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Attualità

Caso Scagni: quando lo Stato è Caino

L’intera vicenda Scagni narra una lunga, ininterrotta catena di colpevoli omissioni che fanno pensare ad uno Stato del terzo mondo, all’Argentina di Videla o alla Grecia dei “colonnelli” sebbene vi fosse in questi due ultimi casi una esplicita persecuzione politica nei confronti di fosse di volta in volta la vittima. Resta dunque da domandarsi se a fondamento delle tragedie che si consumano nel nostro paese non vi sia un matrice anch’essa in qualche modo politica.

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Credit foto fanpage.it

Di Rosamaria Fumarola

Sempre più l’Italia registra forti violazioni dei diritti umani, omissioni, mancati interventi a tutela dei cittadini ed è per questo ed è da molti anni condannata nelle sedi opportune senza che tuttavia questo produca un efficace cambio di rotta. I fatti che mi limiterò a riassumere sono solo alcuni tra più recenti che impongono una seria riflessione, poiché sono sintomatici di una gestione del potere dello Stato nei confronti dei cittadini che non può e non deve essere tollerata. Le forze dell’ordine amorevolmente tutelanti i deboli fanno purtroppo parte di un racconto da libro “Cuore” che non trova posto nell’esperienza quotidiana di tutti noi. Si fa presto infatti a dire “Chiama il 112!” “Esiste il 1522 per proteggere le donne !”  ed altri consigli non dissimili. Il cittadino si troverà il più delle volte da solo nella risoluzione di problemi complessi, senza che nella migliore delle ipotesi gli venga riconosciuta alcuna forma di tutela, quella appunto per la quale ha segnalato il proprio bisogno.

Capita così che un familiare con problematiche psichiatriche amplificate dell’abuso di sostanze stupefacenti, minacci di morte il resto dei componenti della famiglia brandendo coltelli ed altri oggetti atti ad offendere, che dia ad esempio fuoco alla porta di casa della propria nonna. Capita così che un padre ed una madre chiamino le forze dell’ordine col dolore di chi ama il proprio carnefice ma è consapevole di non avere strumenti per difendersi ed affrontare azioni violente. Lo fanno col garbo che fa parte della propria cultura ed educazione e che forse viene scambiato per fragilità dei segnali che annunciano la tragedia. Lo fanno in pochi giorni una, due, tre, quattro, cinque, sei volte ma nessuno prende sul serio quell’allarme e si fa carico di un intervento. Il giovane che minaccia ha tutto il tempo ed il modo di aggirarsi indisturbato per le strade della città, raggiungere casa della sorella e dopo averla attesa in strada di finirla a coltellate. È quanto accaduto a Genova alla famiglia Scagni il primo maggio del 2022. Vittima del fratello Alberto è la giovane  Alice, splendida madre di un bambino di appena un anno. Alberto non era nuovo a problematiche che da anni allarmavano la famiglia. Lo Stato negli organi competenti era stato coinvolto ed aveva valutato la situazione come degna di pesanti misure di contenzione del ragazzo, data la gravità, mai però poste in essere. Eppure in quel primo maggio del 2022 nessuno ha fatto nulla per impedire che la tragedia trovasse compimento e ci si chiede cosa avrebbe potuto fare di più la famiglia se non offrirsi per scelta ai fendenti di Alberto, immolandosi sull’ insensato altare della negligenza, della miopia, del pressapochismo e della malafede degli organi competenti coinvolti. Una madre perde sua figlia a causa di un atto insensato del proprio figlio. Un padre ha chiesto aiuto infinite volte e resta muto di fronte ad un dolore che non ha più confini. Una nonna si domanda cos’altro avrebbe potuto subire oltre le vessazioni quotidiane del nipote perdipiù  suo vicino di casa.

Alberto Scagni viene riconosciuto seminfermo di mente e condannato a ventiquattro anni e sei mesi di carcere, ma è qui che incomincia una nuova storia, se possibile peggiore della prima. Tradotto in carcere a Marassi, viene da subito fatto oggetto della violenza dei suoi compagni di cella. Buonsenso avrebbe voluto che una persona con le sue problematiche psichiatriche non avesse condiviso la cella con criminali comuni. Lo si trasferisce dunque nel carcere di Sanremo (sempre però tra delinquenti non affetti da fragilità come Scagni) nel quale, appena arrivato viene sequestrato per un numero di ore non precisato, forse quattro, colpito con ogni oggetto a disposizione e torturato fino a ridurlo in fin di vita. Le forze dell’ordine entreranno nella cella diventata mattatoio in tenuta anti sommossa ma troppo tardi. Alberto Scagni resterà in coma per venti giorni e subirà diversi interventi a causa delle fratture al volto e non solo. Ancora una volta gli organi preposti alla tutela dei cittadini risultano inadempienti. L’obiezione di quanti ritengono Scagni un lucido criminale che ha meritato il trattamento che i suoi due compagni di cella gli hanno riservato è insensata per almeno due ordini di ragioni: Scagni non può considerarsi sano di mente e dunque lucido nelle sue azioni. Lo testimoniano i certificati di chi lo ha visitato prima dell’omicidio della sorella in primo luogo ed una sentenza che lo definisce poi appunto seminfermo di mente. Scagni non avrebbe dovuto trovarsi in in compagnia di criminale comuni. Attualmente si trova da solo in una cella del carcere di Torino. 

L’intera vicenda narra una lunga, ininterrotta catena di colpevoli omissioni che fanno pensare ad uno Stato del terzo mondo, all’Argentina di Videla o alla Grecia dei “colonnelli” sebbene vi fosse in questi due ultimi casi una esplicita persecuzione politica nei confronti di fosse di volta in volta la vittima. Resta dunque da domandarsi se a fondamento delle tragedie che si consumano nel nostro paese non vi sia un matrice anch’essa in qualche modo politica. Le scelte che compiamo sono tutte politiche e se le facciamo in rappresentanza di un organo pubblico ne sono espressione implicita o esplicita. Se in così tante circostanze si verificano casi di abuso di potere, negligenza ed omissioni è evidente che oltre le scelte individuali esiste una linea quantomeno consuetudiaria a cui chi esprime il potere pubblico aderisce. Ne è prova la protezione che lo stato fa nove volte su dieci di chi in suo nome sbaglia e per quel poco che mi compete uno stato tanto garantista verso chi agisce in suo nome è con esso solidale e non può ricomprendersi nemmeno nelle sue più astratte intenzioni nell’alveo della legalità e della democrazia. Nella vicenda Scagni ed in molte, moltissime altre Caino è uno Stato, il nostro.

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano