16 Giugno 2025
Italia al voto? Sempre meno cittadini si presentano: il grande gelo dell’astensionismo
L’astensionismo. Un fenomeno in crescita costante che da anni erode le fondamenta della partecipazione democratica in Italia

Di Pierdomenico Corte Ruggiero
Il mancato raggiungimento del quorum nei recenti referendum ha portato nuovamente alla ribalta il fenomeno dell’astensionismo. Che pochi partiti vogliono risolvere, preferiscono sfruttarlo.
L’astensionismo non è legato solo ai referendum.
Nel 2022, alle urne si è presentato poco più del 63% degli aventi diritto. Un record storico negativo che fotografa con nitidezza una crisi silenziosa, ma profonda: l’astensionismo. Un fenomeno in crescita costante che da anni erode le fondamenta della partecipazione democratica in Italia. Ma cosa si nasconde dietro la scelta di milioni di cittadini di non votare più?
Dalla Repubblica entusiasta al disimpegno diffuso.
Per comprendere la portata del problema, basta guardare ai numeri. Alle elezioni politiche del 1948 votò oltre il 92% degli italiani. Per decenni, la partecipazione restò sopra l’80%. Poi, la discesa: 75% nel 2013, 72,9% nel 2018 e infine il tracollo del 2022, con un’affluenza crollata al 63,9%. E il dato peggiora nelle elezioni locali, dove in molte città il 60% degli elettori resta a casa.
Un trend che non è frutto del caso, ma di cause stratificate. Tra queste, domina la disaffezione politica. I cittadini non si fidano più. La politica è vista come distante, autoreferenziale, inefficace.
I partiti non parlano più alla gente
La crisi dei partiti tradizionali. La fine delle grandi forze ideologiche e la nascita di movimenti fluidi e personalistici ha indebolito il legame tra elettori e rappresentanti. L’identificazione politica, un tempo forte, oggi si è rarefatta.
La stagione del voto legato ad identificazione ideologica è finita da molti decenni. A pagarne il prezzo sono soprattutto i giovani e le periferie sociali: tra i 18-35enni, l’astensione supera spesso il 50%. Al Sud, la situazione è ancor più critica.
A peggiorare le cose, un sistema elettorale che ha cambiato pelle più volte in trent’anni. Dalla proporzionale al maggioritario, e ritorno, tra leggi incerte e premi di maggioranza dubbi. Molti elettori non capiscono più come funziona il voto.
Anche i media non aiutano. I talk show si concentrano su scontri verbali, slogan e scandali, mentre i contenuti politici si fanno sempre più rarefatti. E sui social si rafforza un clima di disillusione e sfiducia, alimentato da fake news e polarizzazione estrema.
Le conseguenze sono gravi. Una partecipazione bassa rende meno legittime le istituzioni e altera l’equilibrio democratico. Vince chi mobilita di più, non chi convince la maggioranza. Il paradosso? Le minoranze più attive – spesso ideologiche o organizzate – finiscono per dominare lo scenario.
In Parlamento, così, siedono rappresentanti eletti da una fetta ridotta del corpo elettorale. Una dinamica che mina la rappresentatività e apre le porte a derive tecnocratiche o autoritarie.
Cosa si può fare?
Qualche soluzione esiste. Gli esperti suggeriscono di rilanciare l’educazione civica nelle scuole e promuovere il coinvolgimento giovanile. Si discute anche di voto elettronico o per corrispondenza, per abbattere ostacoli pratici.
Più controversa, ma discussa in alcuni ambienti accademici, l’introduzione del voto obbligatorio, già in vigore in Paesi come Belgio e Australia. Una provocazione? Forse. Ma intanto la democrazia italiana arranca.
Alla fine, l’astensionismo è solo il sintomo di una malattia più profonda: la perdita di fiducia. Senza fiducia nella politica, nessuna riforma elettorale potrà invertire la rotta. E senza partecipazione, la democrazia diventa un guscio vuoto. Resta da chiedersi: chi riuscirà a riaccendere la scintilla?
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