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Esteri

I palestinesi hanno una  leadership credibile per una trattativa seria con Israele?

Quello che è successo  il 7 di ottobre e nei mesi successivi fino ad oggi chiarisce che ora più che mai  i palestinesi hanno necessità di   un leader che abbia un largo consenso sia in Cisgiordania che a Gaza e che possa essere riconosciuto dalla comunità internazionale

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Credit foto https://www.amnesty.it/israele-deve-porre-fine-alloccupazione-della-palestina/

Di Fulvio Rapanà

Negli ultimi 20 anni di governo  Netanyahu, Israele e gli Usa si sono adagiate sull’evidenza che “è impossibile trattare con chi non ha un leader forte e credibile che firmi un trattato di pace e lo faccia rispettare  alle teste calde palestinesi!”. E’ in parte vero avendo  Israele assassinato, imprigionato o costretto a fuggire  quasi tutti i leaders, o possibili tali,  ad iniziare da Abu Jihad  ,  che invocò la prima Intifada, assassinato a Tunisi da un commando israeliano nel 1972.  Quello che è successo  il 7 di ottobre e nei mesi successivi fino ad oggi chiarisce che ora più che mai  i palestinesi hanno necessità di   un leader che abbia un largo consenso sia in Cisgiordania che a Gaza e che possa essere riconosciuto dalla comunità internazionale, Usa in primis, per trattare con Israele, che molto recalcitrante, potrebbe essere costretta,  dalla minaccia di sanzioni economiche, a mettersi seduta a trattare. Netanyahu proverà a rimandare la fine delle ostilità a Gaza il più a lungo possibile almeno fino alle elezioni americane e sperare che vinca Trump che tuttavia in questi giorni ha dichiarato “Israele deve chiudere velocemente la guerra che sta perdendo da un punto di vista reputazionale e mediatico”. Chiudere come? Trump è uno che fiuta l’aria, è molto italiano in questo, e ha capito che a parte i governi, che difendono Israele d’ufficio, le opinioni pubbliche dell’occidente, Usa compresa, sia di destra, per certi motivi, sia di sinistra, con motivazioni diverse,  identificando sempre più Israele come una democrazia di assassini, colonizzatori razzisti e xenofobi. Mai come in questo momento la storia della contesa fra Israele e i Palestinesi è meglio conosciuta attraverso internet che  ha fatto emergere lati oscuri e  terribili storie di sopraffazione e violenza  sulla  nascita e l’affermazione di Israele.

La comunità internazionale dice di essere a favore di una soluzione a due stati del conflitto tra israeliani e palestinesi come mai dai tempi di Clinton, ma per Washington questo implica “un’autorità palestinese rinnovata” . Ma nel campo palestinese esiste un leader  o una leadership che abbia un largo consenso e  rispetto del  popolo  e sia accettabile e riconosciuto  dalla comunità internazionale  a trattare con Isreale? Escludendo  quelli di Hamas, che però, come scrive un generale americano sul New York Times, “si sono guadagnati la leadership  sul campo, combattendo con coraggio e abilità, e che se ci fosse Dayan sarebbe stato l’interlocutore giusto”, i nomi che si fanno sono tre: l’attuale premier dell’Autorità  Palestinese Mohammad Mustafa, nominato da Abu Mazen certamente su indicazione  degli Usa;  il nome che circola   con più insistenza nell’area palestinese è quella di Marwan Barghouti, prigioniero politico, 5 ergastoli, e leader di lunga data di Fatah che, secondo il recente sondaggio del PCPSR, se le elezioni si tenessero oggi, sconfiggerebbe sia Abbas sia il leader di Hamas Ismail Haniyeh; terzo nome è quello di  Mohammed Dahlan 53 anni, ex capo della sicurezza di Gaza e protetto di Yasser Arafat, ma inviso a Abu Mazen che l’ha esiliato negli Emirati Arabi Uniti dal 2011.  

Mohammad Mustafa, 69 anni, ex consigliere economico di Abu Mazen, ha ricoperto per quindici anni posizioni di rilievo alla Banca Mondiale a Washington. La sua nomina costituisce “un tentativo di rafforzare le istituzioni palestinesi in un momento in cui Abu Mazen è sottoposto a forti pressioni da Washington”. Il 14 marzo la Casa Bianca ha accolto con favore la nomina di Mustafa: “Gli Stati Uniti si aspettano che la nuova amministrazione porti a termine ampie riforme”, ha affermato in un comunicato Adrienne Watson, portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Mustafa guiderà un governo tecnico, mentre Abbas resterà in carica come presidente e capo politico dell’Autorità Palestinese. Che dire, è l’uomo di Abu Mazen in  momento in cui questo e Fatah sono ai minimi della popolarità. In un recente sondaggio condotto in Cisgiordania e a Gaza dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR), il sostegno ad Hamas è salito al 44% tra i palestinesi in Cisgiordania, rispetto al 12% di settembre. Il sostegno ad Abbas, al suo partito Fatah e all’Autorità palestinese è diminuito invece in modo significativo: più del 90% chiede le dimissioni del presidente, mentre il sostegno allo scioglimento dell’Autorità palestinese – che tocca quasi il 60% in tutta la Cisgiordania e a Gaza – è il più alto mai registrato in un sondaggio del PCPSR. Non credo che possa essere la persona giusta.                                                                                                                                                              Per Ami Ayalon, ex capo del servizio di sicurezza interno Shin Bet, l’uomo più adatto sarebbe  Marwan Barghouti, ora 64enne. “Guardate i sondaggi palestinesi”, ha detto Ayalon “è l’unico leader che può portare i palestinesi a uno Stato accanto a Israele, prima di tutto perché crede nel concetto di due Stati, e poi perché ha conquistato la sua legittimità sedendo nelle nostre carceri”. Bargouti, ora ha 64 anni di cui 20 passati nelle carceri israeliane.   Leader della prima e della seconda intifada, o rivolta, palestinese, Barghouti è considerato un terrorista da Israele e il “Nelson Mandela palestinese” dai suoi sostenitori. Buoni contatti con politici  e membri del movimento per la pace israeliani, “gli accordi di Oslo rappresentano il più grande passo della nostra storia”. Parla ebraico e non ha mai negato il diritto del popolo ebraico a uno Stato ebraico. A differenza di Arafat e della sua corte, che avevano lavorato e combattuto dall’esilio, Barghouti è cresciuto in Cisgiordania o a Gaza e conosce bene non solo la vita sotto l’occupazione, ma anche le conquiste e la storia degli israeliani. Con il naufragare  degli accordi di Oslo,  Barghouti si trovò di nuovo sulle barricate, pronto a esortare i palestinesi a usare la forza contro Israele. Nel 2002 è stato arrestato e processato da un tribunale civile israeliano con l’accusa di omicidio e terrorismo. Nei mesi scorsi, la signora Barghouti avrebbe tenuto incontri con alti funzionari e diplomatici degli Stati Uniti, del mondo arabo e dei Paesi europei per fare pressioni sul rilascio del marito, in modo che potesse succedere ad Abbas come capo dell’Autorità Palestinese. È difficile immaginare il rilascio di Barghouti nella situazione attuale, in particolare con la presa del potere da parte dei falchi della destra che non vogliono sentir parlare di leaderchip palestinese se non da morti. Ma la diplomazia e la politica spesso hanno strade impreviste e imprevedibili.

Il terzo nome come possibile successore di Abbas è Mohammed Dahlan, 53 anni, ex capo della sicurezza a Gaza,  considerato uomo di fiducia da Arafat e acerrimo rivale di Abbas, è stato espulso dal partito politico Fatah nel 2011 e da allora vive negli Emirati Arabi . Dahlan ha buoni rapporti con persone che contano nel mondo arabo,  è uno stretto collaboratore del principe ereditario di Abu Dhabi, lo sceicco Mohamed bin Zayed al-Nahyan, e con Bin Salman principe ereditario saudita. Ha stretti contatti con il presidente egiziano Al-Sissi, entrambi  condividono una profonda avversione per Hamas e la sua organizzazione fondatrice, i Fratelli Musulmani. Hamas ha bollato Dahlan come una spia o una pedina israeliana per aveva preso parte ai passati negoziati di pace. In una recente intervista al Washington Post Dahlan vede il conflitto come uno scontro fra personalità sbagliate o deformate,  incolpa Abbas e Netanyahu, ma anche i presidenti Usa, ad incominciare da Obama  per la tragedia che si sta verificando. Afferma che “ Obama non ha fatto nessun vero sforzo per raggiungere la pace tra Israele e il popolo palestinese, sostenendo che gli Stati Uniti non vogliono spingere Israele a fare concessioni difficili, come fermare l’espansione degli insediamenti illegali ebraici in Cisgiordania e Gerusalemme est, terre che i palestinesi includono nel futuro stato”. Per Dahlan La leadership palestinese “ dovrebbe porre fine al falso gioco dei negoziati e sospendere il coordinamento della sicurezza con gli israeliani”. Gli uomini dell’intelligence israeliana che lo conoscono personalmente lo considerano affidabile, sempre Aylon:  “Dahlan ha carisma e si comporta come un leader , potrebbe realizzare molte cose in breve tempo. È uno dei leader di Fatah più giovani, rispetto ad altri”. Dahlan ha più volte affermato di essere contrario alla lotta armata contro Israele sostenendo una “resistenza con perdite minime”.

Allo stato attuale e’ una rassegna di nomi e di profili assolutamente teorica in quanto non si intravede la possibilità di una successione ad Abu Mazen che con la sua ragnatela di interessi e di collusioni detiene ben salda la presa sulla Cisgiordania. Sull’altra sponda la società israeliana oltre che la politica non vuole alcuna trattativa finalizzata alla nascita di una qualsiasi entità che possa far pensare ad uno stato palestinese. L’attuale società israeliana è oramai dominata culturalmente alla destra messianica, nazionalista, razzista e xenofoba che, come afferma chiaramente e pubblicamente, la terra la vuole tutta fino al Giordano e anche oltre includendo una porzione rilevante dell’attuale Regno di Giordania. Dopo Gaza l’occidente non farà nulla per risolvere la questione perché  i governi sono politicamente debolissimi ad incominciare dagli Usa e possono solo fornire armi, intelligence, informazioni ma che non possono o peggio non vogliono costringere Israele ad una trattativa né riescono a impedire che continui a perpetrare atti di terrorismo internazionale, per ultimo la distruzione  del consolato dell’Iran a Damasco, che rischiano veramente di far deflagrare una guerra su vasta scala. In questa situazione si inseriscono variabili diverse come quella posta del mio amico Leonardo Cohen che dice “odio l’attuale società israeliana e i suoi politici  che la stanno sempre più trasformando in una teocrazia o peggio in un regno con a capo un re,  ma l’alternativa con la creazione di uno stato palestinese e lo sgombero delle colonie significherebbe una guerra civile a cui il popolo ebraico non è ancora pronto”. 

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