Esteri
Cronaca e analisi delle proteste in Francia
La fine della social-democrazia: questa è la percezione che si ha in Francia della legge sulla riforma delle pensioni che, all’orecchio straniero, suona un po’ strana.
Di Benedetta Piola Caselli
« Questa notte ho fatto un incubo » dice una giovane professionista sulla soglia della quarantina « passavo la vita a raccogliere cani abbandonati per Parigi ». Quando faccio notare che non mi sembra un incubo, lei mi risponde un po’ offesa : « certo che è un incubo! Non avevo più lavoro, e vagavo in una città abbandonata a salvare altre anime altrettanto abbandonate. Ancora non si vede, ma è la fine dell’ assetto economico cosi come l’abbiamo costruito dal dopoguerra ».
C’è chi va ancora più lontano e grida alla fine della social-democrazia: questa è la percezione che si ha in Francia della legge sulla riforma delle pensioni che, all’orecchio straniero, suona un po’ strana.
In fin dei conti, si potrebbe pensare, si tratta di aumentare l’età pensionabile da 62 anni a 64, dunque di due, l’età contributiva di uno solo; invece questo atto sembra infrangere simbolicamente un tabù, un’idea condivisa di società che viene attaccata al suo cuore.
« Quello che cambia, che comincia a cambiare » mi dicono i manifestanti « è l’idea che il lavoro serva per far vivere l’uomo, ma non il contrario: l’uomo non vive per il lavoro » e questo è il punto ideologico che spinge alla mobilitazione intergenerazionale su un tema che, a ben vedere, più generazionale non si può.
Una mobilizzazione partecipatissima, combattuta, che rende ancora più eclatante il contrasto con il silenzio rispetto alla guerra: quando oppongo che il pericolo, ben maggiore, ben più radicale, viene dalle scelte di politica estera, non trovo ascolto.
C’è un’altra cosa che tocca i francesi nel vivo e che ripetono continuamente con una perizia giuridica inattesa, cioè la forzatura delle regole procedurali. Il dibattito sulla riforma è stato portato in discussione con la procedura abbreviata prevista dall’art. 47.1 Costituzione; il testo è stato poi approvato senza votazione parlamentare ex art. 49.3 Costituzione.
Cosa vuol dire?
Più o meno l’opposto della questione di fiducia in Italia.
Mentre da noi i regolamenti delle Camere prevedono che il Governo possa portare l’attenzione del Parlamento su un disegno di legge particolarmente importante, minacciando di dimettersi se non verrà approvato, in Francia la stessa Costituzione prevede il meccanismo inverso: il disegno di legge passa senza votazione ma, se nelle 24 ore successive viene chiesta una mozione di censura, e questa viene approvata, il Primo Ministro rimette nelle mani del Presidente della Repubblica il mandato, e questo deciderà se procedere ad un rimpasto o a nuove elezioni.
Tecnicamente l’articolo 49.3 Cost. può essere applicato senza limiti per le leggi finanziarie o di copertura finanziaria della politica sociale ma, dopo la riforma costituzionale del 2008, una sola volta a legislatura per tutto quello che riguarda le altre materie: si tratta infatti di una procedura che dovrebbe essere considerata eccezionale, perché esautora il Parlamento, ed è questo che oggi si rimprovera al Primo Ministro Elisabeth Borne, che l’ha usata ben 11 volte in due anni.
Non c’è dubbio quindi che il governo in carica abbia abusato del mezzo, secondo solo a quello di Michel Rocard dove fu utilizzata 28 volte; per di più, il caso vuole che, proprio con la riforma delle pensioni, si raggiunga il traguardo simbolico dei cento utilizzi dall’inizio della V Repubblica.
Lunedì perciò la Francia sarà ancora in fiamme per la discussione delle due mozioni di censura proposte, e gli scioperi, i blocchi alle forniture di combustibile e le proteste, culmineranno nello sciopero generale di giovedì. La serietà degli scontri e delle minacce hanno spinto il Presidente Macron a prospettare l’uso della precettazione per i lavoratori del settore pubblico e dell’energia, utilizzando un provvedimento da stato di emergenza.
Il braccio di ferro sulle pensioni sembra però destinato a non ottenere nessun risultato concreto oltre allo sfogo della rabbia popolare: in Parlamento i numeri non ci sono; inoltre, tutti sono coscienti che la riforma è imposta dal PNRR, e si inserisce in un quadro di revisione dello stato sociale concordato a livello internazionale.
Niente di nuovo sotto il sole per noi italiani dunque ma, a mal comune, non esiste nessun mezzo gaudio.
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