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I poveri non sono tutti uguali

La condizione di indigenza a cui molti sono stati costretti dalla congiuntura critica degli ultimi anni, ha messo a dura prova l’equilibrio di tanti. Eppure, se il solo valore di riferimento sono stati i soldi, l’abbruttimento che ne è derivato, ha finito con l’essere ben peggiore di un impoverimento materiale, sconfinando in uno smarrimento morale che non preannuncia nulla di buono.

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Non è difficile incontrarlo in un discount oppure ad una cena a casa di amici. Lo si troverà in abiti di note firme della moda di qualche anno fa, impegnato a metizzarsi, a non far trasparire l’affanno quotidiano del far quadrare i conti, quel girone dantesco in cui è intrappolato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto che vive.

È caduto sotto i colpi della crisi, del Covid e dell’aumento esponenziale delle bollette di luce e gas ed è sempre preso dalla rabbia di vedere taluni suoi concittadini godere di una ricchezza che a suo avviso non meritano, o di quelli che considera fannulloni purché percepiscono sussidi come il reddito di cittadinanza. Allora ne coglie i difetti, le piccole debolezze e le stigmatizza, dimostrando la sua incapacità di elaborare il dolore, l’assenza di dignità che la povertà gli ha regalato di essere lucido, di non lasciarsi andare all’odio senza freni che lo prende di fronte alla fortuna ed alla felicità altrui.

Quest’uomo non suscita simpatia e non la suscita perché non ha l’apparenza del ricco, che troppo spesso riscuote consensi senza nulla aver fatto, se non appunto, l’essere ricco. È inoltre troppo impegnato a rimestare nel calderone del suo astio, per essere capace di qualsivoglia forma di gratuità.

Ecco, quest’uomo non è capace di gratuità, ma soprattutto nemmeno di una sana ironia che gli permetta per un attimo, di allontanare da sé la meschinità propria e della condizione umana. Durante il ventennio fascista avrebbe volentieri fatto il delatore.

In effetti non ha mai posseduto un vero talento. La sola cosa che avrebbe potuto farlo brillare sarebbero stati i soldi, ma non ne ha, o non ne ha più e lui non era una compagnia interessante nemmeno durante gli anni del suo massimo fulgore, non avendo niente altro da spendere che non fossero appunto i propri soldi.

Attaccato così al costoso paio di scarpe che cura più di un figlio, dimostra tutta la bassezza di chi non conosce altro che le cose, sebbene delle stesse, come degli esseri umani d’altronde, sia incapace di cogliere l’anima.

Si difende dall’accusa  sostenendo che cura quelle scarpe perché, di quella pregiata fattura ne possiede solo un paio ed in effetti dice il vero, se non fosse che questo non riesce a fargli guadagnare un minimo di simpatia in chi lo ascolta, perché a sopperire ai limiti propri e della quotidianità può venirci incontro la cultura, ma costui non ha coltivato la cultura e nemmeno le buone maniere.

Si considera e giustamente, un incolto ed ammira tutti i professoroni, neri o rossi, solo perché hanno qualcosa che lui non ha e che perciò non conosce.

È questa la ragione per la quale si affida politicamente a quei soggetti che invitano a non farsi mettere i piedi in testa, a quelli che dicono di averlo sempre duro, sebbene costui sia sprovvisto di qualunque strumento che lo aiuti a valutare concretamente il peso di chicchessia. Per questo è pericoloso.

Tale individuo mantiene la spocchia della classe a cui non appartiene più, che non vede, non ama e non lotta per niente altro che non siano i soldi: non la religione, così astratta, con divinità che né si vedono, né si mangiano, non la politica come prassi civile ed etica, ma solo come mezzo per riuscire ad ottenere qualche vantaggio economico.

Insomma, appare sempre come l’animale perdente delle favole di Esopo: soggetto a poche leggi, tutte istintive, delle quali si lamenta perché le subisce, ma incapace di elaborare un sistema valoriale migliore, non essendo lui migliore di colui che col tacco della violenza lo costringe a subire il peso della sua forza.

Rosamaria Fumarola.

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano