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14 Luglio 2025

Contro-rivoluzione preventiva e repressione strisciante: il caso Potere al Popolo e l’inquietante strategia del governo Meloni

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Di Maddalena Celano

L’inchiesta di Fanpage.it, che ha svelato l’infiltrazione di un agente provocatore – tale Leonardo Cusmai – all’interno del partito Potere al Popolo, è un evento che merita ben più di un trafiletto o di un passaggio distratto nei talk show. Non si tratta di un episodio isolato, né di una banale manovra di “intelligence”. Si tratta piuttosto di un tassello preoccupante in una più ampia strategia di contro-rivoluzione preventiva, messa in atto da un governo che, pur formalmente legittimato dal voto, agisce nei fatti in senso autoritario, repressivo e reazionario.

Un’infiltrazione “preventiva” in un partito trasparente

Potere al Popolo non è un’organizzazione clandestina. Non organizza rivolte, non incita alla violenza, non pianifica insurrezioni. È un partito politico legale, pacifico, impegnato sul territorio in forme di mutualismo, partecipazione e rivendicazione sociale. Aderisce ai meccanismi – pur limitati e borghesi – della rappresentanza parlamentare e della competizione elettorale. Eppure, proprio questo movimento è stato infiltrato da un agente che si è finto attivista per un anno, registrando conversazioni, raccogliendo nomi e informazioni, cercando di inserirsi in ruoli di responsabilità.

Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo, ha definito l’accaduto una forma di spionaggio politico. E come dargli torto? Quando lo Stato manda un suo uomo sotto copertura non per contrastare la criminalità, ma per “osservare” le riunioni di un partito legalmente riconosciuto e pacifico, siamo di fronte a un chiaro abuso degli strumenti della sicurezza, piegati a una funzione di controllo ideologico.

Il “reato” di dissenso

Ciò che viene criminalizzato non è un’azione illegale, ma un’identità politica. L’“estrema sinistra”, oggi, diventa oggetto di sorveglianza non per ciò che fa, ma per ciò che rappresenta: un’alternativa, per quanto parziale e riformista, al modello neoliberale, autoritario e conservatore dominante.

Non si tratta qui solo di repressione. È prevenzione ideologica. Un partito che fa politica fuori dal perimetro stabilito dalle élite economiche e mediatiche, anche se in modo trasparente e pacifico, viene percepito come pericolo potenziale. E quindi va controllato, monitorato, neutralizzato.

È questo il significato profondo dell’infiltrazione: delegittimare a priori ogni voce critica, ogni spazio di dissenso, ogni tentativo – anche moderato – di costruire una soggettività politica alternativa.

Una strategia sistemica: la contro-rivoluzione preventiva

Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio. Dall’inasprimento del codice penale contro i movimenti ecologisti e i picchetti sindacali, al trattamento riservato agli studenti che protestano contro il genocidio in Palestina, fino al sistematico discredito dei movimenti femministi e transfemministi: tutto concorre a definire una precisa strategia politica, che potremmo chiamare contro-rivoluzione preventiva.

Il concetto – sviluppato da autori come Domenico Losurdo o, in altri contesti, da Michel Foucault – si riferisce a quella tendenza dei regimi liberali in crisi a reprimere in anticipo ogni potenziale mobilitazione, anche laddove non vi siano ancora pericoli concreti. Si punisce il possibile, si reprime il futuro. Si tratta di un vero e proprio “fascismo molecolare”, che si insinua nelle maglie della democrazia formale per svuotarla di senso.

E se succedesse a tutti?

Molti – anche nel campo della sinistra istituzionale – minimizzano. Qualcuno perfino ironizza. Ma occorre porsi una domanda: e se fosse successo al PD? E se un agente dei servizi si fosse infiltrato in una sede del Partito Democratico o di +Europa, per “monitorare” le attività di partito, registrare conversazioni e riferire nomi?

Ci sarebbe un putiferio. Le aperture dei telegiornali, le interrogazioni parlamentari, gli editoriali scandalizzati. Ma quando tocca alla sinistra “radicale”, l’indignazione sparisce. Perché in fondo, per il potere, questa sinistra non è “parte del gioco”. È tollerata, a patto che resti irrilevante. Se prova a crescere, a radicarsi, a parlare a milioni di poveri e precari, allora viene trattata come nemica.

Questo caso dimostra che viviamo in una democrazia a geometria variabile, dove i diritti politici sono garantiti solo a chi non li esercita fino in fondo. Quando una forza come Potere al Popolo si organizza, partecipa alle elezioni, costruisce spazi sociali, solidarietà, conflitto, mutualismo… allora le regole cambiano. Si attiva il sospetto, la sorveglianza, l’infiltrazione. In nome della “sicurezza”.

Ma sicurezza di chi? Dello Stato? O del capitalismo, che non tollera più nemmeno l’ipotesi di un’alternativa sociale?

La vicenda dell’agente Cusmai non è solo un caso di cronaca politica. È un campanello d’allarme. È la prova che il governo Meloni, mentre si presenta come garante dell’ordine, agisce nel solco delle peggiori tradizioni autoritarie. Si usa lo Stato per soffocare il dissenso, si infiltrano i movimenti che rispettano la legge, si colpisce chi lotta senza armi ma con idee.

Siamo ancora in tempo per reagire. Ma serve lucidità. Serve consapevolezza. E serve – più che mai – costruire un’opposizione politica e sociale all’altezza del compito storico che ci attende.