Esteri
Umanità natalizia
di LAVINIA ORLANDO
Come accade da qualche anno a questa parte, chiunque intenda respirare della sana umanità trova quasi ed esclusivamente nell’attuale Pontefice Francesco quel po’ di refrigerio che si rende davvero necessario alla luce dell’asfissiante propaganda internazionale che fa dello straniero il primo colpevole per i guai autoctoni.
Senza nulla togliere alle tante esperienze locali, fulgidi esempi di resistenza a km zero e di grande impatto soprattutto per le piccole comunità, le parole del Papa, meglio ancora se pronunciate in consessi ufficiali ed in occasioni di particolare rilievo, risuonano con una forza tale da riuscire a smuovere le coscienze o, se non altro, ad aprire un dibattito che vada al di là delle solite lamentele foraggiate da una politica incapace di intavolare ragionamenti più profondi ed attenti.
Ecco come, grazie al Pontefice, la tradizionale benedizione Urbi et Orbi del 25 dicembre diventa un’occasione ghiotta per riportare al centro dell’attenzione le migrazioni sotto un profilo differente rispetto a quanto tradizionalmente posto in luce, quello delle cause, del tutto ignorate dagli elettori vittime della propaganda e totalmente omesse dalla politica che dalla presenza migrante ha tratto notevoli vantaggi in termini elettorali.
Dopo un accurato appello rivolto “agli schiavi di ogni tempo, anche di oggi, ad uscire dalle loro prigioni”, il Papa ha ripercorso i più importanti conflitti civili – come quelli in Siria e Yemen – ed economici – con riferimento alle varie crisi sudamericane – generanti quella “povertà che offende la dignità della persona” e che è tra le principali cause degli spostamenti di donne, uomini e bambini. La disamina è poi giunta ai “popoli dell’Africa”, laddove “perdurano situazioni sociali e politiche che spesso costringono le persone ad emigrare privandole di una casa e di una famiglia”: dal “Congo, martoriato da persistenti conflitti” alla “violenza delle calamità naturali e delle emergenze sanitarie”, da chi continua ad essere “perseguitato a causa della fede religiosa a chi cade vittima di attacchi da parte di gruppi estremisti”, si tratta di “tutti coloro che, a causa di queste ed altre ingiustizie, devono emigrare nella speranza di una vita sicura”. Tale stato dei fatti viene definito dal Pontefice come un’”ingiustizia che obbliga i migranti ad attraversare deserti e mari, trasformati in cimiteri, che li costringe a subire abusi indicibili, schiavitù di ogni tipo e torture in campi di detenzione disumani, che li respinge da luoghi dove potrebbero avere la speranza di una vita degna e fa loro trovare muri di indifferenza e cuori spesso induriti ed egoisti”.
Si tratta di frasi che pesano come macigni, perché, oltre a rivolgersi ai fedeli, vanno intese come un vero e proprio monito nei confronti di chi ci governa e che, pur avendo tutti gli strumenti sufficienti per poter incidere in concreto, continua a non assumere alcun impegno che vada in un senso differente rispetto alle tradizionali sortite che non sviluppano altro che rigurgiti razzisti.
Paura nei confronti del diverso e timore di perdere rendite di posizione permangono. Ed è proprio questa la circostanza più assurda, almeno stando agli ultimi dati pubblicati dal Ministero dell’Interno – Cruscotto statistico giornaliero ed UNHCR.
Nel 2017, i migranti giunti in Italia ammontavano a 118.914, per scendere ai 23.210 del 2018 ed agli ancora meno 11.439 del 2019. Diminuiscono anche i minori non accompagnati, circa il numero di rimpatri, si viaggia più o meno sulla stessa cifra dello scorso anno (7000), mentre aumentano nettamente i ricollocamenti in Europa, proprio a partire dal secondo esecutivo Conte. Calano, infine, almeno in termini assoluti, le vittime e gli scomparsi nel mar Mediterraneo rispetto allo scorso anno, ma la percentuale di morti e scomparsi aumenta drasticamente se si considera il numero di sbarchi (dal 2,5% del 2016 si sale al ben 8,65% del 2019).
Alla luce delle cifre elencate, è difficile comprendere le ragioni per cui ci sia ancora chi continui a trattare delle migrazioni in termini catastrofici per i Paesi che accolgono e dei migranti come di un’invasione nefasta e traumatica – ammesso e non concesso che tali ragioni ci fossero anche in passato, quando il numero di arrivi era di gran lunga maggiore.
Ed è proprio per questo che le parole – monito di Papa Francesco assumono un rilievo fondamentale: mantenere desta l’attenzione sulla problematica reale, separando nettamente la propaganda dalla realtà dei fatti, ed aiutando il mondo intero a comprendere che la scelta di abbandonare la propria terra ed i propri affetti, rischiando la vita tra deserto, mare e prigioni (altresì definiti centri di accoglienza) libiche, ha cause precise che, prima o poi, qualcuno dovrà prendere in carico.