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ciclismo

La strage dei ciclisti è un problema culturale

Ore dopo la tragica scomparsa di Davide Rebellin, travolto da un camion, è stato investito anche Manuel Lorenzo Ntube, calciatore 16enne delle giovanili del Padova, questa volta da un suv.

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DI FABRIZIO RESTA

Credit foto: profilo Facebook

Settimana buia per il ciclismo che cela le molte lacrime. Come per Rebellin, anche Ntube, è stato lasciato li per terra, esamine. Anche in questo caso chi l’ha investito non si è fermato a prestare soccorso. Insieme a loro tanti altri: Jean Pierre Monserè, campione del mondo, travolto da un auto prima di una gara, Thomas Casarotto, per essersi scontrato contro un auto, trovatasi chissà come, nel percorso del giro del Friuli, Antoine Demoitiè, per uno scontro con una moto e Romain Guyot, investito da un camion, Michele Scarponi, investito da un furgone e l’ultimo, prima dei due in parola, Luca Merangoni, investito da un tram. Per fortuna alcuni sono sopravvissuti: parliamo di Marc Wiggins, Marco Pantani (investito ben tre volte), Samuele Manfredi, una ex promessa, da 4 anni su una sedia a rotelle per l’impatto con un’auto; Letizia Paternoster, trascinata per 15 metri dal paraurti dell’auto in una rotatoria. Di Alex Zanardi sappiamo tutti. L’Italia è il Paese con il più alto tasso di mortalità per chilometro pedalato: i numeri parlano di più di 100 ciclisti morti per strada, a cui si devono conteggiare più di 400 pedoni, solo nel 2022 (dati dell’Associazione sostenitori Polstrada, Asaps); un vero scenario di guerra. Capitale degli incidenti stradali Milano, con 590 sinistri, poi Roma con 141 e Genova con 106. Seguono Firenze con 96, Torino con 84 e poi Bari con 42. Si c’è anche la Puglia. Le motivazioni sono le più disparate ma l’elemento comune è la distrazione alla guida.

L’Associazione “IO RISPETTO IL CICLISTA” ma anche l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, da tempo sono impegnate a far sì che venga fatta una legge “salvaciclisti”che stabilisca i limiti minimi per il sorpasso di una bicicletta sulla strada ma è solo una minima parte, seppur importante, del percorso da intraprendere. Le piste ciclabili sono state inserite ma non dappertutto e neanche fatte con criterio, dato che non sono protette come i marciapiedi. Spesso, tra l’altro le automobili ci parcheggiano sopra: “solo un minuto cosa sarà mai?.

Molti mettono sotto accusa il cellulare e la velocità che sicuramente non aiutano a garantire la sicurezza stradale. La verità però è un’altra: le persone vengono investite anche in assenza di cellulare e anche non andando velocissimo. Quello che manca è la consapevolezza, ossia che i veicoli, seppur indispensabili della nostra vita, sempre più frenetica, possono anche diventare strumenti di morte se non usate con la giusta attenzione. Spesso non ci si ferma agli incroci e si passa senza guardare nemmeno, le curve vengono fatte spesso e volentieri, invadendo l’altra corsia, con buona pace della segnaletica orizzontale stradale, relegata ormai ad un ruolo di mero ornamento, si fanno retromarce senza guardare dietro, tanto si fermeranno no?. Infine anche i sorpassi azzardati, oggetto della proposta di legge “salvaciclisti”.

Probabilmente la sicurezza stradale non la si riesce a garantire perché ci stiamo creando degli alibi: puniamo l’uso degli alcolici, dei cellulari e la velocità, il che va bene ma il vero tumore è la mancanza di consapevolezza. Certamente si potrebbe cominciare a controllare i requisiti fisiopsichici, cioè un semplice esame delle urine per individuare eventuali tracce di alcol o droghe e permetterebbe di individuare eventuali alcolisti cronici o assuntori abituali di sostanze stupefacenti ma queste, insieme al cellulare e la velocità sono solo le sue metastasi. Il problema è culturale. L’altro tumore, è un duetto che non si vede soltanto negli incidenti stradali: l’assenza di empatia e l’incapacità di assumersi delle responsabilità, che porta l’investitore a scappare anziché prestare soccorso. Oggigiorno viviamo in una società dove si vive spesso con troppa leggerezza, troppa superficialità, di fronte a situazioni critiche. La persona fugge, scappa, nega. Se la fuga riesce, la loro personalità antisociale si rinforza, inducendoli a pensare di aver fatto bene, che sono stati furbi. Peccato per loro che sono pochi coloro che riescono effettivamente a farla franca, come è stato dimostrato dal camionista che ha investito Rebellin, trovato in Germania.

Cosa si può fare? Come abbiamo detto, è un problema culturale. A Howard Zinn piaceva dire: “Non dobbiamo impegnarci in azioni grandiose ed eroiche per partecipare al cambiamento. Piccole azioni, se moltiplicate per milioni di persone, possono trasformare il mondo”. Quindi prima di tutto, insegnare la sicurezza stradale a scuola, poi i controlli. La scuola è un tassello fondamentale per far crescere la consapevolezza delle nuove generazioni. Prevenire e sanzionare i comportamenti potenzialmente pericolosi non basta sicuramente ma sarebbe un ottimo inizio. Dopodiché potremmo prendere spunto dalle città del Nord Europa, che hanno sviluppato un’urbanistica capace di conciliare l’uso delle auto con quelle di altri mezzi. Sarebbe una grande vittoria, non solo per la sicurezza stradale ma anche ambientale. Tutte queste cose però, sono strumenti che vengono dopo l’educazione al rispetto degli altri, alla percezione del pericolo e alla capacità di assumersi le proprie responsabilità.

In definitiva, senza voler sottovalutare l’importanza dei controlli sulla velocità, sull’uso delle sostanze stupefacenti o alcoliche, oppure sull’uso dei cellulari, che sono tutti provvedimenti che vanno sicuramente incrementati, ricordiamo che il problema della sicurezza stradale risiede nella fragilità ed immaturità dell’uomo dei nostri tempi che non sparirà con l’eliminazione dei cellulari o della birra. Francesco Cataluccio nella prefazione a un interessante libro di Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto (Bompiani) lo descrive bene: “il segno della modernità è il rifiuto di crescere, di sobbarcarsi il peso della responsabilità, il triste onere della maturità, il disorientamento vertiginoso che danno la libertà e la democrazia”. La soluzione va cercata lì.

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