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Attualità

La solitudine di chi si ammala in Italia (Parte seconda)

Quale sia il valore che l’essere umano ha in un paese come il nostro lo raccontano molte
fonti. La Costituzione ad esempio, o le leggi che attengono alla sanità pubblica. Resta tuttavia da chiedersi quanto queste forme di tutela siano effettive.

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La ricerca di un medium che permetta al cittadino di farsi curare adeguatamente non riguarda solo la sanità pubblica. Al contrario, nonostante sia continuamente sommerso dalla pubblicità di centri specializzati che, come banconisti al mercato offrono la propria merce presentandola come la migliore dell’universo creato, la truffa è dietro l’angolo e come potrebbe non esserlo se una visita medica finisce con l’avere lo stesso peso di una seduta di manicure? Così lo smarrito paziente, contento per la celerità con cui ha prenotato la sua visita ed in fondo per il compenso dovuto al medico che si occuperà di lui (anche in assenza di prescrizioni da parte del medico curante!) si recherà nel centro diagnostico speranzoso di trovare soluzioni ai suoi problemi. Nella migliore delle ipotesi sarà necessaria ben più che una sola visita, essendo quel paziente per lo specialista uno sconosciuto e così l’onere economico finisce col diventare un pesante impegno, posto prioritariamente davanti alla cura. Anche in questo sistema, che ritiene che la salute possa in qualche modo essere oggetto di mera compravendita, la centralità dell’essere umano e delle sue fragilità è vocabolo declinato in lingua scognita. Ed in ogni caso, chi non disponga di mezzi adeguati ha una sola possibilità per farsi curare: avvalersi dell’assistenza delle strutture pubbliche che, se sono quelle dei grandi centri urbani offrono un gran numero di disservizi, primo fra tutti la maleducazione anche e soprattutto nei confronti di chi è gravemente ammalato o anziano. Nel policlinico barese ad esempio molti anziani ammalati vengono legati al letto per costringerli a fare i propri bisogni senza alzarsi (questo renderebbe necessario l’accompagnamento da parte di un infermiere, ma la prassi consolidata è appunto altra). Che cosa possa provare una persona sofferente, legata ad un letto, lontana dalla propria casa e dalla propria famiglia, in balia di chi lo tratta con sufficienza, che lo fa sentire solo un peso di cui liberarsi al più presto, non è difficile da immaginare e che si realizzi in luoghi deputati alla cura e non alla punizione è paradossale oltreché vergognoso.  

È poi interessante che proprio in ospedali come il Cardarelli di Napoli, nel cui pronto soccorso si può restare in attesa di assistenza anche ventiquattr’ore, Massimo Ranieri, caduto dal palco durante un concerto, sia curato e dimesso in tempi record, fatto al quale non mi è parsa cosa intelligente dare risonanza. 

Non è infrequente tuttavia che gli ospedali presenti nei piccoli centri siano in grado di prendersi cura del malato in maniera migliore, forse per la ragione banale che il personale medico ed infermieristico appartiene alla medesima piccola comunità da cui proviene il paziente, che è dunque riconosciuto nella sua individualità e non può essere ridotto a sconosciuto essere senza diritti come accade nei grandi centri. Molti ospedali della provincia sono stati peraltro negli ultimi anni chiusi e questo ha peggiorato la condizione già al collasso dei nosocomi rimasti, che non hanno più ovviamente un numero sufficiente di posti letto. In attesa del ricovero può dunque accadere che le condizioni di un ammalato si aggravino irrimediabilmente o che egli stesso rinunci a curarsi, visto che il sistema descritto finisce col disincentivare la richiesta di assistenza.  

A questo punto è legittimo domandarsi se questa barbarie sia degna di un paese che ambisce ad essere considerato all’altezza degli altri paesi occidentali.  Tempo fa su un social, mi è capitato di leggere un aforismi il cui condivisibile contenuto era più o meno questo: il livello di civiltà di un popolo si misura da come rispetta gli animali e se ne prende cura. Mi viene in mente che anche la valutazione di come un paese assiste i propri ammalati può e deve servire egregiamente all’uopo.

Di Rosamaria Fumarola 

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano