01 Dicembre 2025
Dal giudice istruttore al GIP: così sono cambiate le indagini penali in Italia
Che cosa significava indagare sotto la guida di un giudice istruttore? E quali sono oggi i punti di forza e le criticità del GIP, il giudice per le indagini preliminari?

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Ultimamente, ma in realtà da molto tempo, si discute sul fatto che il Gip accoglie quasi sempre le richieste del Pubblico Ministero. Questa nota statistica viene usata per giustificare il si referendario alla separazione delle carriere.
In realtà appare strumentale. Perché si poteva ottenere un risultato migliore senza modificare la Costituzione .
Bastava ragionare sulla figura del Giudice Istruttore.
Con la riforma del codice di procedura penale del 1988 l’Italia ha abbandonato un modello di indagine incentrato sul giudice istruttore per abbracciare un sistema di tipo accusatorio. Un cambio di paradigma che ha modificato radicalmente equilibri, ruoli e garanzie della fase preliminare. Ma che cosa significava indagare sotto la guida di un giudice istruttore? E quali sono oggi i punti di forza e le criticità del GIP, il giudice per le indagini preliminari?
Il giudice istruttore: il magistrato che indagava
Fino alla fine degli anni Ottanta il perno dell’attività investigativa era il giudice istruttore. Una figura che univa competenze di indagine e funzioni giurisdizionali: interrogava indagati e testimoni, disponeva perizie, decideva su arresti, sequestri e intercettazioni, e alla fine stabiliva se rinviare a giudizio o archiviare il caso.
Un ruolo che garantiva un’indagine guidata da un soggetto terzo rispetto all’accusa. Un vantaggio, questo, in termini di equilibrio e imparzialità. La prova era spesso raccolta con un grado di formalizzazione che le permetteva di mantenere valore anche in dibattimento.
Ma il sistema mostrava evidenti limiti. Le istruttorie erano lente, complesse, sovraccaricate di formalità. La figura del giudice-investigatore, inoltre, presentava un’ambiguità strutturale: chi indaga può formarsi un’opinione anticipata sul processo che in qualche misura condizionava l’esito.
La svolta del 1988: indagini in mano alla Procura e il ruolo del GIP
Con il nuovo codice è la Procura ad assumere la guida delle indagini. Il giudice istruttore scompare e nasce il GIP, un giudice chiamato a intervenire soltanto quando l’attività investigativa tocca diritti fondamentali: misure cautelari, perquisizioni, sequestri, intercettazioni, archiviazioni.
Non è più un protagonista dell’indagine, ma un garante: controlla, autorizza, valuta. La raccolta della prova si sposta in modo deciso nel dibattimento, dove tutto deve essere formato in contraddittorio davanti al giudice del processo.
Il nuovo modello ha velocizzato le indagini, chiarito la separazione tra accusa e giudice e rafforzato la centralità dell’aula. Ma non mancano le zone d’ombra. Il controllo del GIP è spesso limitato ai documenti prodotti dalla Procura. Le decisioni cautelari devono essere prese in tempi strettissimi su fascicoli spesso imponenti. E il “potere” della Procura, nella fase preliminare, risulta molto maggiore rispetto al passato, con il rischio di uno sbilanciamento che la figura del GIP non sempre riesce a compensare.
Due modelli, una stessa domanda: come trovare l’equilibrio?
Il passaggio dal giudice istruttore al GIP non è soltanto un cambiamento tecnico, ma una scelta culturale: privilegiare la rapidità e la centralità del processo rispetto alla profondità dell’istruttoria giudiziaria.
Oggi il dibattito rimane aperto. Il giudice istruttore garantiva un’indagine condotta da un magistrato terzo, ma al prezzo di tempi lunghissimi e di una scarsa partecipazione delle parti. Il sistema attuale è più efficiente, ma espone l’indagine a un forte squilibrio in favore dell’accusa.
La sfida per il futuro della giustizia italiana potrebbe essere proprio questa: recuperare il meglio di entrambi i modelli, coniugando efficienza e garanzia, rapidità e solidità istruttoria.
Senza “guerre di religione” e strumentalizzazioni.
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