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Cultura

Alberto Manzi l’istruzione come strumento rivoluzionario

Alberto Manzi è stato un grande rivoluzionario.

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Credit foto https://www.centroalbertomanzi.it/lesperienza-in-sudamerica/

Di Fulvio Rapanà

“La educación representa la clave y la posibilidad de comprender y luego construir la propia idea del mundo y del futuro, Es porque es la herramienta más válida para combatir la pobreza, la marginación y la explotación” S. Allende

                                                                                                                                                                 “L’istruzione è un atto rivoluzionario e lo è tanto di più quanto la comunità  in cui si vive è quasi totalmente analfabeta“. E’ una frase pronunciata dal Maestro Alberto  Manzi in una delle ultime interviste rilasciate prima della morte. In questi giorni si ricordano i 100 anni della nascita di un vero innovatore che, nei  9 anni in cui la RAI mandò in onda la trasmissione “non è mai troppo tardi”, strappò all’analfabetismo milioni di italiani attuando quella visione politica e sociale che veniva da Gramsci  “la disciplina sostiene la  personalità (e ricorda le durezze della  sua vita infantile): per questo chiede che il sistema  di istruzione sia ampiamente diffuso nella popolazione, combinando aspetti di  coercizione e libertà per creare in tutti una base culturale più ampia possibile”.   E’ veramente commovente ed emozionante un breve video delle Teche Rai in cui si vede il Sig. Bracalone che per la prima volta scriveva il suo nome https://www.facebook.com/RaiTeche/videos/il-maestro-manzi/528199455853978/.       Di Manzi conosciamo poco se non come conduttore di quella famosa trasmissione  che utilizzando lo strumento televisivo anticipava di 50 anni le attuali metodologie di trasmissione e informazione del sapere. Ma Manzi era molto di più. Di famiglia antifascista rischiando la fucilazione non aderisce a Salò  rifugiandosi presso la sede romana dell’Ordine di Malta. Nel 1944, decide di arruolarsi volontario presso il Battaglione San Marco alleato all’VIII° Armata Inglese e partecipa a tutta la campagna fino a Bolzano terminata con il 25 aprile. L’esperienza della guerra   influirà in modo decisivo sulla scelta di dedicarsi all’educazione e all’istruzione in una Italia dove il 17% era praticamente analfabeta. Dal 1946 al 1947 Manzi insegna nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma dove condusse la prima esperienza come educatore. Manzi deve insegnare a circa 90 ragazzi fra i 9 e i 17 anni e da quell’esperienza trarrà per il suo primo libro  Grogh, storia di un castoro, premiato nel 1948 con il premio “Collodi” per le opere inedite, due anni dopo pubblicato dalla Bompiani e poi tradotto in 28 lingue; nel 1953 ne fu ricavata una riduzione radiofonica dalla Rai. Diceva orgogliosamente:“di tutti quei ragazzi, quando sono usciti dal carcere, solo 2 su 94, così mi fu detto, sono rientrati in prigione”. Contestualmente  riprende a studiare all’Università di Roma presso la Scuola sperimentale del Magistero  fino al 1953 quando abbandonerà lo studio  preferendo l’insegnamento nella scuola elementare “Il mio sogno da ragazzo era di fare il capitano di lungo corso, per cui ho studiato all’Istituto nautico, ma contemporaneamente studiavo all’Istituto magistrale […]. L’Istituto nautico lo frequentavo perché mi piaceva, […] ma pensando sempre di fare il maestro”.      Nel 1954 pubblica il romanzo per ragazzi  Orzowei Il figlio della Savana che riceverà premi e riconoscimenti in Italia e all’estero, verrà tradotto in 38 lingue e  la RAI ne ricaverà una serie televisiva in 12 puntate.  Nell’estate del 1955 Manzi, che è anche studioso naturalista con laurea in Biologia e specializzazione in Geografia, riceve dall’Università di Ginevra un incarico per ricerche scientifiche nella foresta amazzonica, “Vi andai […] per studiare un tipo di formiche, ma scoprii altre cose che per me valevano molto di più”.                                                                                                                                                                       Le sue esperienze sudamericane rivivono in tutta la loro drammatica realtà nei suoi scritti: La luna nelle baracche (1974), El loco (1979), E venne il sabato (2005), Gugù (2005).                                               Nel 1960  viene scelto e gli viene affidata la conduzione di Non è mai troppo tardi, trasmissione che condurrà  fino al 1968 considerato uno dei più importanti esperimenti di istruzione  degli adulti nel mondo, conosciuto e citato nella letteratura pedagogica internazionale, innovativo nell’impianto organizzativo, nello stile di conduzione e nel linguaggio didattico. L’Unesco lo considerò come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo e nel 1965 e gli diede un premio  al congresso internazionale degli organismi radio-televisivi che si tenne a Tokyo. L’esperienza sudamericana  si arricchì nel 1987,  Manzi fu chiamato dal Governo Argentino  a tenere un corso di formazione di 60 ore per i docenti universitari incaricati di elaborare il “Piano Nazionale di Alfabetizzazione che , grazie anche al maestro italiano, ricevette il riconoscimento dell’ONU e un premio internazionale per il migliore programma di alfabetizzazione adottato in tutto il Sud America:                                                                               “Non insegnavo a leggere e scrivere: invogliavo la gente a leggere e a scrivere”                                          

  Ma Manzi è stato molto di più che un insegnante ed educatore innovativo. Il vero Manzi  lo troviamo nell’intensa attività svolta in Sud America dove scoprì la dura vita dei nativos tenuti nell’ignoranza perché fossero più deboli e il loro lavoro meglio sfruttabile. Per oltre 30 anni Manzi si recò ripetutamente nella foresta amazzonica per insegnare a leggere e a scrivere agli indios; da solo, con studenti universitari e poi con l’appoggio di missionari Salesiani. Diede anche impulso a cooperative agricole, indirizzò i contadini verso piccole attività imprenditoriali,  accusato dalle autorità di essere un “guevarista” collegato ai ribelli, fu anche imprigionato e torturato; dichiarato “non gradito” fu espulso ma continuò ad andare, clandestinamente, fino al 1984. Ancora oggi, a cento anni dalla sua nascita, gli scritti di Alberto Manzi sono libri-denuncia in cui ricorrono tutte le tematiche e le principali specificità del mondo latinoamericano :lo sfruttamento delle materie prime, sistema repressivo, dominio delle multinazionali, arroganza del potere, liberazione dall’oppressione, condizione e impegno delle donne nella società, la disobbedienza e il desiderio di riscatto, dimensione religiosa, teologia della liberazione, alfabetizzazione educatrice, risveglio della coscienza, ruolo della chiesa, rispetto dei diritti dei popoli e così via. Il personaggio Pedro protagonista nel libro La luna nelle barracche  è un campesino,  portato a simbolo perché ha capito, per chi crede e vuole, che è possibile costruire una società diversa da quella tipica dei Paesi del Terzo Mondo. Pedro rappresenta  il coraggio della ribellione al potere, e proprio per questo  La Luna nelle baracche rappresenta un libro di denuncia contro l’inerzie verso l’oppressione  e di speranza per un futuro libero. Sempre schierato dalla parte degli ultimi, in una lettera del 9 gennaio 1985, ad un suo interlocutore Manzi risponde con chiarezza: “Se ho preso posizione…sì, innanzi tutto come uomo, che rispetta altri uomini, che li vuole rispettati e che fa quel che gli è possibile per dar loro una mano. Come scrittore, facendo conoscere alcuni aspetti del problema del sud America ma anche una parte significativa dell’Italia ”.   I contadini analfabeti del sud  e di molte province del nord Italia,  a cui insegnava a leggere e scrivere,  sono come i campesinos descritti da Manzi  vittime sottomesse dagli effetti dello sfruttamento latifondista in Italia e prima colonialista poi imperialista  nel sud del mondo a cui fino da allora e fino ad oggi  non era stata riconosciuta la piena  titolarità di diritti politici, economici, civili e sociali. Su questo concetto-chiave Manzi si sofferma più volte, focalizzando l’attenzione sull’atteggiamento delle popolazioni  non alfabetizzate  di tutto il mondo,  presente anche in occidente,  che può essere riassunto con l’espressione che usa nel libro  «yo atendo», con la quale lo scrittore indica proprio la subalternità di quegli uomini e donne alle molteplici espressioni del potere. Si tratta di un retaggio prima storico-colonialista poi  imperialista  che  il sociologo brasiliano Paulo Freire ha definito  “cultura del silenzio”: «la società cui è negata l’istruzione manca degli strumenti per dialogare e comunicare e che al posto dell’informazione  riceve dei comunicati, mescolanza di coercizione e elargizione <diremmo oggi controinformazione>,  diventando  necessariamente muta». Tutto inutile? grande lavoro e belle speranze perse nel nulla?. Non direi proprio i semi piantati da Manzi e da tanti uomini e donne laici e cattolici, rivoluzionari silenziosi che  dagli anni ’50 in poi hanno combattuto l’oppressione non con i fucili ma con l’istruzione, hanno messo  radici  permettendo a partire dagli anni ’60 e ’70 la creazione di gruppi dirigenti e leaders politici che hanno iniziato una strada di affrancamento di quei  popoli dalla schiavitù economica e politica in cui viveva: Allende e Lula,   Hugo Chavez, Manuel Lopez Obrador  e ora Claudia Sheinbaum in Messico,  Alberto Fernandez e Cristina Kirchner in Argentina, Louis Arce in Bolivia, Pedro Castillo in Perù, Gabriel Boric in Cile, Gustavo Pedro in Colombia,  Tabaré Vázquez e Mujica (presidente che abitava in campagna e andava al palazzo presidenziale, portandosi da mangiare,  con un Maggiolino vecchio di 30 anni)   in Uruguay, Evo  Morales  in Bolivia, Correa  in Ecuador,  Lugo  in Paraguay, Funes e Sanchez Cerén  in Salvador. Non sempre progetti ed esperienze politiche, economiche e sociali riuscite bene sopratutto a causa dell’impreparazione dei gruppi dirigenti e di una politica imperialista dell’occidente che di giorno piange per le ferite e le sofferenze che  ha procurato ….e di notte persiste a produrre politiche imperialiste e post colonialiste che continuano a contrastare una completa emancipazione di quei popoli.  In un incontro avuto negli anni  ’70  Pietro Ingrao mi disse “I rivoluzionari sono quelli che si contrappongono con le armi all’ oppressione i grandi rivoluzionari sono quelli che si oppongono con la penna “. Alberto Manzi è stato un grande rivoluzionario.

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