Mettiti in comunicazione con noi

Attualità

Perché protestare il 3 ottobre

Avatar photo

Pubblicato

su

di Alessandro Andrea Argeri

Al momento ci sono 48 italiani, nostri connazionali, detenuti illegalmente nel carcere israeliano di Ketziot. Il punto è che la Global Sumud Flotilla si trovava in acque internazionali, dove valgono due principi fondamentali: la libertà dei mari e la sovranità dello Stato di bandiera della nave. In queste acque, nessun altro Stato può salire a bordo o effettuare controlli, salvo in casi eccezionali come sospetti di pirateria o tratta di esseri umani. Israele richiama il blocco navale in vigore dal 2009, ma le norme che lo regolano, definite dal Manuale di Sanremo del 1994 sul diritto della guerra marittima, stabiliscono che un blocco non può impedire il passaggio di beni di prima necessità, soprattutto se la popolazione civile non dispone di cibo o mezzi di sussistenza. Inoltre, anche nelle acque territoriali il diritto internazionale garantisce alle navi civili il cosiddetto “passaggio inoffensivo”, purché non rappresentino una minaccia per la sicurezza. In ogni caso, non è possibile intervenire a bordo se non su richiesta della nave stessa, ad esempio in caso di SOS. Infine, va ricordato che i civili estranei alle ostilità hanno sempre diritto a protezione, anche in zone di guerra.

Il nostro Presidente del Consiglio invece, Giorgia Meloni, ha dichiarato: “L’Italia non spenderà un centesimo per il rimpatrio dei cittadini italiani della Flotilla espulsi da Israele, dovranno farsene carico gli attivisti.” Ma davvero? A gennaio abbiamo rimandato a casa con un volo di Stato un trafficante libico su cui pendeva con mandato di cattura internazionale, mancava solo il tappeto rosso, però nemmeno un centesimo né una dichiarazione di solidarietà per i nostri connazionali partiti in missione umanitaria.

Tra tutti gli Stati delle delegazioni sulla Flotilla, il nostro è stato l’unico a non aver speso parole in difesa dei suoi cittadini catturati da forze straniere. Per il nostro Governo non si tratta di un gruppo di italiani prigionieri da riportare a casa, ma di soggetti da sanzionare simbolicamente, colpevoli di aver incrinato la narrazione ufficiale. Non più cittadini da difendere, bensì corpi estranei che meritano di pagarsi da soli la libertà. Così la premier costruisce una cornice politica precisa: chi denuncia l’assedio di Gaza diventa automaticamente un “problema”, non una vittima. Ecco il vero aspetto preoccupante di questo Governo: non tutela né gli interessi nazionali né gli italiani. Dov’è finito il sovranismo per anni tanto millantato? Dov’è finito l’ideale della Patria? Dov’è finito il sentimento nazionale? Cosa rimane del dovere di uno Stato verso i propri cittadini, se il vero discrimine non è la legge ma la fedeltà alla linea politica del governo?

I sindacati hanno indetto due giorni di scioperi. Stamani l’Ateneo di Bari è stato quasi interamente bloccato. Giustamente. Si protesta per una buona causa. Chi può si aggreghi, si astenga, manifesti in qualche modo, ma sempre pacificamente, il proprio dissenso, non necessariamente in piazza, ma lo faccia. Perché le proteste hanno il forte significato simbolico di dare un segnale al governo, perché in democrazia l’opinione pubblica ha il potere di condizionare le scelte della sua classe dirigente, perché il nodo centrale questa volta è la criminalizzazione della solidarietà e questo messaggio va oltre la Sumud Flotilla, riguarda chiunque osi mettere in discussione la narrazione dominante.

Perché, così come non esistono atti apolitici nella nostra vita, allo stesso tempo non ci si può mai astenere veramente da una questione: fregarsene equivale ad accettare lo stato attuale delle cose, affinché continuino ad andare avanti allo stesso modo. Moravia e Dante si sbagliavano: non esistono indifferenti o ignavi, ma solo conformisti. E il conformismo, cioè l’accettazione del tacito ordine delle cose, è quanto di più vicino ci sia al fascismo, in quanto non mette in discussione l’ordine costituito, non lo critica, non lo controlla, ma gli delega le chiavi per l’agire politico, quindi in un certo senso lo sostiene implicitamente. In altre parole: se non esprimiamo le nostre opinioni, se non esercitiamo il diritto di dire “io non ci sto”, per convesso ammettiamo di essere complici di quanto accade a Gaza, in una parola: #genocidio. Ma non nel mio nome.

Giornalista regolarmente tesserato all'Albo dei Giornalisti di Puglia, Elenco Pubblicisti, tessera n. 183934. Pongo domande. No, non sono un filosofo (e nemmeno radical chic).