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Kant vs Hegel: federalismo vs nazionalismo

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di SIMONE DEL ROSSO

Secondo Immanuel Kant, la meta e la misura del progresso dell’uomo consistono nella creazione di una società razionale conforme alla libertà, nella continua approssimazione della società esistente nell’esperienza alla comunità ideale. Una comunità che deve essere cosmopolitica, cioè capace di abbracciare tutti i popoli nelle loro relazioni reciproche.

Solo in questa prospettiva può essere sconfitta la guerra, eterna nemica del progresso, e può essere garantita la pace. Non ci deve essere nessuna guerra, né tra Te e Me nello stato di natura, né tra Noi, come Stati. La pace non è la conclusione provvisoria di un conflitto, ma un compito che la ragione assegna all’uomo. Ecco perché non ha senso chiedersi se una pace perpetua sia possibile: occorre invece agire come se essa fosse possibile, perché questo è nostro dovere.

Secondo Kant, il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi stati. I popoli potrebbero esser considerati come singoli individui che, vivendo nello stato di natura, si recano ingiustizia. La Ragione condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato senza una convenzione di popoli. Di qui la necessità di una lega di natura speciale, che Kant chiama lega della pace.

Il filosofo cerca un compromesso tra esigenze di potere di ogni singolo stato e la costituzione di un diritto internazionale. La pace non si costruisce attraverso provvisori trattati di non-belligeranza fra singoli stati ma immaginando un diritto cosmopolitico, cui tutti gli stati della terra possano progressivamente aderire, e un organismo che lo faccia rispettare.

Questi concetti verranno ripresi anche da Habermas nel Novecento e applicati alle dinamiche non solo giuridiche e sociali, ma anche economiche del nostro tempo. Secondo il filosofo, la globalizzazione contribuisce a ridurre la presa delle istituzioni democratiche statali sulla vita economica e sociale, che dipende in misura sempre maggiore dalle scelte di grandi soggetti economici privi di investitura democratica. In particolare, gli stati non sono in grado di controllare i movimenti dei capitali, che possono produrre effetti devastanti per l’economia dei diversi paesi, soprattutto per i livelli occupazionali e di reddito. Di qui l’esigenza di costruire istituzioni politiche sovranazionali, dotate di legittimazione democratica e di poteri democratici di controllo, più forti ed efficaci di quelli nazionali.

Mentre, Il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi del 1941 affermerà come solo una federazione di stati può mantenere la pace condivisa, con norme comuni che garantiscano un equilibrio concreto all’Europa.

In contrapposizione rispetto al pensiero kantiano, possiamo prendere in considerazione il pensiero di Hegel. Secondo il filosofo tedesco, nei rapporti tra gli stati vien meno la solidarietà etica che contrassegna al suo interno l’organismo politico e anche qui ritornano alcune caratteristiche della società civile: gli stati stabiliscono tra loro rapporti che possono ricordare quelli che intercorrono tra gli individui. A differenza degli individui, però, lo stato è autosufficiente e il rapporto tra stati ha come principio fondamentale la sovranità di ciascuno: essi stanno tra loro come gli uomini nello stato di natura (già nel Seicento Hobbes aveva affrontato questo concetto, negando ogni possibilità di regolamentazione giuridica dei rapporti internazionali). Dunque, per Hegel non vi è una volontà universale che istituisca il diritto internazionale. L’assenza di una volontà generale superiore alle volontà particolari dei singoli stati porta il filosofo a prendere le distanze dall’idea kantiana della pace perpetua garantita da un ordinamento cosmopolitico da tutti riconosciuto e in grado si risolvere le controversie e di evitare i conflitti. Questo ordinamento si reggerebbe sulla concordia tra gli stati, sul convergere precario di volontà particolari. Nel momento in cui l’equilibrio temporaneo e precario, poiché non custodito e protetto da una alleanza strutturata e consolidata, viene meno, è inevitabile il ricorso alla guerra per risolvere controversie tra stati. Inoltre, una federazione tra stati è impossibile poiché si creerebbe un ente sovrano che potrebbe disgregarsi in qualsiasi momento; infatti, se uno Stato decidesse democraticamente di ritirarsi, nessuno potrebbe impedirglielo, rompendo l’equilibrio. Potremmo dire che la Brexit altro non è stata se non la traduzione pratica di questo pensiero. Ecco perché il pensiero di Kant e di Hegel è ancora oggi più che mai attuale.

Infatti, un esempio di organismo sovranazionale odierno è l’Unione Europea. Il dibattito politico sul ruolo e sul futuro dell’UE di questi anni ha riportato alla luce l’arcana antitesi: l’UE è la tanto sperata lega della pace? O si tratta dell’ennesima convergenza precaria di volontà particolari, destinata a dissolversi?

L’UE nasce come un’associazione di stati liberi e indipendenti che tuttavia ha come obiettivo costituire una Repubblica federale simile agli USA.

Nello scritto Per la pace perpetua (1795), Kant ha anticipato tante idee che ora sono proprie dell’Unione. Il filosofo tedesco ritiene possibile costruire un ordinamento giuridico tale da abolire la guerra, come avviene all’interno degli stati federali. Nonostante siano passati più di duecento anni, le idee del filosofo illuminista superano quelle dell’odierna Europa.

Nel suo scritto, Kant ha messo nero su bianco un vero e proprio programma politico sovranazionale, proponendo l’eliminazione degli eserciti permanenti e l’eliminazione delle ingerenze di uno Stato nella politica interna di un altro Stato (pensate ai temi di attualità economica come l’austerity, lo spread, gli Stati che detengono il debito pubblico di altri Stati).

Una delle proposte politiche kantiane più interessanti è quella di affermare il diritto di visita, ovvero il diritto che sancisce la proprietà comune della superficie terrestre (una proposta politica che oggi sarebbe molto impopolare, in un tempo in cui la propaganda dell’odio e della paura ha distorto nell’immaginario collettivo il tema dell’immigrazione).

Ma se Kant spingeva verso una costituzione civile universale, Hegel, più cinico del collega, ha sviluppato un pensiero completamente diverso. Egli considera lo Stato come un ente atemporale in un eterno stato di natura, è come un individuo privo di leggi che interagisce con altri individui nella medesima condizione. In altre parole: homo homini lupus. Nietzsche dirà: volontà di potenza è volontà di potere, di dominio, di violenza sugli altri. Volontà che vuole sé stessa.

Quindi, le controversie internazionali sono regolate dalla guerra in quanto nessun trattato o ente superiore è in grado di farlo. La storia politica recente non è altro che la manifestazione dell’ennesimo conflitto dialettico tra queste due grandi visioni dell’uomo e della società. Oggi il concetto di guerra è cambiato. Pensiamo alle armi nucleari utilizzate dai Governi per incrementare il proprio potere contrattuale nelle trattative geopolitiche, la guerra dei dazi tra USA e Cina, le guerre in Oriente, le dinamiche economiche e finanziarie che si instaurano sui tavoli europei ed internazionali, le disuguaglianze e le “guerre tra poveri”, gli attacchi hacker intergovernativi, le strategie egemoniche ed imperialiste delle grandi potenze mondiali.

Potremmo dire che Kant oggi sarebbe uno dei più fervidi sostenitori degli Stati Uniti d’Europa, mentre Hegel uno dei più convinti nazionalisti.

La domanda centrale rimane la stessa: oggi è ancora impossibile l’elaborazione di un diritto cosmopolitico?

E ancora. I singoli sarebbero capaci di affrontare le grandi sfide del nostro tempo da soli? O forse sarebbe opportuno unire le forze per costruire una vera lega della cooperazione?

 

Informatico, sindacalista, appassionato di politica e sportivo