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“I passi di Bianca”, impronte sul sentiero del Nunca Más
Intervista di MADDALENA CELANO
La narrativa quale strumento di ricostruzione della memoria
L’ultimo romanzo di Nicola Viceconti – I passi di Bianca (Emersioni, settembre 2019) – ci offre la possibilità di riflettere sulla valenza “civile” della memoria, come strumento in grado di andare oltre al “raccontare una storia” e di porsi rispetto ai fatti narrati, non solo come semplice rievocazione del passato, piuttosto come compenetrazione nella storia presente per proiettarsi verso il futuro. Un romanzo che, in linea con i precedenti, invita a riflettere su quello ci capita intorno. Di seguito uno stralcio dell’intervista.
Con questa tua ultima produzione letteraria affronti ancora una volta il dramma della dittatura argentina. Ci puoi raccontare da dove nasce tanto interesse sui desaparecidos e quale prospettiva hai adottato questa volta nel libro?
Nonostante avessi già scritto alcuni romanzi sul dramma dei desaparecidos argentini, ho voluto raccontare ne I passi di Bianca (idea che nasce da un soggetto cinematografico maturato insieme a Francesco Lopez e Walter Calamita) il legame che esisteva negli anni Settanta tra l’Italia e il paese sudamericano. Attraverso le vicissitudini di una trentenne italiana che scopre la propria identità, il romanzo cristallizza una serie di informazioni utili al lettore per riflettere su talune vicende che sono state ampiamente documentate e che appaiono indispensabili per interpretare correttamente le cause e il contesto nel quale si è sviluppata la dittatura. L’interesse per alcuni fatti della storia recente dell’Argentina è nato tanti anni fa a seguito di uno studio del fenomeno della desapariciòn forzata messa in atto dai regimi dittatoriali in tutto il Cono Sur, il contatto con alcuni esiliati in Italia, l’incontro con le madres e le abuelas de Plaza de Mayo e la visita in alcuni Centri clandestini di detenzione.
La prospettiva che ho scelto di adottare nel romanzo è quella del narratore in terza persona che mi ha permesso di seguire i personaggi del racconto come se li osservassi costantemente con una macchina da presa, lasciandoli liberi al contempo di agire, senza interferire nei loro movimenti.
Entrambe, nonna e nipote, hanno vissuto come matriosche, l’una dentro l’altra, protette in un guscio ma hanno conservato nel tempo il sapore genuino di un affetto incommensurabile. Tutte le madri e le nonne di Plaza de Mayo sono veri contenitori viventi di esperienze umane drammatiche, generate dalla furia cieca di un mostro tentacolare chiamato dittatura. Queste donne hanno saputo trasformare il dolore loro inferto in qualcosa di costruttivo, in azione e in istanza di giustizia, senza mai scivolare un solo istante nel comprensibile e naturale sentimento di vendetta (I Passi di Bianca, pag. 112)
Ci puoi dire qualcosa di più su Bianca?
Bianca Venturi è un’affasciante trentenne, figlia unica di una coppia benestante della provincia di Parma. Entrambi i genitori hanno riposto in lei e per il suo avvenire ambiziose aspettative. Ciò nonostante, la giovane donna coltiva fin da piccola una personale passione per l’architettura che riuscirà a concretizzare grazie all’incontro fortuito con Giulio, architetto bolognese di cui si innamora. A un certo punto Bianca, perennemente in conflitto con sua madre, viene a conoscenza di vicende che fanno sgretolare di colpo le false certezze del passato e le fanno scoprire di essere vittima di uno sciagurato inganno. Per fare luce sul suo passato è costretta a viaggiare in Argentina e immergersi negli anni oscuri della dittatura.
L’espressione Nunca Más (Mai più), che si riferisce al rapporto stilato nel 1984 dalla Commissione Nazionale sulla Scomparsa di persone in Argentina, è diventato oggi un simbolo in tutto il mondo. Cosa rappresenta per te?
Il Nunca más è un documento importante sotto diversi aspetti. Storicamente rappresenta senza dubbio il coraggio e lo sforzo di un paese nel voler portare alla luce gli orrendi crimini e i misfatti perpetrati in circa sette anni di dittatura. Giuridicamente, quelle migliaia testimonianze dettagliate su ciò che accadeva nei diversi centri clandestini di detenzione, ha rappresentato l’elemento probatorio per eccellenza nei processi che si sono svolti alla Junta militar. Ha fornito, altresì, una rappresentazione dei desaparecidos quali vittime innocenti del terrorismo di Stato. Negli anni è diventato un motto emblematico, un simbolo di speranza e di coraggio per urlare il rifiuto e la condanna a ogni violazione dei diritti umani. Affinché il Nunca Más sia rispettato e realizzato, ognuno di noi dovrebbe avere il coraggio di percorrere, a livello individuale e collettivo, un sentiero sicuramente tortuoso, pieno di ostacoli. Proprio come ha scelto di fare Bianca.