Politica
Intolleranza al dissenso
Giuste le condanne della nostra politica al trattamento degli oppositori in Russia. Noi non siamo mica uno Stato in fase bolscevica! Noi difendiamo la libertà d’opinione, da noi gli artisti possono esprimere liberamente le proprie opinioni nella TV pubblica… Ah no.
di Alessandro Andrea Argeri
Sanremo si è concluso da una settimana, eppure le polemiche continuano ad animare il dibattito mediatico. Le dichiarazioni di Ghali e Dargen D’amico hanno aperto un caso in Rai, i cui dirigenti, al posto di interrogarsi su quanto il servizio pubblico riesca effettivamente ad assolvere il suo compito, pensa a come dissociarsi da un concetto condivisibile da tutti in Paese normale, quindi non l’Italia: “stop al genocidio”. Se gli artisti devono evitare di esprimere messaggi politici su un palco importante, dov’è allora il principio, alla base dell’etica della comunicazione, secondo cui chi ha un grande potere mediatico dovrebbe utilizzare la visibilità di cui gode per diffondere un messaggio a fin di bene?
Gli artisti più importanti, nonché coraggiosi, hanno sempre affrontato temi pesanti quando ne hanno sentita la necessità, anche in forme più forti di quelle sentite a Sanremo, talvolta con conseguenze altrettanto difficili da fronteggiare. Smiths Morrisey subì la perquisizione della propria abitazione dopo l’uscita del brano Margaret on the Guillotine del 1988, in cui la decapitazione di Margaret Thatcher sembrava evocata come un meraviglioso sogno da realizzare. Eminem è stato addirittura indagato dai servizi segreti americani per un gioco di parole, contenuto nel brano We as Americans, in cui alludeva alla morte di George W. Bush; l’anno dopo lo stesso rapper tornò ad attaccare il presidente americano in Mosh. In Italia, Fabri Fibra in Controcultura attaccava più volte il berlusconismo, addirittura con chiari riferimenti nel videoclip di Vip in Trip, dove alla fine la denuncia la prese da Laurea Chiatti per una strofa sessista.
Ora la nostra classe dirigente attacca Ghali e Dargen D’amico, ma all’alba dell’invasione Ucraina io ricordo i Maneskin elogiati in tutto il nostro bel mondo libero per aver gridato “fuck Putin” sul palco del Circo Massimo a Roma (occasione da cui nacque su questo giornale una saga satirica che alcuni ancora ricordano, con mio grande piacere, qui il link). Allora come funziona? Qualcuno qui potrebbe malignare, pensare come la libertà d’espressione si possa applicare solo contro i nemici del governo di turno. A quel punto potrebbe addirittura domandarsi quali qualità ci differenzino nel concreto da un regime totalitario, per poi avere persino difficoltà a trovarle.
Forse a non essere tollerato non è tanto il dissenso in ogni sua forma, bensì il timore di pestare i piedi a qualcuno di potente, motivo per cui si tende a intervenire con la censura preventiva. Perché il male più grande di un Paese come l’Italia, in cui i cittadini protestano solo se in accordo con i carabinieri, è proprio il servilismo, cioè la volontà di trovare un padrone da servire nella speranza di riceverne i benefici. Come mai non siamo più capaci di sfornare artisti socialmente attivi come De André, Rino Gaetano, Guccini, De Gregori o Vecchioni? Fino a ieri credevo fosse solo a causa di un generale impoverimento culturale determinato dalla paura di sperimentare forme nuove nell’arte. Tuttavia c’è anche un’altra ragione: gli artisti intraprendenti, quelli radicati nel mondo reale, oggi sono meno tollerati di quanto non lo fossero già, non sia mai ci costringano a riflettere.
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