Società
Il tabù dell’educazione sessuale in Italia
La questione dell’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole, che a molti potrà sembrare non urgente e comunque molto meno di tante altre, ci parla di qualche cosa di importante, ci racconta una storia in cui il sesso è stato da sempre inteso come il terreno sul quale la politica e la religione hanno esercitato il proprio potere al fine di esercitarlo sugli uomini.
L’Italia è ancora uno dei pochi paesi facenti parte dell’Unione Europea, in cui l’educazione sessuale non sia oggetto di insegnamento nelle scuole. Nel 2011 Papa Benedetto XVI l’ha definita una minaccia alla libertà religiosa delle famiglie e benché l’attuale pontefice si sia mostrato favorevole invece al suo insegnamento, non mancano gruppi ultracattolici che vi si oppongono, anche questi difendendo il diritto delle famiglie a regolare la questione in un ambito esclusivamente privato, ritenendolo appunto materia privata.
Eppure, tutti gli stati nei quali l’insegnamento dell’educazione sessuale è stato introdotto dimostrano che si sia trattato di una scelta virtuosa, che ad esempio ha di molto ridotto il numero delle gravidanze indesiderate in età adolescenziale e delle infezioni sessualmente trasmesse.
La questione, che a molti potrà sembrare non urgente e comunque molto meno di tante altre, ci parla però di qualche cosa di importante, ci racconta una storia in cui il sesso è stato da sempre inteso come il terreno sul quale la politica e la religione hanno esercitato il proprio potere al fine di esercitarlo sugli uomini. Una delle decine di cartine di tornasole di tutto questo è ad esempio l’oppressione, la repressione e la persecuzione nei confronti dell’omosessualità, che non va considerata espressione di un “banale” accanimento nei confronti di una minoranza, benché lo sia anche stato, ma la precipua persecuzione verso una certa sessualità non canonica e verso dunque una modalità eversiva di comportarsi ed organizzare la propria vita. Non intendo tuttavia dilungarmi su argomenti e questioni ampiamente trattate da studiosi come Freud o Marcuse, le cui lezioni ritengo siano ancora oggi imprescindibili, benché fuori moda, per comprendere l’essere umano e che invito invece a rileggere perché sempre e più che mai attuali.
Se la storia non è altro che il lungo cammino che l’uomo ha percorso per il riconoscimento di diritti e libertà esiste, se parliamo di uomini, una libertà che non sia anche del corpo degli individui? E se ancora oggi esistono potenti gruppi religiosi che la osteggiano, siamo sicuri che la libertà sessuale rappresenti il male assoluto da combattere a tutti i costi e non una funzione, come tante altre che caratterizzano l’essere umano? Infine, è possibile auspicare una parità di genere che non passi anche per la libertà dei corpi, di quelli di tutti?
Quanto alla prima delle tre questioni sollevate, non può non sorgere in me una domanda ulteriore e cioè quanti di noi possono e non mi spingo nemmeno a chiedere vogliono, definirsi sessualmente liberi, sottolineando che libero non è per me un tombeur de femmes, che invece io vedo imprigionato nel più retrivo e conservatore cliché del Dongiovanni, per il quale il rapporto con una donna si riduce ad averla sedotta e dunque ridotta ad un numero, ad una tacca assieme alle altre? La mia impressione è che non siamo liberi né liberati e che manchi una cultura diffusa e condivisa della vita sessuale dell’uomo, non potendosi considerare tale la facile fruizione del porno in rete e questo per una ragione banalissima e cioè che, se è vero che sapere è potere, si è sempre fatto in modo da evitare l’accesso alla gestione autonoma del proprio corpo, limitandone appunto la conoscenza ma fissandone una dall’esterno, ortodossa, da imparare e seguire in maniera non dissimile da una preghiera da recitare in chiesa ad un cenno del sacerdote di turno. Per altro, la funzione sessuale appare in accordo col pensiero di grandi filosofi come Levinas, per il quale l’uomo esiste non in quanto individuo, ma in quanto relazione con l’altro e pertanto tutto ciò che è relazione dovrebbe ragionevolmente essere posto oggi al centro della nostra conoscenza ed attenzioni speculative e tutto questo al solo scopo di fare di noi degli essere umani più consapevoli e dunque più liberi.
Quanti inoltre si ostinano a non volere l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole lo fanno anche in nome di una presunta purezza ed innocenza dei bambini, negando veridicità e valore ad un numero infinito di studi che almeno a partire dalla fine del XIX secolo hanno dimostrato l’esistenza di una sessualità infantile, nonché esprimendo un giudizio di valore inaccettabile che nell’uomo contrappone la purezza a ciò che puro non è, l’innocenza a ciò che innocente non è, fissando ancora una volta in abstracto il concetto di colpa e legandolo al peccato dell’esperienza del piacere sessuale come illo tempore nella narrazione biblica di Adamo e Eva.
In tutto ciò non va disconosciuto il ruolo sociale della coercizione esercitata dal potere politico-religioso in materia sessuale, un ruolo che ha bisogno della monogamia come cellula prima della famiglia e della famiglia come molecola della società.
Mi sia permessa per concludere, un’ultima domanda, consapevole di poterla formulare solo perché non mi sento parte di una maggioranza, né ricopro cariche pubbliche: dobbiamo tollerare gli oscurantismi, l’intolleranza o, come invece ci ha indicato Karl Popper, l’apertura democratica deve fermarsi in presenza di tendenze distruttive che rischiano di annientare il difficile cammino verso la conoscenza e la libertà dell’Uomo?
Rosamaria Fumarola
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