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L’ Urbe
di MARIA PACE
L’Urbe, la Caput mundi, custodisce e svela le sue radici nella pavimentazione di tre capanne scavate nella roccia dopo un lavoro di livellamento del suolo. Risalente alla fine dell’età del bronzo e all’inizio dell’età dell’oro, questo primo nucleo di capanne, dà inizio a quel processo di aggregazione di popoli diversi che ebbe luogo in quell’area del Lazio. Quei tre pavimenti sono le testimonianze più antiche dello sviluppo urbanistico di una città che più di ogni altra al mondo lascerà resti di una grandiosità unica: avanzi di piccoli e numerosi villaggi abbarbicati su colline o in prossimità di zone boscose e paludose.
Già alla vigilia della prima guerra punica, si calcola che all’interno delle mura della città, quella popolazione superasse le centomila unità e che all’esterno, il numero fosse almeno il doppio: una cifra davvero enorme per quei tempi.
Roma aveva conquistato già l’egemonia mediterranea, ma doveva difendersi dalle accuse dei Greci, i quali sostenevano la bassa condizione sociale della città e della sua popolazione, costituita, asserivano, solo da fuggiaschi e gente di poco valore.
Giudizio ingeneroso, in verità, suggerito più da risentimento per la perduta egemonia e la libertà, piuttosto che da obiettività. Pur non seguendo i canoni classici, cioè, quelle regole fisse, sempre seguite nella fondazione di una città, Roma, da lì a poco, diventerà l’Urbe, ossia la città per antonomasia
Roma nacque, dunque, dalla fusione di villaggi collinari sorti in prossimità di un guado del Tevere: una posizione non casuale ed assai vantaggiosa, per la vicinanza al mare e per la presenza di un fiume navigabile. Con ogni probabilità, il nucleo primitivo attorno a cui si strinsero poi tutti gli altri abitati, fino a trasformarsi in una città, era costituito proprio da quel primo agglomerato di capanne sul Palatino. Da quella posizione si poteva controllare il guado, ma anche l’antichissimo e florido mercato sorto alle pendici del Colle. Possiamo immaginare le numerose etnie che, laggiù, si davano appuntamento per discutere, fare affari, progettare guerre, ecc…
Certamente Roma si differenziava dalle città greche per urbanistica e dall’idea greca di cittadinanza e soprattutto, si differenziava dal concetto di autoctonia, cioè di appartenenza alla terra… al terra d’origine, per la precisione, che nei Greci era assai radicato. Perfino esagerato. Soprattutto ad Atene, dove era molto presente negli oratori i quali non tralasciavano occasione per ribadire la “diversità” o differenza degli Ateniesi da tutti “gli altri” e negli “altri” mettevano non solo i “barbari”, ma tutti gli “altri” Greci: un concetto secondo cui, chi arrivava in una città di autoctoni e vi si stabiliva, diventava cittadino dichiarato, ma non riconosciuto.
E Roma non era una città autoctona. Come anche molte altre città d’Italia, fu il risultato di un punto di incontro di diverse etnie, la fusione di gruppi etnici diversi fra loro, che formavano un nuovo concetto etnico. E questo, sia in età protostorica, che in età storica. Aggregazione e fusione di nuclei di varia provenienza, continuarono, però, in tutte le sue fasi storiche e crearono una nuova forma di organizzazione politica e sociale, un’organizzazione politica e sociale sicuramente assai complessa, ma che avrebbe fatto della città un centro internazionale e l’Urbe per eccellenza.
Ai tempi della repubblica, con il rafforzarsi dell’elemento latino e sabino e con la cacciata di quello etrusco, non si può dire che la città fosse progredita di molto, ma era in continua evoluzione. Già nel VI secolo si estendeva dal Palatino al Celio, dall’Esquilino al Quirinale e al Viminale, su una superficie di oltre 400 ettari, su cui si stendevano mercati e scali fluviali, edifici pubblici ed impianti idraulici ed in seguito, portici e basiliche, terme e templi: sul Campidoglione furono innalzati addirittura tre: a Giove, a Giunone ed a Minerva.
La popolazione era costituita in prevalenza da piccoli proprietari terrieri che vivevano di agricoltura e pastorizia. Le spedizioni militari, prima contro popolazioni limitrofi e poi sempre più distanti, alterarono alquanto questo stile di vita. Soprattutto in campagna. Al ritorno dalle guerre, il reduce trovava solo terre incolte e case diroccate e non aveva altra scelta che cercar fortuna in città.
Che cosa ne era dell’ ”agro pubblico”, lo sterminato territorio sottratto ai vinti? Lo si sarà fatto distribuire tra i reduci, è lecito pensare. E invece no! Lo Stato lo mise in vendita e ad acquistarlo furono i patrizi e tutti quelli che proprio con la guerra si erano arricchiti e che continuarono ad arricchirsi.
Nasceva il latifondismo, sostenuto dallo sfruttamento degli schiavi, portati dalle terre conquistate in stragrande numero. Per contro, in città aumentava la schiera dei nullatenenti, poiché il lavoro non c’era e non se ne creava. C’era, invece, un pullulare di piccole botteghe: barbieri, falegnami, vasai, calzolai e altri ancora, i quali operavano in feroce concorrenza tra loro, finendo, talvolta nelle mani degli strozzini che, nonostante divieti e restrizioni, facevano affari d’oro sulla miseria e le disgrazie.
La città, però, continuava a progredire attraverso un’azione sempre più accelerata dell’attività edilizia.
L’assetto della città cambiò volto: nuovi quartieri, nei due secoli prima di Cristo, portici, Basiliche Fori ed edifici sempre più grandi, determinarono il nuovo ordinamento della città. Nuovi edifici, grandiosi e funzionali sorsero accanto ad opere portuali, grandi magazzini, mercati, ponti e fabbriche, ma anche costruzioni prestigiose e rappresentanza: Portici. Terme , Templi… era nata l’Urbe, la Caput Mundi!