Editoriale
“Nonostante il Pd”, il risultato di anni di conflitti interni
Il 24 ottobre uscirà edito da Piemme il nuovo libro di Vincenzo De Luca, da quasi un decennio Governatore della regione Campania. Il titolo è già tutto un programma dalle premesse decisamente tranquille: “Nonostante il Pd”, perché in politica bisogna sempre esprimere un certo estro “underground”. Ebbene, quanto inizialmente può sembrare un plagio a “Nonostante tutto” di Gemitaiz, pietra miliare del rap italiano, è invece il risultato di anni di conflitti interni mai risolti se non volutamente alimentati dagli stessi esponenti del Partito Democratico.
di Alessandro Andrea Argeri
Il 24 ottobre uscirà edito da Piemme il nuovo libro di Vincenzo De Luca, da quasi un decennio Governatore della regione Campania. Il titolo è già tutto un programma dalle premesse decisamente tranquille: “Nonostante il Pd”, perché in politica bisogna sempre esprimere un certo estro “underground”. Ebbene, quanto inizialmente può sembrare un plagio a “Nonostante tutto” di Gemitaiz, pietra miliare del rap italiano, è invece il risultato di anni di conflitti interni mai risolti se non volutamente alimentati dagli stessi esponenti del Partito Democratico. Non a caso l’anteprima recita: “Al Pd parlo con il linguaggio mio, non con le parole figlie del parassitismo, delle cooptazioni, e delle miserie personali, non essendo io debitore di nulla a nessuno; anzi, avendo fatto quello che ho fatto, non grazie al partito (quale che ne fosse il nome), ma nonostante il partito, da sempre”.
Ma c’è di più! Intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, da quest’anno sul NOVE, De Luca ha precisato: <<Il titolo è anche ironico ma pure una “gratitudine” ai tanti dirigenti del Pd che ho conosciuto in questi dieci anni, anime morte, distanti da me, avversari. Nel Pd ho sempre trovato gente che mi ha ostacolato. Più si avvicinano a me più mi fanno perdere voti. Ma non parlando dei dirigenti ci ricordiamo che questo partito ha una comunità importante che lotta sul proprio territorio spesso sola>>.
Ora, sarebbe facile ironizzare su quanto può sembrare un’altra delle tante uscite eccessive a cui De Luca ci ha abituato. Tuttavia, al di là delle solite bordate ai danni del Pd in piena campagna elettorale, perché un Governatore dovrebbe distaccarsi così radicalmente dalla direzione centrale del proprio partito? Indubbiamente De Luca è interessato a vedersi concedere un terzo mandato; per questo, secondo ogni ragionevole logica, dovrebbe impegnarsi in ogni modo per ingraziarsi lo schieramento da cui dovrebbe essere candidato, invece decide di attaccarne apertamente la classe dirigente. Forse proprio quest’ultima è il problema del Pd?
In Italia il mancato ricambio della classe politica non ha solo generato apatia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni, ma ha anche ridotto sensibilmente la credibilità di un partito rimasto al Governo così tanti anni da identificarsi con esso; inoltre numerosi suoi esponenti tuttora ricoprono stabilmente posizioni chiave dello Stato. Basta un esempio a spiegare il dilemma: il Pd continua a rinnegare la segreteria di Matteo Renzi, terminata nel 2017, tuttavia chi cinque anni fa sosteneva “il rottamatore” ora supporta Schlein, infatti i nomi sono pressappoco gli stessi. Soprattutto, ha ancora senso parlarne come se si cercasse di esorcizzare uno spirito maligno? Da qui arriviamo alla seconda domanda: perché il programma proposto dal Pd non è in linea con le problematiche del “Paese reale”?
In democrazia è tanto giusto quanto doveroso parlare di diritti, così come è importante tutelare le minoranze perché la maggioranza si difende da sola, almeno in teoria. Tuttavia, una volta arrivati alla conta del diretto consenso politico, i diritti civili, l’inclusività, le parità declinate in ogni loro variante, risultano essere temi minoritari su cui non ci si può focalizzare, perché i cittadini non pagano le bollette né con gli abbracci né con gli asterischi, tanto per tirare fuori un problema estremamente prioritario. Oltretutto sarebbe giusto lasciare evolvere da sé il progresso culturale, senza provare a forzarlo in modo troppo radicale come si è tentato negli ultimi anni, altrimenti il popolo inevitabilmente diventa conservatore, con buona pace dei progressisti, veri o presunti.
Torniamo dunque a De Luca: nel suo territorio sarà pure diventato un viceré pronto a tutto pur di ottenere il terzo mandato, forse persino a chiamare il telefono azzurro, a 74 anni, ma senz’altro gli va riconosciuto il coraggio di esporsi e per questo merita rispetto. Azzardo un paragone: prima di lui il coraggio di criticare la sinistra dall’interno ce l’ha avuto solo Berlinguer.
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