Ambiente
ECOLIO 2: Chiuse le indagini della Procura
Ecolio 2 avrebbe per anni trattato e smaltito in maniera illegale migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi
DI NICO CATALANO
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La storia politico amministrativa Italiana, è sempre stata costellata da decisioni dal respiro corto, da quella paura di andare oltre il maledetto compromesso tra progresso e finto sviluppo. Interi decenni caratterizzati da un’azione politica tanto inconsistente, quanto incapace nel fare prevalere l’interesse comune al di sopra del profitto personale. Nella nostra regione questa presunzione tipica del mondo politico nel sottoscrivere accordi al ribasso con i gruppi portatori di legittimi interessi, lega ad un sottilissimo filo la prima repubblica, con la destra Tatarelliana prima e Fittiana dopo, passando per l’ultimo quindicennio di cosiddetta Puglia migliore. Quella primavera pugliese sbocciata nella prima metà degli anni 2000, e quasi subito sostituita con un buio interminabile inverno che ha contribuito a relegare la Puglia tra le Regioni Italiane a più alto rischio ambientale. Nel Sud Salento, tra le campagne funestate dalla Xylella e dagli incendi, eredità di un’azione politica inadeguata, sorge l’impianto di Ecolio2. Situato in località Spiaggiano Canale, appena fuori l’abitato del Comune di Presicce-Acquarica, a dispetto del nome, Eco e Olio, l’impianto per anni ha trattato e smaltito illegalmente reflui speciali e pericolosi. La sua destinazione originaria era quella di depurare le acque di vegetazione dei frantoi, ma, a partire dall’anno di costruzione nel lontano 1991, l’impianto è stato autorizzato a smaltire un elenco di 191 codici CER, di cui ben 41 con asterisco, ossia riconducibili a varie tipologie di rifiuti speciali pericolosi. Autorizzazioni, che peraltro sino al 2013, sono passate tutte al vaglio del Comitato Via (Valutazione Impatto Ambientale) della Regione Puglia, con esito positivo. Grazie a questi numerosi permessi, superficialmente elargiti dalle varie istituzioni preposte al controllo, Ecolio2 è diventato nel tempo uno dei pochi impianti in Puglia in grado di trattare i reflui più inquinanti e pericolosi per la salute umana. Un’attività questa, che ha causato le proteste delle comunità di Presicce-Acquarica, Salve, Ugento e Taurisano, rimostranze diventate negli anni sempre maggiori, sia per via delle continue e costanti fastidiose emissioni maleodoranti avvertite nei centri abitati, così come per l’aumento dell’incidenza e della mortalità per patologie oncologiche tra gli abitanti di quel territorio, probabilmente in seguito ad una concentrazione di inquinanti a forte potenzialità cancerogena, addirittura con valori simili a quelli registrati nel rione Tamburi di Taranto. Queste ripetute denunce da parte di istituzioni, cittadini e associazioni locali, avevano portato, durante lo scorso anno, all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Lecce, che preventivamente, nel novembre 2020, aveva posto sotto sequestro l’impianto. In questi giorni, i procuratori aggiunti del Tribunale Lecce, Elsa Valeria Mignone e Guglielmo Cataldi, hanno chiuso le indagini con quattordici persone rinviate a giudizio, tra cui Italo Forina, di Canosa di Puglia, legale rappresentate della società Ecolio 2 e Toni Fernando Alfarano, di Racale, responsabile tecnico dell’impianto. Il reato contestato a tutti è quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, mentre Forina e Alfarano devono rispondere anche dell’ipotesi di emissione pericolosa nell’atmosfera e nel sottosuolo di enormi quantità di sostanze inquinanti e nocive. Secondo l’accusa, nella struttura sarebbero state gestite e smaltite illegalmente migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi, tra cui acque di strato associate agli idrocarburi liquidi separate dal greggio estratto dal sottosuolo, percolato di discarica e vari rifiuti liquidi acquosi. L’impianto avrebbe anche trattato oltre dodicimila tonnellate provenienti dall’Eni di Viggiano in Basilicata e quasi tremila tonnellate di percolato provenienti dalla vicina discarica di Burgesi. Rifiuti che sarebbero stati ricevuti con codici CER non pertinenti e attribuiti in modo arbitrario, per non rendere riconoscibile la loro effettiva origine e le sostanze pericolose in essi presenti. Inoltre, dalle indagini effettuate dagli inquirenti, risulterebbe che l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata nel 2011 dalla Regione Puglia, fosse illegittima in quanto basata su una falsa prospettazione dei requisiti necessari. Una situazione quest’ultima che aggraverebbe ulteriormente la posizione dei legali rappresentanti di Ecolio 2, che avrebbero per anni trattato e smaltito in maniera illegale migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi e non, diffondendoli nell’aria, nelle falde e nel sottosuolo. Fermo restando il rispetto del diritto di presunzione di innocenza per tutti i responsabili di questa vicenda, si spera che la giustizia possa fare il suo corso al fine di risarcire un territorio, quello del Salento Jonico, tra i più belli di Puglia, purtroppo deturpato dalla smania di profitto e dalla cattiva politica.