Cultura
“Antica Roma: Credenze Religiose” – prima parte
di MARIA PACE
Definire complessa la religiosità degli Antichi Romani è quasi un eufemismo: superstizione, incantesimi, spaventevoli rituali e pratiche magiche.
Tutto questo aveva lo scopo di dominare o propiziarsi le forze della natura: eclissi, inondazioni, terremoti…
Una religione basata più sulla paura che sulla pietà Rew ed He–kau erano chiamati, in Egitto, gli Incantesimi e le Formule Magiche. Indigitamenta, invece, era il nome con cui gli antichi romani indicavano l’insieme dei riti e delle formule magiche per invocare le Divinità. Unica, ma fondamentale differenza: mentre le prime, con il “tono giusto” della voce “costringevano” la Divinità ad intervenire, le seconde erano, invece, “invocazioni”, ma sempre con un tono particolare di voce. Ancor oggi troviamo traccia di questo rituale nella voce modulata del muezzin (durante le cinque preghiere della giornata) dall’alto dei minareti arabi. La troviamo anche nei Salmi ebraici recitati nelle funzioni sacre e nella Messa cantata dei cristiani.
Negli Indigitamenta, nome con cui si indicavano anche i libri dei Pontefici, erano contenuti i numina, cioè, nomi di Divinità e la loro funzione e potenza divina, non necessariamente personificata
Andiamo a conoscerne qualcuno: Varvactor, la cui funzione era quella di presiedere al dissodamento del terreno, Mesor alla mietitura, Radator all’aratura, ecc. Riguardo la persona umana, invece, troviamo Levana, che presiedeva al sollevamento del neonato da terra dopo il parto, Cunina alla sua protezione nella culla, ecc.
Questi, in epoca più arcaica, in seguito facciamo la conoscenza con Cerere che presiedeva alla crescita del grano, Vesta e la cura del fuoco, Bellona e il buon esito della guerra, ecc.. Divinità, che si distinguevano in Indigetes e Novensides, le prime erano divinità locali e le seconde, invece, divinità straniere accolte in epoche più recenti.
Gli Dei primitivi, tra la fine dell’età del bronzo e l’età del ferro, non avevano nulla in comune con l’Olimpo, ma molto, invece, con quella forma di superstizione che era stato il credo religioso primitivo del vicino popolo greco. Erano “spiriti” presenti nella Natura, misteriosi e ostili, che, con preghiere e sacrifici bisognava rendersi propizi ed è da questo che deriva il culto delle acque, dei boschi, dei fiumi , dei colli, ecc… e perfino degli animali selvatici.
Si trattava di una religione che poco aveva di mistico, ma tutto era dettato dalla paura e dalla necessità di agire e comportarsi secondo la volontà divina, per conoscere la quale, c’era la figura del vates, che ne interpretava la volontà attraverso il volo degli uccelli, lo stormire del vento tra le foglie, il disporsi delle nuvole, ecc… in modo che le persone, la famiglia, il raccolto, ne beneficiassero. Anche qui, diversi erano i numina: Fornax e il forno, Penates e la riserva di casa, Arculus era la madia, ecc… Ogni comunità, ed a volte perfino ogni famiglia, aveva i propri numina, come ad es. i Penati.
L’antica religione era, dunque, una religione di contadini e di famiglia, un credo legato alla terra e alle sue trasformazioni e strettamente connesso ai culti familiari: il magazzino di casa era tutelato dai Penati, i Lari proteggevano la casa e la famiglia, i Mani erano gli antenati, ed a questi si aggiungevano divinità del culto pubblico, come Vesta a protezione del focolare domestico o Giano a protezione delle porte… e il ministro del culto familiare era il Pater familias.
Una religione animistica, dunque, quella romana della fase più antica, (ma presente anche in età storica), espressa attraverso culti e pratiche magiche.
La magia era la capacità di dominare le forze della natura senza l’intermediazione di un Essere Supremo e per questo era fortemente osteggiata dai collegi sacerdotali. Ciò nonostante, le pratiche magico-religiose erano presenti in molte cerimonie ufficiali oltre che, naturalmente, nelle credenze popolari.
I principi fissi ed immutabili, che fin dalla fase più antica, regolarono i rapporti fra gli uomini e quelle forze animistiche, erano così radicati da lasciare una traccia profonda anche nel diritto. Propiziarsi il favore di quelle forze superiori attraverso l’azione dello indigitare, cioè attraverso un rituale magico-religioso fatto di gesti e formule, più che una tradizione, era una necessità ed è per questo che lo troviamo anche nel diritto primitivo romano: le Legis actiones, ossia i Procedimenti Giudiziari. Questi dovevano essere perfetti e precisi in ogni suo atto, così come lo dovevano essere i riti religiosi. Così come il pur minimo errore nel corso di una invocazione divina rendeva nullo il rituale sacro, anche durante un procedimento giudiziario, una parola o un gesto errato, potevano comportare la perdita della causa.
Nella fase più antica, dunque, la religione romana era costituita soprattutto da rituali magico-religiosi atti a propiziarsi le forze (anche sconosciute) della Natura, ovvero, la magia. (continua)