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11 Novembre 2024

Il pensiero senza responsabilità nell’era dei social

Si può fare cultura sui social?

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credit foto FTP SHOP

Di Rosamaria Fumarola

Si può fare cultura sui social? A giudicare dall’uso che anche gli intellettuali ne fanno parrebbe di sì, sebbene questo mezzo renda impossibile l’indipendenza di chi li usa.

L’intellettuale propone infatti una interpretazione autonoma, fedele solo a sé stessa e piaccia o meno è questa una prerogativa imprescindibile di chi fa cultura. Credere che un pensiero possa essere oggetto di analisi sui social non risponde al vero perché Instagram o facebook sono media ad una dimensione, che non fotografano la naturale complessità delle cose ma la appiattiscono in pochissime e semplificate forme di intervento e valutazione dall’esterno. 

In altre parole non si può confondere la platea social con quella ad esempio del pubblico di un teatro, sebbene tra le due oggi esistano forme di contaminazione. La presunta libertà regnante su Instagram o Facebook, per chi del pensiero fa il suo pane quotidiano è perfettamente inutile, perché non è libertà l’espressione di un pensiero che non si assume (né può assumersi) la responsabilità di sé stesso. Eppure i social fanno parte della nostra esistenza e la maggior parte di noi non sarebbe disposta a rinunciarvi, ma confondere uno scambio di opinioni su Facebook con quella che si può avere con un conoscente nel bar sotto casa non è la stessa cosa e questo perché quest’ ultima non è una comunicazione ad una dimensione, ma una normale interlocuzione che tiene conto degli innumerevoli piani su cui si sviluppano le relazioni sociali tra esseri umani. Lo scambio anche solo di un saluto de visu con un conoscente prevede infatti che avvenga in uno spazio di cui si sappia decodificare i segni in un dato momento, nonché la storia del rapporto che in quel tempo ed in quello spazio si sono sviluppati. Non esiste quella che veniva definita la piazza virtuale globale e questo perché abbiamo bisogno di un luogo concreto per sviluppare e scambiare le nostre opinioni e la complessità di ciò che pensiamo non riesce ad essere sintetizzata da un like. Anche sforzandosi di realizzare uno scambio onesto intellettualmente sui social, il rischio di essere male interpretati è la consuetudine imperante per tutti ma per chi fa cultura o informazione lo è senz’altro di più. 

I social possono dunque svolgere e svolgono una funzione differente da quella di veicolare pensieri complessi. Possono infatti dar conto di dati semplici di cui chi si occupa di cultura può avere bisogno: informazioni circa ora e luogo di un incontro, utili links che rimandano altrove il necessario approfondimento e poi soprattutto possono far da vetrina, da offerta o vendita di qualcosa e dunque possono essere di una certa utilità per la ricerca del consenso. Il numero delle carriere di scrittori o giornalisti che abbiano goduto di visibilità grazie ai social è alto ed è destinato a crescere. Confondere il linguaggio di cui un intellettuale si serve con quello a cui i social ci obbligano è però quantomeno da ingenui perché chi scrive sui social tiene conto della platea dei lettori ed inevitabilmente adatta o peggio cambia quanto intende esprimere in favore dell’ acquisizione del consenso presso una platea inevitabilmente eterogenea. Peraltro ciò che così è veicolato risulterà in violazione della sopracitata onestà intellettuale e della dialettica autentica e necessaria allo sviluppo del pensiero critico.

In conclusione mi corre l’obbligo di aggiungere che anche comunicazioni meno impegnative come un generico “Buongiornissimo!” sulla bacheca per salutare gli amici virtuali, risulta ai miei occhi completamente svuotato del suo senso e questo sebbene in pochi o molti con entusiasmo si affrettino a rispondere. Quel saluto sarà infatti una rete a cui chiunque potrà rispondere senza che ad esso venga attribuito da ciascuno lo stesso valore. 

Ad esempio viene da chiedersi che senso abbia un saluto rivolto a degli sconosciuti che della nostra storia vera non sappiano nulla, una storia che è l’unica cosa autenticamente nostra che ci rimane, ma che pare non interessare davvero a nessuno anche sui social.

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Giornalista pubblicista, scrittrice, critica jazz, autrice e conduttrice radiofonica, giurisprudente (pentita), appassionata di storia, filosofia, letteratura e sociologia, in attesa di terminare gli studi in archeologia scrivo per diverse testate, malcelando sempre uno smodato amore per tutti i linguaggi ed i segni dell'essere umano