Attualità
“L’estate più calda degli ultimi trent’anni”
È la stagione dell’odio, dove porterà questa crisi?
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di Alessandro Andrea Argeri
La rabbia sociale è ai massimi storici. Per constatare ciò non servono grandi studi di statistica, basta scambiare alcune parole con un qualsiasi cittadino. Si preannuncia “l’estate più calda degli ultimi trent’anni”, indipendentemente dal clima, per il quale il tg5 potrebbe anche annunciare: “Non bevete nelle ore più calde, c’è la siccità”, nell’unico paese in cui sprechiamo molta più acqua di quanta ne consumiamo per l’incapacità di riparare gli acquedotti.
Proprio divisiva questa legislatura! Eravamo partiti con l’odio verso gli immigrati nel 2018, poi siamo passati al quasi conflitto civile tra “no-vax” e “sì-vax”. Ora le stesse dinamiche di lotta per la sopraffazione proseguono tra sostenitori ucraini e putiniani, dove quest’ultimi sono perlopiù ferventi antiamericani. Insomma c’è sempre una divisione, un elemento di scontro dal quale la democrazia rischierebbe sempre di sparire per lasciar spazio a un’ipotetica tirannia. Le spaccature all’interno dei partiti rendono chiaro il conflitto di opinioni in atto. Specialmente tra i populisti implosi, o esplosi, scioltisi alle alte temperature come ghiaccioli al sole.
Certamente questi partiti rappresentano poco l’elettorato, specialmente i nuovi. Le spaccature avvengono in una logica in cui sono i primi ad inseguire il secondo. Bei tempi quando i rischi di una crisi di governo provenivano dai fumi dell’alcool dei cocktail al Papeete anziché da un dibattito sulla guerra. “Ufficialmente” sulle armi, “ufficiosamente” sulla conservazione delle poltrone. Ora il sostegno è a Draghi, ma chissà se il bicchiere in mano è ancora il “Moscow Mule”.
Ci sono poi i nemici di sé stessi, qualora i putiniani possano per qualche oscura ragione non essere inclusi nel medesimo gruppo. Si tratta di una frangia illiberale composta dai “radical chic”: fanatici sempre alla ricerca di una colpa storica da espiare, alla stessa maniera dei flagellanti medievali. È un tipo di masochismo strano, perverso. Nell’ideologia progressista gli occidentali sarebbero a priori “i cattivi”, pertanto dovremmo, anzi “dobbiamo”, essere eliminati a partire dalle nostre radici culturali. Non a caso il tema della nostra presunta “decadenza” è uno dei cavalli di battaglia della propaganda russa, come ha espresso Federico Rampini nel suo ultimo saggio “Suicidio occidentale”. In tutto questo Putin ride a vedere con quanta facilità ci distruggiamo a vicenda.
Tuttavia l’odio “fratricida” è diffuso anche nell’idilliaca Russia degli slogan. Al fronte sono state mandate le minoranze arabe, asiatiche, buddiste, ragazzi di vent’anni appartenenti ai centri rurali. È infatti la guerra dei poveri nonché dei “non russi”, inesperti oltre che meno equipaggiati all’insegna di una tacita pulizia etnica giustificata dal più rigido classismo ottocentesco, per il quale è “meglio un morto tra i poveri delle periferie anziché tra la borghesia dei grandi centri di Mosca o Pietroburgo”. Nella “democrazia Russa”, il sistema di purezza da contrapporsi alla “nostra corruzione”, uno non vale uno. Rimando a tal proposito a un articolo del 24 giugno pubblicato sul Corriere della Sera, scritto da Federico Fubini. Il titolo:” Putin manda a morire le minoranze etniche. Chi sono i Buriati, i Kazaki, i Tuvani”.
Alla fine, se c’è veramente una crisi endemica nella nostra società, l’elemento decadente è rappresentato da chi attua una sovversione di realtà per il solo gusto di indignarsi o sentirsi alternativo. Pensare indipendentemente è un atto intellettuale, scaricarsi colpe è da coppia in crisi al sesto mese di relazione. Eppure questa non è una guerra per gli ideali, bensì per le risorse. Verranno altri conflitti simili, per l’acqua, per il grano, per il gas, per i semiconduttori di Taiwan. Forse saranno addirittura più feroci di questo. La domanda allora è la seguente: dovremo abituarci a un perenne stato di emergenza, ovvero a una continua condizione di crisi, di guerra, di privazioni?
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