Cronaca
Gisella, Marisa e Cinzia: gli anni passano e la verità non arriva
Storie di persone senza volto. Di donne messe ai margini. Dimenticate negli archivi di polizia.
Come Gisella Petroni, Marisa Romano e Cinzia Travaglia.
Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Giovedì scorso il Presidente Mattarella ha, giustamente, sottolineato la mancanza di verità nella tragica vicenda della strage di Ustica. Davanti ad una simile tragedia, entrata nella Storia d’Italia, l’indignazione è naturale.
Esistono, però, tante “piccole” storie che attendono verità da decenni.
Storie di persone senza volto. Di donne messe ai margini. Dimenticate negli archivi di polizia.
Come Gisella Petroni, Marisa Romano e Cinzia Travaglia.
Gisella Petroni viene uccisa il 10 agosto 1974 nell’appartamento di via Fabroni 3 a Roma. Appartamento dove riceveva i suoi clienti. Gisella aveva una figlia di 20 anni.
Il suo corpo viene trovato completamente nudo. Disteso sul pavimento del bagno. Ferite alla testa. Coperta di cotone intorno al viso. Cranio sfondato. Vengono contante dieci ferite alla testa. Arma del delitto oggetto con superficie liscia e angoli molto taglienti. Compatibile con un posacenere o un ferro da stiro.
Viene colpita mentre si stava lavando. Tentativo di soffocamento. L’assassino porta via i soldi, i documenti della vittima, l’arma del delitto e le mutandine della vittima. Nella tarda notte Gisella Petroni attendeva un cliente. Forse l’assassino.
Le modalità dell’omicidio di Gisella Petroni hanno delle similitudini con alcuni omicidi commessi a Roma tra il 1982 e il 1986. Tipologia della vittima, colpo alla testa, il viso della vittima che viene coperto. L’assassino che prende un “ricordo”.
Intorno alla mezzanotte del 17 settembre 1974, in Piazza Irnerio 57, viene uccisa Marisa Romano. All’interno dell’appartamento, interno 3 scala B, dove riceveva i suoi clienti.
Il cadavere viene trovato all’ingresso dell’appartamento. Testa accanto al muro, gambe divaricate. Indossava maglietta gialla, gonna nera, scarpe con tacco alto. Presenza massiccia di sostanza ematica.
La vittima presenta la gola squarciata. Oltre trenta coltellate di cui 9 al torace, 4 al fegato e uno al cuore. Inferte con un serramanico con lama appuntita di circa dodici centimetri.
L’assassino colpisce la vittima appena entrano in casa. Marisa cerca di fuggire e riesce ad aprire la porta d’ingresso. L’assassino la prende per i capelli e la riporta nell’appartamento. Richiude la porta.
Il soggetto ignoto si ferisce durante la lotta. Poi fugge dalla terrazza dell’abitazione della vittima. Nel fuggire perde un pacchetto di sigarette “Kent” e lascia le proprie impronte digitali.
Viene visto da alcuni testimoni e viene ricavato un identikit: snello, piuttosto alto, capelli scuri tagliati corti. Indossava giacca celeste, pantaloni blu, camicia bianca.
L’assassino ha avvicinato Marisa nei pressi del Lungotevere Delle Armi.
Marisa Romano aveva diverse proprietà immobiliari ed era intenzionata a cambiare vita acquistando un negozio di parrucchiera a Napoli.
Il movente: rapina o atto di un maniaco? Il numero delle coltellate sembra indicare la seconda possibilità.
Cinzia Travaglia viene ritrovata cadavere il 28 giugno 1984. Nel suo appartamento di Via Opimiani 46 a Roma. Uccisa in maniera brutale. Massacrata di botte e finita con un colpo alla nuca inferto con un oggetto molto pesante portato via dall’assassino. Ha cercato di difendersi, aveva le dita maciullate. La morte è stata provocata dallo sfondamento della base cranica provocata da oggetto metallico a forma piatta.
Le cronache dell’epoca riferiscono l’uso di sostanze stupefacenti da parte di Cinzia.
Nel 1981 sua madre, Adelaide Farina, venne arrestata per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Associazione ramificata in tutta Italia.
Cinzia viene massacrata di botte. Forse cercavano qualcosa e volevano farla parlare. Cercavano il denaro legato all’organizzazione di cui faceva parte la madre? Comunque è difficile credere che i suoi vicini non abbiano sentito il macello.
Cinzia Travaglia muore sola ma non sola come un cane. In casa c’era il suo di cane. Che abbaia, che probabilmente ha cercato di difenderla. Unico barlume d’amore in una storia di bestiale violenza.
Gisella, Marisa e Cinzia non vivevano la vita che volevano ma una vita di pesante pregiudizio. Una vita che volevano cambiare. Una vita spezzata.
Storie dimenticate ma meritevoli di essere ricordate. Meritevoli di verità e rispetto.
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