Agricoltura
Lavoro agricolo e Covid : produzioni a rischio
di NICO CATALANO
Garantire manodopera per le imprese, diritti e sicurezza per i lavoratori
Tra i tanti gravi problemi che in questi giorni tormentano il nostro Paese, vi è il rischio tangibile della probabile perdita di interi raccolti agricoli per la mancanza di manodopera. Una minaccia sempre più concreta che se si avverasse comporterebbe gravissime perdite economiche e seri risvolti sociali nell’intera nazione. Ammonta ad oltre un milione il numero degli operai agricoli che annualmente prestano lavoro nei campi da Nord a Sud della penisola, di questi circa quattrocentomila arrivano dall’estero, in maggioranza rumeni, ma anche tunisini, marocchini, indiani, sudanesi e senegalesi. La chiusura delle frontiere imposta dall’emergenza Coronavirus non solo ha ostacolato gli spostamenti delle merci ma anche bloccato la libera circolazione delle persone, impedendo così di arrivare in Italia alle tante lavoratrici e ai tanti lavoratori stranieri che ogni anno rispondono alla domanda di manodopera da parte del settore primario italiano. La mancanza di manodopera che manifesta il comparto agricolo italiano è un problema atavico, solo in parte dovuto all’attuale contingenza conseguente alle misure di distanziamento sociale varate dal governo. In realtà se l’Italia è certamente un Paese agricolo dal punto di vista economico per via dell’importanza che il settore primario ricopre nell’ambito del PIL nazionale, allo stesso tempo il nostro Paese non possiede più una cultura contadina, quella civiltà rurale sempre più cancellata da una forzata industrializzazione, dalla spinta scolarizzazione e da quella pressante urbanizzazione a cui è stata sottoposta la popolazione italiana negli ultimi decenni, politiche che di fatto hanno sempre più portato le giovani generazioni lontano dal lavoro dei campi. Risalgono agli anni sessanta e settanta le ultime campagne frutticole, orticole e viticole svolte senza l’ausilio del lavoro bracciantile immigrato in Italia. Un fenomeno quello dell’immigrazione affrontato sempre con leggerezza e infantile impulso ideologico dalla classe politica italiana, gran parte della quale ha utilizzato la figura dell’immigrato come il “capro espiatorio” di tutti i mali della società, fomentando tra i cittadini paura e rabbia al fine di raccogliere consensi elettorali. Atteggiamenti populisti e qualunquisti che di fatto hanno portato l’opinione pubblica a sottovalutare il valore apportato dalla manodopera straniera alla nostra economia in special modo a quella agricola, così come l’indispensabilità che riveste questa forza lavoro, in quanto nessun migrante “ruba posti di lavoro agli italiani” per via del fatto che i nostri connazionali da tempo rifuggono dalle mansioni agricole. Vita di campagna che rispetto ad altri settori, per le sue secolari caratteristiche peculiari risulta da sempre essere accompagnata da privazioni e sacrifici, particolarità settoriali a cui si sono aggiunti negli ultimi tempi fenomeni distorsivi e delinquenziali quali sotto remunerazione, sfruttamento, caporalato e una diffusa assenza di diritti, situazioni che hanno costretto qualche anno fa le istituzioni ad intervenire varando diversi strumenti legislativi per contrastare tali fenomeni criminali. La stagione primaverile, è arrivata in anticipo in molte zone del Paese a causa delle anomalie climatiche, con temperature record che hanno accompagnato tutto l’inverno, accelerando il tempo di maturazione di tante colture. Questa situazione impone agli operatori del settore di farsi trovare pronti per raccogliere le diverse produzioni di qualità come ciliegie e ortaggi, mietere il grano, preparare le viti per la vendemmia, trapiantare i pomodori. Nel contempo questa particolare condizione emergenziale non deve essere utilizzata da qualcuno per costringere lo Stato a fare passi indietro nel campo dei diritti e della sicurezza dei lavoratori, presupposto obbligatorio soprattutto in questo particolare periodo caratterizzato dalla presenza del Covid19. Quindi, sarebbe auspicabile da parte delle varie istituzioni il ricorso alle sezioni territoriali della Rete agricola del lavoro di qualità, istituto contemplato all’articolo 8 della legge 199/2016 sia per l’impiego dei lavoratori non comunitari che verrà regolato prossimamente da un nuovo decreto flussi al vaglio del governo, così come quello dei lavoratori italiani attualmente in cassa integrazione, disoccupati, studenti universitari o per i beneficiari della misura del reddito di cittadinanza, peraltro quasi tutte figure professionali che potrebbero già lavorare in agricoltura grazie ai contratti di prestazione occasionale, con alcune specifiche definite dalla circolare Inps n.103 del 2018. Le sezioni territoriali della Rete agricola del lavoro di qualità, previste per ogni provincia, hanno il compito di individuare procedure e strumenti per favorire trasporto, sicurezza e accoglienza ma prima di tutto rappresentano un metodo trasparente e legalmente tracciabile per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Non servono modifiche alle norme e neanche nuove Leggi, servirebbe solo applicare quelle già esistenti nell’interesse dei lavoratori agricoli ma anche delle stesse imprese. Basterebbe meno voglia di polemica e un maggiore senso di responsabilità da parte di tutte le parti in causa, le crisi rappresentano da sempre l’inizio di nuove opportunità, la politica faccia in modo che il nostro Paese esca da questa situazione come un Paese più coeso e civile.
Fonte della foto: @Ansa