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14 Dicembre 2025

IL BAMBINO E IL BAULE: IL MISTERO DELL’ “OMICIDIO DEL CRUCIVERBA”

L'”omicidio del cruciverba” risolto dalla grafologia

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Credit foto gruppo FB Deutsche Volkspolizei

Di Pierdomenico Corte Ruggiero

Sono mesi che discutiamo del DNA di Sempio. Il DNA che doveva essere “l’arma vincente” per risolvere i casi di omicidio. In realtà non è così semplice e il Dna ha portato spesso più dubbi che soluzioni.

Perché, troppo spesso, è stato usato come “stampella” per indagini claudicanti. Abbiamo voluto fare “gli americani”: sono spuntati termini come profiling, in molti hanno voluto indossare la tuta bianca alla CSI. Dimenticando che il DNA è scienza che segue rigorosi protocolli sia nella repertazione che nell’analisi.

Dimenticando, soprattutto, l’antica tradizione italiana ed europea nelle scienze forensi. Medicina legale, dattiloscopia e grafologia per secoli hanno permesso di assicurare gli assassini alla giustizia. A supporto di indagini tradizionali fondate su analisi logica di fatti e persone. Abbiamo dimenticato Salvatore Ottolenghi, Giovanni Gasti, Girolamo Moretti.

Anche nel campo della tecnologia applicata alle scienze forensi, l’Italia ha lunga tradizione. Negli anni 80, ad esempio, l’anatomopatologo Vittorio Delfino Pesce utilizzava strumenti informatici per l’analisi tridimensionale da utilizzare nelle consulenze. Come nel caso di Palmina Martinelli.

In questa sede diamo spazio ad un caso risolto senza DNA. Risolto grazie ad una delle più antiche branche della criminalistica. La grafologia. Che negli ultimi mesi ha avuto un ruolo importante nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Raccontiamo ora l’omicidio del cruciverba.

Halle-Neustadt, inverno 1981. Una città di prefabbricati grigi, vento tagliente e un senso di normalità scandito dalle routine della Repubblica Democratica Tedesca. È qui, tra le torri anonime e i cortili di cemento, che una sera di metà gennaio scompare un bambino di sette anni. Il suo nome è Lars Bense, e da quel momento la sua storia diventerà uno dei casi più inquietanti — e politicamente sensibili — della cronaca criminale della Germania Est.

Lars esce di casa per un pomeriggio al cinema e semplicemente non torna più. La famiglia ne segnala la scomparsa alla Volkspolizei, ma nelle prime ore non accade nulla di diverso da altre sparizioni infantili: un allarme trattenuto, qualche volantino, interrogatori di vicini e compagni di scuola. Poi, il silenzio. E la paura che, giorno dopo giorno, comincia a sedimentarsi nel quartiere.

Due settimane più tardi il gelo dell’inverno si spezza in modo violento. Un ferroviere trova, vicino alla linea che collega Halle a Lipsia, un vecchio baule da viaggio. È stato gettato da un convoglio in corsa. Dalla valigia spunta una busta di plastica. Dentro, il corpo del bambino.

Ma non è solo la crudezza del ritrovamento a sconvolgere gli investigatori: il piccolo Lars è stato avvolto in pagine di giornale, fogli e inserti locali. E su quei fogli ci sono cruciverba compilati a mano. Tracce lasciate per caso? Una firma involontaria dell’assassino? O un messaggio?

Sono comunque pagine che parlano

Gli inquirenti della RDT, abituati a un sistema dove la polizia e la Stasi collaborano in modo penetrante e capillare, comprendono subito il potenziale di quei fogli. Sono oggetti quotidiani, diffusi ovunque. Ma il tratto di penna è unico: inclinazione, pressione, angolo delle lettere. Ogni cruciverba potrebbe essere una sorta di impronta digitale.

Parte così una delle più vaste operazioni di comparazione calligrafica mai realizzate in Europa. Gli agenti raccolgono compulsivamente quaderni, moduli, documenti amministrativi e qualsiasi supporto scritto a mano. Si arriva a una cifra imponente: 551.198 campioni grafici raccolti e analizzati. Un lavoro quasi industriale, svolto in stanze piene di fascicoli, con squadre di tecnici chini su lenti e fogli lucidi.

Consideriamo che nel caso di Yara Gambirasio e con tecniche moderne sono stati analizzati 25000 campioni di DNA. Per comprendere lo sforzo eccezionale, con i mezzi del 1981, di analizzare oltre 500000 campioni di grafia.

La RDT vuole una risposta. E la vuole in fretta.

Il lavoro è quasi ossessivo, ma alla fine la grafia individua una donna che porta ad un sospetto: Matthias S., fidanzato con la figlia della donna che aveva compilato i cruciverba, poco più che maggiorenne. Viene interrogato.

La confessione arriva dopo ore, forse giorni, e il racconto è un mosaico di fragilità psicologiche, violenze, impulsi. La ricostruzione parla di un abuso, di un’aggressione culminata in un colpo fatale, poi del tentativo di occultamento.

L’immagine che restituisce il fascicolo non è quella di un predatore seriale, ma di un ragazzo disturbato, fragile, impreparato a gestire i propri impulsi.

Nel 1982 il processo si chiude con una condanna esemplare: ergastolo. In un Paese dove la giustizia è anche strumento di ordine sociale, l’esito è rapido e definitivo.

Eppure la storia non finisce con la condanna. Dopo la riunificazione tedesca, nel 1992 il procedimento viene riesaminato. Matthias S. è considerato minorenne ai fini giuridici al momento del fatto: secondo il diritto della Germania Ovest, la pena non può essere l’ergastolo. Viene dunque rideterminata in una misura compatibile con la giustizia minorile: non più una vita in carcere, ma un periodo di detenzione e terapia in un istituto forense.

Matthias S. tornerà in libertà dopo anni di trattamento, vivendo sotto varie forme di supervisione fino alla morte, avvenuta nel 2013.

Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, l’“omicidio del cruciverba” rimane un caso simbolo. È la storia di un bambino, di una comunità ferita.

Il baule lanciato dal treno e le pagine di giornale conservano ancora un’aura sinistra. Ma soprattutto, quelle colonne di parole incrociate — date, città, definizioni — restano un monito: anche gli oggetti più innocenti possono diventare indizi fatali. Indizi che possono essere “letti” anche con tecniche “antiche” ma efficienti.

E la storia di Lars Bense continua a ricordare che nessuna società, per quanto organizzata e sorvegliata, è davvero al riparo dal buio che può annidarsi nelle sue crepe più profonde.

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