si tende a sottovalutare quei segnali incisivi, in quanto “normalizzati”. 

A tutti infatti capita di avere problemi di concentrazioni, dimenticare nomi, cose, date, di fare più cose insieme o non riuscire a portarne altre a termine. Sono in tanti ad essersi sentiti dire: “Succede anche a me. Stai bene”, oppure “Smettila di diagnosticare malattie. È tutto nella tua testa”. 

Addirittura quando si tenta di trovare quelle componenti genetiche la classica risposta è: “E allora? Succede. Tutti i bambini sono vivaci. Non hai niente che non va”

A livello generico è possibile che la sintomatologia possa seguire due strade: persistere nel corso del tempo e aumentare, oppure desistere .

Diagnosi

La diagnosi ha importanza specie in ambito lavorativo e universitario. In occasione degli esami possono essere instaurati dei percorsi alternativi di esposizione, con riduzione del programma, materiale rielaborato su cui basarsi. Questo perché le università hanno il dovere di fornire un ausilio a tutti coloro che presentano delle difficoltà neuropsicologiche, fisiche ed emotive. Importante diventa anche la presenza di uno sportello d’ascolto, utile nel dare conforto a coloro che per una vita intera si sono sentiti “troppo lenti” o “troppo diversi” rispetto agli altri.

Per la diagnosi sarà necessario rivolgersi a dei centri specializzati in ADHD. Nel caso del barese si parla del Policlinico, contattando il reparto di psichiatria. Una volta raccolti i dati generali nelle prime sedute (anagrafici, sintomi riconducibili, storia clinica) si procede con dei test appositi e specifici alla diagnosi. I risultati potranno essere propedeutici per ulteriori risposte sia in relazione all’ADHD, che per altre problematiche. Al termine degli incontri è possibile ottenere una relazione, utile soprattutto in ambito universitario, come spiegato prima. 

Per quanto concerne una diagnosi per minori, basterà contattare un centro di neuropsichiatria infantile, stabilire un appuntamento ed avviare gli incontri.

Un nome, un equivoco

Ulteriore accorgimento è la terminologia con cui ci si rivolge a tale profilo neurologico. Sovente infatti si usa l’espressione “soffrire di”, definendo il disturbo come malattia vera e propria. La sofferenza di per sé si cela in una vita passata in un abisso di mancate diagnosi e risposte, nella sensazione di sentirsi non alla pari con il resto del mondo. A queste situazioni si congiungono momenti di paralisi, ansia, depressione e frustrazione. 

Più che comportamento patologico si dovrebbe parlare di caratteristica e usare il verbo essere. In tal caso la neuro divergenza viene presentata come una componente che fa parte della vita di chi la manifesta, e non come punizione. 

In sintesi, il disturbo da iperattività non è un qualcosa da sottovalutare. Non si tratta di una fase qualunque, né di semplice vivacità. 

Chi vive con l’ADHD non è moralmente degradabile e non deve essere oggetto di discriminazione da parte di terzi. E non solo per i deficit neuropsicologici, ma in riferimento ad ogni disagio, che ha diritto di esistere e di essere accolto e trattato nel giusto modo.  

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