Sanità
L’utilizzo dei test sierologici nell’ emergenza Covid-19: comprendiamone il significato
di VINCENZA D’ONGHIA
Il tema di discussione che coinvolge nelle ultime settimane la comunità scientifica ed i decisori politici è quello dell’utilizzo dei test sierologici per identificare, attraverso la ricerca degli anticorpi nel siero, i soggetti, soprattutto asintomatici, che sono entrati in contatto con SARS-CoV-2. Questa tipologia di test, se da una parte lascia aperti una serie di interrogativi che avremo modo di discutere più avanti, d’altro canto si potrebbe rivelare molto utile dal punto di vista statistico ed epidemiologico per pianificare la tanto attesa “Fase 2” finalizzata ad un graduale ritorno alla normalità con la ripresa delle attività produttive e, seppur con le dovute precauzioni, con l’interruzione del lungo periodo di isolamento cui tutti siamo stati sottoposti. Tuttavia, prima di spostare l’attenzione sul significato della sierologia nella Covid-19, è opportuno fare una premessa sui principi immunologici su cui si basano questi test e sui meccanismi principali della risposta anticorpale.
Alla base delle risposte immunitarie acquisite specifiche c’è il riconoscimento dei patogeni e due sono le molecole preposte a tale funzione, i recettori per l’antigene delle cellule T e le immunoglobuline, delle glicoproteine che riconoscono l’antigene nel siero e nei liquidi biologici di tutti i mammiferi. Alcune immunoglobuline sono presenti sulla superficie dei linfociti B, dove si comportano come recettori per l’agente estraneo o antigene, mentre altre circolano libere come anticorpi circolanti nel sangue e nella linfa. Il contatto con l’antigene determina la differenziazione dei linfociti B in plasmacellule, ossia cellule in grado di secernere grandi quantità di anticorpi. Esistono cinque classi di immunoglobuline, IgM, IgG, IgE, IgD e IgA, le quali hanno una struttura molecolare comune formata da due catene pesanti, che differiscono nelle varie classi, e due catene leggere. Gli anticorpi sono bifunzionali, ossia, oltre al legame per l’antigene, presentano uno o più funzioni effettrici, attività biologiche come l’attivazione del complemento, in siti distanti da quello di legame. Le IgG sono le immunoglobuline più numerose e rappresentano il 70-75% di quelle totali. Sono inoltre la classe più importante nelle risposte immunitarie, l’unica con funzione di antitossina e le IgG materne proteggono passivamente il neonato nei primi mesi di vita, essendo l’unica classe che riesce a passare attraverso la barriera placentare. Le IgM rappresentano invece il 10% di tutte le immunoglobuline, hanno localizzazione prevalentemente intravascolare e sono la classe “precoce” nelle risposte immunitarie immediatamente successive al primo contatto con il “microrganismo-antigene”. Le IgA, che costituiscono il 15-20% delle immunoglobuline, sono la classe prevalente nelle secrezioni siero-mucose come saliva, colostro, latte, secrezioni intestinali, tracheobronchiali e genito-urinarie. Le immunoglobuline meno rappresentate, nell’ordine dell’1%, sono le IgD, presenti soprattutto sulla superficie dei linfociti B in quanto implicate nella differenziazione degli stessi dopo attivazione da parte dell’antigene. Bassa è anche la concentrazione sierica delle IgE, che si identificano sulla superficie dei mastociti tissutali e dei basofili circolanti e sensibilizzano le cellule presenti sulla mucosa congiuntivale, nasale e bronchiale. Queste immunoglobuline hanno un ruolo importante nelle risposte ai parassiti, in particolare gli elminti, e nelle malattie allergiche.
Sulla base delle attuali conoscenze in merito a SARS-CoV-2, le IgM iniziano ad essere individuate a partire dal 7imo giorno dopo l’infezione per scomparire intorno al 21esimo, mentre le IgG compaiono intorno al 14esimo giorno dall’infezione per permanere a lungo termine oltre il 28esimo. Ne consegue che i test sierologici dovrebbero essere eseguiti ad almeno 3 giorni dall’insorgenza dei sintomi e 7-10 giorni dall’infezione. Di conseguenza, eseguendo in parallelo la ricerca dell’RNA virale tramite RT-PCR (Real Time Polymerase Chain Reaction), una tecnica che amplifica il materiale genetico estratto dal campione biologico al fine di ricercarvi le porzioni conservate del codice genetico del virus, e l’individuazione degli anticorpi, possono presentarsi una serie di situazioni da interpretare in maniera differente. La positività della sola PCR potrebbe collocare il paziente nel cosiddetto “periodo finestra”, in cui gli anticorpi non sono ancora stati espressi ma l’infezione è già in atto, mentre la positività di PCR e IgM indica un’infezione allo stadio iniziale. La positività di PCR, IgG e IgM indica un’infezione in fase attiva mentre la sola negatività delle IgM con PCR e IgG positive orienta chiaramente verso una fase più tardiva dell’infezione. La sola positività delle IgM potrebbe indicare un’infezione in fase precoce ma la PCR negativa potrebbe essere un falso-negativo, mentre la sola positività delle IgG indica che il paziente potrebbe aver contratto l’infezione ed è guarito. Infine potrebbero essere rilevate IgG e IgM in un paziente con PCR negativa: potrebbe trattarsi di un paziente in fase di guarigione ma, anche in questo caso, la negatività della PCR deve essere valutata con attenzione perché può trattarsi di un falso-negativo. Nel complesso tutte queste situazioni ipotetiche ci orientano verso l’utilizzo della PCR per l’individuazione del SARS-CoV-2 durante la fase acuta e l’impiego dei test sierologici nel corso della fase cronica, e, dal momento che il momento esatto dell’infezione è sconosciuto, la combinazione di entrambi i test, può migliorare l’accuratezza nella diagnosi della COVID-19.
Prescindendo dalla discussione relativa all’individuazione del test e della metodica più attendibile per la rilevazione delle due classi di anticorpi che vengono espresse nel corso dell’infezione, i test sierologici, purtroppo, non danno una risposta a due interrogativi, fondamentali per pianificare un’uscita dall’isolamento e una ripresa delle attività produttive così duramente colpite dall’emergenza sanitaria: in primo luogo, il paziente è ancora contagioso e, quindi, “pericoloso” per la comunità? E inoltre, l’immunità a SARS-CoV-2 è permanente? Purtroppo, senza ulteriori studi che permettano di chiarire questi dubbi sul comportamento del virus, non sarà semplice stratificare il rischio e individuare i soggetti che possano riprendere la vita sociale con una certa sicurezza. Sicuramente i test sierologici possono fornirci delle preziose informazioni sulla risposta immunologica nel corso di questa infezione nuova e peculiare e possono fornire un quadro della diffusione nella popolazione individuando i soggetti in cui è decorsa in maniera asintomatica, ma sono comunque necessarie ulteriori conferme che ne attestino l’affidabilità e la validità.
Immagine I: Schema illustrativo dell’andamento dei biomarcatori nell’infezione da SARS-CoV-2: il blu è indicato l’RNA virale, in verde e in rosso sono indicate rispettivamente le IgM e le IgG. (Foto Diazyme)
Bibliografia
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