Mettiti in comunicazione con noi

30 Novembre 2025

Santino Tuzi: Il mistero dei “perché” e la dolorosa verità

Il suicidio del brigadiere Santino Tuzi nasconde verità scomode? Analisi dei dubbi, delle ritrattazioni e delle paure che legano la sua morte al caso Serena Mollicone.

Pubblicato

su

Credit foto https://www.ilsussidiario.net/news/delitto-serena-mollicone-figlia-del-brigadiere-tuzi-dicono-cose-brutte-ma-io/2248270/

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Avete presente quando dobbiamo togliere un cerotto incollato sui peli? Esistono due approcci: un colpo secco, che provoca un dolore intenso ma breve, oppure un metodo lento, che spesso finisce per prolungare la sofferenza.

Con la verità accade la stessa cosa. Possiamo accettarla subito, anche se dolorosa, oppure tentare di “addolcirla”, cercando una versione più sostenibile. Una versione che però, quando inevitabilmente crollerà, ci porterà ancora più dolore. È una dinamica che vediamo spesso nella cronaca nera, e il caso di Santino Tuzi ne è l’esempio più lampante.

La verità dolorosa, quella del “colpo secco”, è che il brigadiere Tuzi si è suicidato. Non si è trattato di un omicidio. A confermarlo sono due indagini della Procura di Cassino, supportate da scienza, logica e coscienza. La Procura di Cassino ha indagato con professionalità e coraggio.

Se vengono accettate e sostenute in aula le conclusioni della Procura sull’omicidio di Serena Mollicone vanno accettate, per coerenza, anche le conclusioni della Procura di Cassino sulla dinamica della morte di Santino Tuzi.

Il rispetto per il dolore dei familiari è sacro, ma la realtà dei fatti non può essere edulcorata. Le anomalie riscontrate sulla scena della morte del brigadiere sono già state affrontate e chiarite nel 2016, dopo la riapertura delle indagini; si trattava di dettagli riferiti alla fase successiva allo sparo, che non inficiano la dinamica del gesto volontario.

Per sostenere l’ipotesi dell’omicidio bisogna, con dati oggettivi, dimostrare come è stato possibile disarmare Tuzi, costringerlo a stare seduto in auto e sparargli un colpo al petto quasi a brucia pelo. Senza nessuna reazione da parte del brigadiere.

Inoltre abbiamo un fantomatico assassino che sarebbe riuscito a rendere inoffensivo Tuzi, a sparargli o a costringerlo a spararsi senza lasciare tracce, per poi, però, lasciare la pistola sul sedile in posizione “sospetta”. Bizzarro. Troppo.

Il suicidio, per molti omicidio, dell’ex colonnello del Sifar Renzo Rocca dimostra che la prima cosa che viene attenzionata è proprio la posizione della pistola.

Credit foto archivio storico “Corriere della Sera”
Credit foto archivio storico “Corriere della Sera”

Nella tragica morte di Santino Tuzi, dunque, il vero mistero non è il come. Sono i perché.

I 4 grandi interrogativi irrisolti

Se rimuoviamo l’ipotesi dell’omicidio, restano sul tavolo comportamenti e contraddizioni che delineano un quadro psicologico complesso e terrorizzato. Ecco i punti oscuri che meritano attenzione:

Il cambio di versione

Perché Santino Tuzi, ascoltato a Sommarie Informazioni (SIT), insiste per diverse ore nel dire di non aver visto Serena Mollicone, smentendo quanto precedentemente dichiarato, il 1° giugno, salvo poi cambiare nuovamente versione dopo un confronto con l’ex amante? Di questo confronto, per quanto ne sappiamo, non esiste alcuna registrazione. Cosa è scattato in quel momento? Cosa si sono detti?

Il repentino cambio d’umore

La mattina della sua morte, Santino era tranquillo. Sereno. Poi, dopo le ore 11:00, qualcosa cambia radicalmente. E’ sconvolto. Cosa è successo in quel lasso di tempo? Chi ha sentito e cosa ha pensato?

La paura del filo di ferro

In una conversazione registrata con il Maresciallo Vincenzo Quatrale, Tuzi afferma di non ricordare di aver partecipato agli accertamenti investigativi sul filo di ferro utilizzato per legare la povera Serena. Perché si concentra su un semplice atto investigativo? Cosa temeva Santino? È possibile che avesse paura che qualcuno potesse sostituire il reperto trovato a Fontecupa con quello toccato da lui durante le indagini, incastrandolo?

Il movente del suicidio

Perché uccidersi?

  • Non ha ucciso Serena: su questo non ci sono dubbi.
  • Non è stato spinto al suicidio né minacciato: Vincenzo Quatrale è stato assolto dall’accusa di istigazione e non sono mai emerse prove di minacce.
  • Non si uccide per questioni sentimentali. Restano, però, da verificare legami di natura non sentimentale con la sua ex amante. Erano “legati” da un segreto?

E allora, perché si uccide?

Tuzi ha dichiarato di aver visto Serena entrare in caserma. Successivamente, lui e Quatrale escono di pattuglia per rientrare alle 13:30 (fatto accertato da sentenza definitiva). Se Serena è entrata dai Mottola, se il ricordo di Tuzi è corretto, non avrebbe nulla da temere. Eppure, il brigadiere appare sempre più spaventato.

Il terrore di essere il capro espiatorio

L’ansia di Tuzi è palpabile. Arriva a chiedere al suo avvocato se può accompagnarlo durante le audizioni a SIT.

Temeva di essere “incastrato”? Temeva che, se fosse stato dimostrato che Serena non era entrata in caserma, la colpa sarebbe ricaduta su di lui?

Molti citano la presunta certezza di Tuzi nell’affermare l’ingresso di Serena in caserma quel 1° giugno 2001. Tuttavia, sebbene il verbale firmato mostri toni certi, le centinaia di pagine di trascrizione rivelano i suoi numerosi dubbi.

Si è discusso molto anche della frase pronunciata al telefono con la sua ex amante: “Mi mettono le manette”. In realtà, è un’espressione che Tuzi aveva già utilizzato nel giugno 2007 in una querela, indice di uno stato d’animo preesistente di timore per una accusa ingiusta.

Tuzi appare spinto dal sincero tentativo di ricordare cosa vide quella mattina. Non è coinvolto nell’omicidio, ma terrorizzato dall’idea di essere finito in un gioco più grande di lui. Di pagare da innocente.

Ad oggi si parla di Tuzi solo come testimone, ma nessuno ha ancora risposto alla domanda cruciale: perché un padre affezionato e un nonno felice sceglie di togliersi la vita? Non temeva l’accusa di complicità per aver taciuto (altrimenti sarebbe stato agitato anche prima delle 11 di quella mattina).

Continuare a cercare il come (l’omicidio mascherato) ci allontana dalla verità. Cercare il perché ci avvicina alla possibilità di dare giustizia a Serena e, finalmente, anche a Santino.

Quale strada scegliere è scritto nelle nostre coscienze.

RIPRODUZIONE RISERVATA ©